di Matteo Sacchi
Piero Della Francesca (1416 circa-1492) è una tra le personalità emblematiche del Rinascimento. Le sue opere sono mirabilmente sospese tra arte, geometria e un complesso sistema di lettura a più livelli, dove confluiscono questioni teologiche, filosofiche e richiami all’attualità della sua epoca. Non solo, questo genio dei pennelli e della matematica (scrisse diversi trattati) si è anche ammantato di segreto, sia per le scarsissime notizie relative alla sua biografia, sia per la particolarità delle sue pitture. Sono cariche di simboli nascosti, cariche di una fissità cerimoniale nei gesti tale da suggerire a chi le guarda l’impressione di trovarsi di fronte a un mistero. Anche perché il dettaglio realistico, imprigionato nella perfezione della geometria, crea una sospensione che ammalia.
E tra tutti i suoi quadri ce ne è uno in cui il livello di mistero, almeno sino a ieri era elevatissimo, tanto da aver fatto accapigliare i migliori critici d’arte: La flagellazione di Cristo, conservata ad Urbino. La vedete in questa pagina, con le sue dimensioni mutuate sul rettangolo aureo, con tre personaggi sconosciuti in primo piano e un Cristo lontanissimo flagellato di fronte ad un Pilato vestito con abiti che ricordano un imperatore bizantino. Se a questa iconografia strana, ma evocativa, aggiungete che non si conosce la datazione esatta dell’opera e che il suo stesso ritrovamento è avvenuto molto tardi - riapparve solo nel 1839 nel Duomo di Urbino - ecco che diventa comprensibile la ridda di teorie prodotta nei decenni dai critici.
Solo per limitarci al riconoscimento delle tre misteriose figure in primo piano, ecco quello che i maggiori esperti d'arte e storici sono riusciti a ipotizzare (e l’elenco è fatto per difetto). L’interpretazione classica, avvalorata, tra gli altri, da Roberto Longhi, vede nel dipinto una celebrazione dei Montefeltro e la commemorazione di Oddantonio, il fratellastro di Federico, ammazzato a diciasette anni in una congiura (anno 1444). Oddantonio è indicato come la figura centrale, il giovane biondo che è posto in parallelo col Cristo flagellato. Per Carlo Ginzburg invece il dipinto rappresenterebbe un invito rivolto a Federico da Montefeltro a partecipare alla crociata antiturca (dal cardinal Giovanni Bessarione e Giovanni Bacci identificabili con le due figure laterali), mentre il giovane al centro rappresenterebbe Bonconte II da Montefeltro, amato figlio naturale di Federico (morto di peste nel 1458); in questo modo le pene di Cristo sarebbero paragonate sia alla condizione dei bizantini massacrati dagli ottomani sia alla morte di Bonconte. Secondo Silvia Ronchey, Bessarione è sempre Bessarione invece il giovane sarebbe il fratello dell’imperatore bizantino Tommaso Paleologo. C’è poi chi l’ha buttata in teologia come Mario Salmi che ipotizzò il giovane biondo potesse essere il giusto universale, di cui parla Cristo a Pilato nel Vangelo di Matteo. Questo senza contare il filone «scettico» che nega la presenza di un significato particolare nella tavola (tra gli altri lo scrittore Aldous Huxley), o chi ha detto che il giovane biondo è Barabba o, perché no, Giuda pentito (l’idea era di Ernst Gombrich). Bene ora a dirci definitivamente chi aveva ragione ci ha provato la polizia scientifica. Ieri, al centro tedesco di studi veneziani di Palazzo Barbarigo, Silio Bozzi, esperto di identificazione antropometrica della Polizia di Stato di Ancona, è intervenuto al convegno L'enigma della Flagellazione di Piero Della Francesca armato dei più complicati sistemi di rilevazione.
