Da oltre un mese il tascabile più venduto è «Racconti della Kolyma», capolavoro del narratore russo a lungo ignorato (e storpiato) dagli editori. Che ora rimediano con novità e ristampe. Merito dell’autore di «Gomorra»
s. i. a.
Lo scrittore che illumina questo passaggio all’anno nuovo con la strana luce del sole siberiano è Šalamov, Varlàm Šalamov, l’autore dei Racconti della Kolyma. Succede che Saviano ne parli a metà novembre nella trasmissione di Fazio, con una lunga recensione verbale a quello che definisce «uno dei tre libri fondamentali che hanno cambiato il mio modo di pensare». E Šalamov finisce dritto al primo posto nella classifica dei tascabili, rimanendo nella top ten per oltre un mese e diventando un caso editoriale.
In effetti, i Racconti della Kolyma sono uno dei libri eterni che la letteratura russa ha consegnato al secolo scorso, descrizione dall’interno del più duro campo dell’arcipelago concentrazionario sovietico in cui lo scrittore scontò una condanna a 14 anni: come ha spiegato Saviano in tv, Šalamov era colpevole di aver diffuso il cosiddetto Testamento di Lenin con le critiche del leader rivoluzionario a Stalin, e di aver definito il premio Nobel Ivan Bunin «un classico della letteratura russa». Sufficiente, nella Russia staliniana, per essere condannato alla Kolyma e destinato pertanto a una morte quasi sicura mediante il lavoro disumano e il gelo siberiano.
Sopravvissuto «casualmente» agli orrori del campo, fiero tuttavia di non aver mai ceduto al sistema delatorio a cui il comunismo sovietico induceva i cittadini del paradiso dei lavoratori, Šalamov si dedicò a mettere per iscritto la terribile esperienza del Gulag. Come scriverà in una lettera ad un tempo commovente ed aspra a Solzenicyn, riconosciuto come «fratello di Gulag» dopo la pubblicazione di Ivan Denisovic, «per quanto mi riguarda, io ho deciso da tempo che tutta la vita che mi resta io la consacrerò proprio a questa verità».
Appena libero Šalamov si mise in contatto con l’amatissimo poeta Pasternak e i due intrecciarono una corrispondenza interessantissima dal punto di vista umano e fondamentale per i critici letterari, corrispondenza che Archinto ha ripubblicato proprio in questi giorni, sulla scia dell’improvviso successo (Parole salvate dalle fiamme. Lettere e ricordi, pagg. 200, euro 16). Tra le osservazioni più specificamente stilistiche, è qui che troviamo una discussione capitale che getta luce sulla religiosità di Pasternak. È in queste lettere, infatti, che Pasternak rivendica il Dottor Zivago come «traduzione moderna dell’organica percezione del mondo celebrata dal tema evangelico». E, ricevuta dal poeta una copia dell’ormai concluso manoscritto del romanzo, l’ex-galeotto della Kolyma, replicherà in modo commovente: «Come può qualsiasi uomo istruito sfuggire alle questioni del cristianesimo? E come si può scrivere un romanzo sul passato senza chiarire il proprio rapporto con Cristo?».
Il terzo evento che ha riportato Šalamov alle cronache, almeno a quelle letterarie, è la pubblicazione italiana dei suoi ricordi, Alcune mie vite. Documenti segreti e racconti inediti (a cura di F. Bigazzi, S. Repetti e I. Sirotinskaja, Mondadori). Ma di questo libro, che raccoglie anche gli atti dei processi subiti da Šalamov, ha già scritto su queste stesse pagine Luca Doninelli. C'è da dire che l’onestà e l’amore alla libertà che Doninelli individua giustamente come caratteristiche peculiari dell’uomo e scrittore Šalamov e contemporaneamente come gli attributi meno apprezzati da ogni regime illiberale sono state d’impaccio alla pubblicazione di Racconti della Kolyma non solo in Russia ma anche in Occidente.
Conclusi nel 1977 in sei volumi, e pubblicati a Londra in lingua russa già l’anno seguente, i Racconti dovettero attendere il 1992 per vedere la luce nella patria dell'autore. Per quanto riguarda l’Italia, dopo diverse edizioni ridotte (Savelli, 1976; Sellerio, 1992; Adelphi, 1995), solo nel 1999 ha visto la luce anche la traduzione completa dei Racconti presso l’editore Einaudi (ma debitamente purgata dell’intervista dello slavista Sinatti a Gustav Herling, in cui il gulag comunista veniva paragonato ai lager nazisti). Nelle intenzioni di Šalamov, la prosa nuda e scarnificata come la vita stessa nel Gulag, costituiva «il tentativo di porre e risolvere alcuni importantissimi problemi di questo tempo, i quali semplicemente non possono essere risolti utilizzando materiale differente».
Se in Italia si deve a un intervento di Saviano la ripresa dell’interesse per Šalamov (al punto che un grande magazzino di beni di consumo come Fnac, a Milano, lo presenta nell’espositore principale di solito riservato ai Dan Brown) in Russia è l’anniversario dei 130 anni dalla nascita di Stalin a riportare in auge una delle sue vittime più illustri. Alla vigilia di Natale, infatti, poco giorni prima che venisse trasmesso su NTV (la televisione di proprietà di Gazprom) la trasmissione Stalin è con noi!, il canale televisivo Kul’tura ha mandato in onda lo sceneggiato Il testamento di Lenin, tratto appunto dai Racconti della Kolyma di Šalamov. Il modo migliore, probabilmente, per troncare ogni discussione nostalgica, che ignora volutamente un passato sconvolgente eppure così vicino a noi. Chi appena è disposto a capire cosa è successo in Russia in quegli anni, non ha che da aprire i libri di Šalamov e immergersi con lui nel «crematorio bianco», nella Kolyma.
