Jaron Lanier dice che l’ideologia collettivista di Internet genera mostri, ma si rivela un po’ elitario
di Christian Rocca
Se uno dei pionieri della rete come Jaron Lanier comincia a dubitare di Internet, come ha scritto domenica il Sole 24 Ore, vuol dire che è giunto davvero il momento di fare una riflessione seria sul World wide web. La tesi di Lanier, contenuta nel libro uscito martedì in America con il titolo “You are not a gadget”, è super pessimista. Lanier non è un luddista, è un mago della realtà virtuale, adora Internet, ma riconosce che la rete genera mostri, a causa del modo in cui è stata progettata e delle scelte che sono state fatte quando è stata lanciata la rivoluzione del 2.0.
L’anonimato, soprattutto. Ma anche la glorificazione del lavoro collettivo (Wikipedia e open source) e il mantra sull’informazione gratuita. Secondo Lanier, sono elementi che minacciano la creatività individuale, esaltano il peggio della società e alimentano comportamenti odiosi (“la meschinità della folla”) sui blog, sui forum e sui social network. Internet è diventato un luogo ispirato a una specie di “maoismo digitale”, a un totalitarismo cibernetico che nega al popolo di “nuovi contadini” la specificità della persona, riduce l’enfasi sull’individuo e cerca addirittura di renderlo obsoleto rispetto agli avanzatissimi computer.
Secondo Lanier, se non si cambia la struttura ingegneristica di Internet, se non si combatte contro l’ideologia collettivista che lo permea e se non si introduce un sistema universale di micropagamenti, i rischi sono enormi, anche di una rivoluzione di tipo fascio-marxista. Il problema è che i vecchi sistemi digitali sono chiusi, non riformabili, ed è troppo costoso ricominciare daccapo. Lanier ha molte ragioni, ma la tesi è un po’ elitaria. Là fuori il mondo è fatto così, a prescindere da Internet. Si chiama World wide web, non è il Mondo di Pannunzio.
L’anonimato, soprattutto. Ma anche la glorificazione del lavoro collettivo (Wikipedia e open source) e il mantra sull’informazione gratuita. Secondo Lanier, sono elementi che minacciano la creatività individuale, esaltano il peggio della società e alimentano comportamenti odiosi (“la meschinità della folla”) sui blog, sui forum e sui social network. Internet è diventato un luogo ispirato a una specie di “maoismo digitale”, a un totalitarismo cibernetico che nega al popolo di “nuovi contadini” la specificità della persona, riduce l’enfasi sull’individuo e cerca addirittura di renderlo obsoleto rispetto agli avanzatissimi computer.
Secondo Lanier, se non si cambia la struttura ingegneristica di Internet, se non si combatte contro l’ideologia collettivista che lo permea e se non si introduce un sistema universale di micropagamenti, i rischi sono enormi, anche di una rivoluzione di tipo fascio-marxista. Il problema è che i vecchi sistemi digitali sono chiusi, non riformabili, ed è troppo costoso ricominciare daccapo. Lanier ha molte ragioni, ma la tesi è un po’ elitaria. Là fuori il mondo è fatto così, a prescindere da Internet. Si chiama World wide web, non è il Mondo di Pannunzio.
«Il Foglio» del 10 gennaio 2010
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