di Cesare Cavalleri
Ancora una biografia di Rimbaud? Nessun autore, forse, è stato più indagato del ragazzaccio di Charleville, nessun altro poeta è stato più di lui vivisezionato per trovare nella sua vita riscontri per decifrare la sua opera, quantitativamente esigua, che ha impresso una svolta alla letteratura e il cui mistero, mentre la bibliografia rimbaldiana sia allunga a dismisura, rimane intatto.
Procedimento sbagliato per tutti i poeti, e sopra tutti per Rimbaud, rivolgersi alla vita per interpretare l’opera, anche quando poesia e vita sono inestricabilmente intrecciate.
La cosa giusta l’ha fatta Alain Borer che, nel centenario della morte di Rimbaud, ha puntigliosamente ricostruito la cronologia dei testi rimbaldiani, pubblicando l’ Oeuvre- vie (Arléa, 1991), l’«Opera-vita» che consente di cogliere l’arco letterario ed esistenziale del poeta che non risulta quando si leggono separatamente le poesie infantili, poi la Raccolta Demeny, poi Une saison en enfer, poi le Illuminations, poi le lettere, e così via fino alle corrispondenze dall’Africa.
Percepire la scansione delle liriche contestualizzate dalle lettere (talvolta quasi autocommenti) è fondamentale.
Insomma, dopo le innumerevoli testimonianze dei famigliari, degli amici, di Verlaine, di Claudel, dopo i più o meno romanzati abbozzi biografici che culmineranno nella biografia freudiana di Enid Starkie (1938), dopo gli sterminati approfondimenti critici (da noi il primo ad occuparsi seriamente di Rimbaud fu Ardengo Soffici, nel 1911), ecco la nuova biografia di Edmund White, La doppia vita di Rimbaud (Minimum fax, pp. 192, euro 14).
L’«originalità» sta nel fatto che White, gay dichiarato, esperto di tematiche omosessuali nei suoi romanzi e nelle biografie di Jean Genet e di Marcel Proust, sembra voler considerare Rimbaud come una sorta di collega illustre il cui esempio «satanico» abbia influenzato la «meschinità» di White medesimo, allorché, «adolescente gay infelice» fece radiare un suo insegnante accusandolo di pedofilia, senza precisare che l’oggetto delle attenzioni del docente era proprio lui.
Rimbaud grande poeta perché omosessuale come il biografo? Certo, la relazione di Rimbaud con Verlaine è notoria e oggettiva, ma, proprio per confermare che la biografia non basta a spiegare l’opera, gli oggetti amorosi nella poesia di Rimbaud sono sempre femminili, come ha mostrato Jean-Luc Steinmetz in Le donne di Rimbaud, uscita in Francia nel 2000 e tradotta dal Melangolo nel 2006. E l’opera che più esplicitamente si riferisce al legame con Verlaine, la Saison, appunto, nasce dalla decisione di rompere e rinnegare quel legame, scegliendo la solitudine di «possedere la verità in un’anima e in un corpo».
White non aggiunge nulla di Rimbaud che già non si sappia, e verso la fine tira un po’ via. È certo impossibile addurre novità su un autore tanto esplorato, ma singolare è l’opacità critica del nuovo biografo: per esempio, egli riporta per intero Génie, forse l’ultima delle Illuminations, limitandosi a definirla «ombrosa, onirica, ispiratrice, indecifrabile», mentre l’interpretazione cristica (di un Cristo forse venturo) che ne ha dato André Thisse in Rimbaud devant Dieu (1975) è salda e riportata dai migliori commentatori, per esempio dal sorboniano Pierre Brunel, che ha curato l’opera omnia di Rimbaud per La Pochothèque (1999).
In ogni caso, per conoscere Rimbaud bisogna leggere le poesie di Rimbaud. Se proprio ci si vuole affidare a una biografia recente, è disponibile Rimbaud. Vita e opere di un poeta maledetto, di Graham Robb (Carocci Editore, Roma 2002). La più completa è quella di Claude Jeancolas, intitolata semplicemente Rimbaud (Grandes biographies Flammarion, 1999), le cui 754 pagine però spaventano gli editori italiani.