A parte il lapsus freuidiano di aver chiamato almeno una volta il dipinto «il delitto», il risultato è stato l’identificazione del giovane al centro e, a seguire, degli altri personaggi. E nella sua certezza smentisce tutte le teorie precedenti e ci regala un’interpretazione del dipinto che potremmo definire iniziatica e «proto-massonica». Nessun membro della famiglia Montefeltro coinvolto nella vicenda. Il quadro sarebbe del 1452 e il giovane al centro, a sorpresa, dovrebbe essere il filosofo Marsilio Ficino. Il suo volto è stato sovrapposto ai ritratti disponibili del profeta del neoplatonismo (lo ritraggono anziano) e la somiglianza delle espressioni e dello sguardo è straordinaria. Di più: alcune caratteristiche da identikit come la curva degli occhi, della bocca e la forma del naso corrispondono. Il volto poi è stato invecchiato (con la stessa tecnica utilizzata per avere l’identikit di Bernardo Provenzano) e così la somiglianza diventa straordinaria. Di più i tratti fisici descritti da Giovanni Corsi (biografo di Ficino) sono stati confrontati con l’immagine attraverso una ricostruzione computerizzata del dipinto. Il risultato dà una perfetta eguaglianza. I due personaggi ai lati sarebbero invece, sempre a colpi di identikit, il Cardinale Bessarione (a sinistra) e Giovanni Bacci. Ma con Ficino al centro cambia il loro ruolo. Sarebbero infatti gli iniziatori di Ficino ad una fratellanza pitagorico platonica (Bacci ha sulla spalla una fascia rossa tipica del rituale). E così i rimandi geometrici del quadro si trasformano in messaggi per iniziati (il simbolo della stella a otto punte rappresentata nel pavimento, le porte della conoscenza sullo sfondo…). E alcuni degli studiosi presenti, come il molto pignolo Luciano Canfora e Silvia Ronchey, di fronte alle prove della scienza poliziesca hanno fatto chapeau, anche se in modo molto accademico, ammettendo che la teoria ha una sua profonda congruenza. Enrico Londei resta invece convinto che la Flagellazione vada ambientata a Urbino (lo sostiene da molto) e allora si chiede: «Cosa ci fa Marsilio Ficino ad Urbino?». (Ma secondo Bozzi la scena è ambientata chiaramente a Firenze). E Bernd Roeck si è detto perplesso: «L’ho sempre pensata diversamente».
Così un tassello importate della storia della cultura italiana e mondiale almeno per la scienza forense ha cambiato senso. Ma allontanadosi a piedi per le calli della città d’arte per eccellenza e vedendo i palazzi specchiarsi nei canali con geometrica sospensione degna di Mastro Piero viene forse un poco di tristezza. La critica un tempo era ricerca e genialità, coraggio e attribuzione. Ora arrivano le analisi dell’immagine e i calcolatori. E l’intelligenza umanistica sembra perdente e perduta, sostituita da una scienza all’apparenza più precisa, ma certamente più arida.
Meno male che ci resta l’enigmatica sospensione di tempo e spazio della Flagellazione dove la matematica e la bellezza restano così indissolubilmente legate. Perché quella magia nessuna analisi la sa spiegare.
E tra tutti i suoi quadri ce ne è uno in cui il livello di mistero, almeno sino a ieri era elevatissimo, tanto da aver fatto accapigliare i migliori critici d’arte: La flagellazione di Cristo, conservata ad Urbino. La vedete in questa pagina, con le sue dimensioni mutuate sul rettangolo aureo, con tre personaggi sconosciuti in primo piano e un Cristo lontanissimo flagellato di fronte ad un Pilato vestito con abiti che ricordano un imperatore bizantino. Se a questa iconografia strana, ma evocativa, aggiungete che non si conosce la datazione esatta dell’opera e che il suo stesso ritrovamento è avvenuto molto tardi - riapparve solo nel 1839 nel Duomo di Urbino - ecco che diventa comprensibile la ridda di teorie prodotta nei decenni dai critici.