In effetti, i Racconti della Kolyma sono uno dei libri eterni che la letteratura russa ha consegnato al secolo scorso, descrizione dall’interno del più duro campo dell’arcipelago concentrazionario sovietico in cui lo scrittore scontò una condanna a 14 anni: come ha spiegato Saviano in tv, Šalamov era colpevole di aver diffuso il cosiddetto Testamento di Lenin con le critiche del leader rivoluzionario a Stalin, e di aver definito il premio Nobel Ivan Bunin «un classico della letteratura russa». Sufficiente, nella Russia staliniana, per essere condannato alla Kolyma e destinato pertanto a una morte quasi sicura mediante il lavoro disumano e il gelo siberiano.
Sopravvissuto «casualmente» agli orrori del campo, fiero tuttavia di non aver mai ceduto al sistema delatorio a cui il comunismo sovietico induceva i cittadini del paradiso dei lavoratori, Šalamov si dedicò a mettere per iscritto la terribile esperienza del Gulag. Come scriverà in una lettera ad un tempo commovente ed aspra a Solzenicyn, riconosciuto come «fratello di Gulag» dopo la pubblicazione di Ivan Denisovic, «per quanto mi riguarda, io ho deciso da tempo che tutta la vita che mi resta io la consacrerò proprio a questa verità».
Appena libero Šalamov si mise in contatto con l’amatissimo poeta Pasternak e i due intrecciarono una corrispondenza interessantissima dal punto di vista umano e fondamentale per i critici letterari, corrispondenza che Archinto ha ripubblicato proprio in questi giorni, sulla scia dell’improvviso successo (Parole salvate dalle fiamme. Lettere e ricordi, pagg. 200, euro 16). Tra le osservazioni più specificamente stilistiche, è qui che troviamo una discussione capitale che getta luce sulla religiosità di Pasternak. È in queste lettere, infatti, che Pasternak rivendica il Dottor Zivago come «traduzione moderna dell’organica percezione del mondo celebrata dal tema evangelico». E, ricevuta dal poeta una copia dell’ormai concluso manoscritto del romanzo, l’ex-galeotto della Kolyma, replicherà in modo commovente: «Come può qualsiasi uomo istruito sfuggire alle questioni del cristianesimo? E come si può scrivere un romanzo sul passato senza chiarire il proprio rapporto con Cristo?».
Il terzo evento che ha riportato Šalamov alle cronache, almeno a quelle letterarie, è la pubblicazione italiana dei suoi ricordi, Alcune mie vite. Documenti segreti e racconti inediti (a cura di F. Bigazzi, S. Repetti e I. Sirotinskaja, Mondadori). Ma di questo libro, che raccoglie anche gli atti dei processi subiti da Šalamov, ha già scritto su queste stesse pagine Luca Doninelli. C'è da dire che l’onestà e l’amore alla libertà che Doninelli individua giustamente come caratteristiche peculiari dell’uomo e scrittore Šalamov e contemporaneamente come gli attributi meno apprezzati da ogni regime illiberale sono state d’impaccio alla pubblicazione di Racconti della Kolyma non solo in Russia ma anche in Occidente.
Conclusi nel 1977 in sei volumi, e pubblicati a Londra in lingua russa già l’anno seguente, i Racconti dovettero attendere il 1992 per vedere la luce nella patria dell'autore. Per quanto riguarda l’Italia, dopo diverse edizioni ridotte (Savelli, 1976; Sellerio, 1992; Adelphi, 1995), solo nel 1999 ha visto la luce anche la traduzione completa dei Racconti presso l’editore Einaudi (ma debitamente purgata dell’intervista dello slavista Sinatti a Gustav Herling, in cui il gulag comunista veniva paragonato ai lager nazisti). Nelle intenzioni di Šalamov, la prosa nuda e scarnificata come la vita stessa nel Gulag, costituiva «il tentativo di porre e risolvere alcuni importantissimi problemi di questo tempo, i quali semplicemente non possono essere risolti utilizzando materiale differente».
Se in Italia si deve a un intervento di Saviano la ripresa dell’interesse per Šalamov (al punto che un grande magazzino di beni di consumo come Fnac, a Milano, lo presenta nell’espositore principale di solito riservato ai Dan Brown) in Russia è l’anniversario dei 130 anni dalla nascita di Stalin a riportare in auge una delle sue vittime più illustri. Alla vigilia di Natale, infatti, poco giorni prima che venisse trasmesso su NTV (la televisione di proprietà di Gazprom) la trasmissione Stalin è con noi!, il canale televisivo Kul’tura ha mandato in onda lo sceneggiato Il testamento di Lenin, tratto appunto dai Racconti della Kolyma di Šalamov. Il modo migliore, probabilmente, per troncare ogni discussione nostalgica, che ignora volutamente un passato sconvolgente eppure così vicino a noi. Chi appena è disposto a capire cosa è successo in Russia in quegli anni, non ha che da aprire i libri di Šalamov e immergersi con lui nel «crematorio bianco», nella Kolyma.
«Il Giornale» del 5 gennaio 2010
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