Del resto, Rimbaud bisogna leggerlo in francese. Jeancolas ha pubblicato otto libri su Rimbaud, fra cui l’utilissimo Dictionaire Rimbaud (Balland, 1991), e L’Afrique de Rimbaud ( Textuel, 1999) libro di grande formato con struggenti fotografie d’epoca.
Procedimento sbagliato per tutti i poeti, e sopra tutti per Rimbaud, rivolgersi alla vita per interpretare l’opera, anche quando poesia e vita sono inestricabilmente intrecciate.
La cosa giusta l’ha fatta Alain Borer che, nel centenario della morte di Rimbaud, ha puntigliosamente ricostruito la cronologia dei testi rimbaldiani, pubblicando l’ Oeuvre- vie (Arléa, 1991), l’«Opera-vita» che consente di cogliere l’arco letterario ed esistenziale del poeta che non risulta quando si leggono separatamente le poesie infantili, poi la Raccolta Demeny, poi Une saison en enfer, poi le Illuminations, poi le lettere, e così via fino alle corrispondenze dall’Africa.
Percepire la scansione delle liriche contestualizzate dalle lettere (talvolta quasi autocommenti) è fondamentale.
Insomma, dopo le innumerevoli testimonianze dei famigliari, degli amici, di Verlaine, di Claudel, dopo i più o meno romanzati abbozzi biografici che culmineranno nella biografia freudiana di Enid Starkie (1938), dopo gli sterminati approfondimenti critici (da noi il primo ad occuparsi seriamente di Rimbaud fu Ardengo Soffici, nel 1911), ecco la nuova biografia di Edmund White, La doppia vita di Rimbaud (Minimum fax, pp. 192, euro 14).
L’«originalità» sta nel fatto che White, gay dichiarato, esperto di tematiche omosessuali nei suoi romanzi e nelle biografie di Jean Genet e di Marcel Proust, sembra voler considerare Rimbaud come una sorta di collega illustre il cui esempio «satanico» abbia influenzato la «meschinità» di White medesimo, allorché, «adolescente gay infelice» fece radiare un suo insegnante accusandolo di pedofilia, senza precisare che l’oggetto delle attenzioni del docente era proprio lui.
Rimbaud grande poeta perché omosessuale come il biografo? Certo, la relazione di Rimbaud con Verlaine è notoria e oggettiva, ma, proprio per confermare che la biografia non basta a spiegare l’opera, gli oggetti amorosi nella poesia di Rimbaud sono sempre femminili, come ha mostrato Jean-Luc Steinmetz in Le donne di Rimbaud, uscita in Francia nel 2000 e tradotta dal Melangolo nel 2006. E l’opera che più esplicitamente si riferisce al legame con Verlaine, la Saison, appunto, nasce dalla decisione di rompere e rinnegare quel legame, scegliendo la solitudine di «possedere la verità in un’anima e in un corpo».
White non aggiunge nulla di Rimbaud che già non si sappia, e verso la fine tira un po’ via. È certo impossibile addurre novità su un autore tanto esplorato, ma singolare è l’opacità critica del nuovo biografo: per esempio, egli riporta per intero Génie, forse l’ultima delle Illuminations, limitandosi a definirla «ombrosa, onirica, ispiratrice, indecifrabile», mentre l’interpretazione cristica (di un Cristo forse venturo) che ne ha dato André Thisse in Rimbaud devant Dieu (1975) è salda e riportata dai migliori commentatori, per esempio dal sorboniano Pierre Brunel, che ha curato l’opera omnia di Rimbaud per La Pochothèque (1999).
In ogni caso, per conoscere Rimbaud bisogna leggere le poesie di Rimbaud. Se proprio ci si vuole affidare a una biografia recente, è disponibile Rimbaud. Vita e opere di un poeta maledetto, di Graham Robb (Carocci Editore, Roma 2002). La più completa è quella di Claude Jeancolas, intitolata semplicemente Rimbaud (Grandes biographies Flammarion, 1999), le cui 754 pagine però spaventano gli editori italiani.
Del resto, Rimbaud bisogna leggerlo in francese. Jeancolas ha pubblicato otto libri su Rimbaud, fra cui l’utilissimo Dictionaire Rimbaud (Balland, 1991), e L’Afrique de Rimbaud ( Textuel, 1999) libro di grande formato con struggenti fotografie d’epoca.
«Avvenire» del 13 gennaio 2010
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