Solo per limitarci al riconoscimento delle tre misteriose figure in primo piano, ecco quello che i maggiori esperti d'arte e storici sono riusciti a ipotizzare (e l’elenco è fatto per difetto). L’interpretazione classica, avvalorata, tra gli altri, da Roberto Longhi, vede nel dipinto una celebrazione dei Montefeltro e la commemorazione di Oddantonio, il fratellastro di Federico, ammazzato a diciasette anni in una congiura (anno 1444). Oddantonio è indicato come la figura centrale, il giovane biondo che è posto in parallelo col Cristo flagellato. Per Carlo Ginzburg invece il dipinto rappresenterebbe un invito rivolto a Federico da Montefeltro a partecipare alla crociata antiturca (dal cardinal Giovanni Bessarione e Giovanni Bacci identificabili con le due figure laterali), mentre il giovane al centro rappresenterebbe Bonconte II da Montefeltro, amato figlio naturale di Federico (morto di peste nel 1458); in questo modo le pene di Cristo sarebbero paragonate sia alla condizione dei bizantini massacrati dagli ottomani sia alla morte di Bonconte. Secondo Silvia Ronchey, Bessarione è sempre Bessarione invece il giovane sarebbe il fratello dell’imperatore bizantino Tommaso Paleologo. C’è poi chi l’ha buttata in teologia come Mario Salmi che ipotizzò il giovane biondo potesse essere il giusto universale, di cui parla Cristo a Pilato nel Vangelo di Matteo. Questo senza contare il filone «scettico» che nega la presenza di un significato particolare nella tavola (tra gli altri lo scrittore Aldous Huxley), o chi ha detto che il giovane biondo è Barabba o, perché no, Giuda pentito (l’idea era di Ernst Gombrich). Bene ora a dirci definitivamente chi aveva ragione ci ha provato la polizia scientifica. Ieri, al centro tedesco di studi veneziani di Palazzo Barbarigo, Silio Bozzi, esperto di identificazione antropometrica della Polizia di Stato di Ancona, è intervenuto al convegno L'enigma della Flagellazione di Piero Della Francesca armato dei più complicati sistemi di rilevazione.
A parte il lapsus freuidiano di aver chiamato almeno una volta il dipinto «il delitto», il risultato è stato l’identificazione del giovane al centro e, a seguire, degli altri personaggi. E nella sua certezza smentisce tutte le teorie precedenti e ci regala un’interpretazione del dipinto che potremmo definire iniziatica e «proto-massonica». Nessun membro della famiglia Montefeltro coinvolto nella vicenda. Il quadro sarebbe del 1452 e il giovane al centro, a sorpresa, dovrebbe essere il filosofo Marsilio Ficino. Il suo volto è stato sovrapposto ai ritratti disponibili del profeta del neoplatonismo (lo ritraggono anziano) e la somiglianza delle espressioni e dello sguardo è straordinaria. Di più: alcune caratteristiche da identikit come la curva degli occhi, della bocca e la forma del naso corrispondono. Il volto poi è stato invecchiato (con la stessa tecnica utilizzata per avere l’identikit di Bernardo Provenzano) e così la somiglianza diventa straordinaria. Di più i tratti fisici descritti da Giovanni Corsi (biografo di Ficino) sono stati confrontati con l’immagine attraverso una ricostruzione computerizzata del dipinto. Il risultato dà una perfetta eguaglianza. I due personaggi ai lati sarebbero invece, sempre a colpi di identikit, il Cardinale Bessarione (a sinistra) e Giovanni Bacci. Ma con Ficino al centro cambia il loro ruolo. Sarebbero infatti gli iniziatori di Ficino ad una fratellanza pitagorico platonica (Bacci ha sulla spalla una fascia rossa tipica del rituale). E così i rimandi geometrici del quadro si trasformano in messaggi per iniziati (il simbolo della stella a otto punte rappresentata nel pavimento, le porte della conoscenza sullo sfondo…). E alcuni degli studiosi presenti, come il molto pignolo Luciano Canfora e Silvia Ronchey, di fronte alle prove della scienza poliziesca hanno fatto chapeau, anche se in modo molto accademico, ammettendo che la teoria ha una sua profonda congruenza. Enrico Londei resta invece convinto che la Flagellazione vada ambientata a Urbino (lo sostiene da molto) e allora si chiede: «Cosa ci fa Marsilio Ficino ad Urbino?». (Ma secondo Bozzi la scena è ambientata chiaramente a Firenze). E Bernd Roeck si è detto perplesso: «L’ho sempre pensata diversamente».
Così un tassello importate della storia della cultura italiana e mondiale almeno per la scienza forense ha cambiato senso. Ma allontanadosi a piedi per le calli della città d’arte per eccellenza e vedendo i palazzi specchiarsi nei canali con geometrica sospensione degna di Mastro Piero viene forse un poco di tristezza. La critica un tempo era ricerca e genialità, coraggio e attribuzione. Ora arrivano le analisi dell’immagine e i calcolatori. E l’intelligenza umanistica sembra perdente e perduta, sostituita da una scienza all’apparenza più precisa, ma certamente più arida.
Meno male che ci resta l’enigmatica sospensione di tempo e spazio della Flagellazione dove la matematica e la bellezza restano così indissolubilmente legate. Perché quella magia nessuna analisi la sa spiegare.
«Il Giornale» del 16 gennaio 2010
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