di Alessandro Zaccuri
Il problema è che qui da noi il secolo breve è finito con un decennio lungo, anzi: lunghissimo. Nel suo libro dedicato all’«estinzione degli intellettuali d’Italia» ('I conformisti', Rizzoli) Pierluigi Battista lo fa durare almeno quindici anni, dal fatidico 1994 della «discesa in campo» berlusconiana fino al 2009 appena concluso. Schemi interpretativi all’insegna del «noi contro loro», sempre uguali anche se lievemente peggiorati da una volta all’altra.
Accuse incrociate che si sprecano, in metodica alternanza fra tardivi allarmi sulla minaccia comunista e meccaniche esaltazioni di un antifascismo in ampia misura immaginario. Certo, in un contesto del genere un intellettuale dovrebbe avere il suo da fare: rifuggire dalle semplificazioni, strutturare piani di lettura articolati, praticare la nobile arte della sfumatura. E invece, niente.
Perché una delle conseguenze del decennio lunghissimo è proprio questa, il dilagare di un conformismo culturale che, sotto sotto, potrebbe essere la vera causa dello stallo in ci cui ci troviamo.
Un Paese che non pensa è un Paese che non cambia, sostiene Battista con grande dovizia di documentazione. Se poi, nel frattempo, anche il resto del mondo ha perso l’abitudine a riflettere, siamo a posto. Un po’ pamphlet, un po’ rassegna storica degli errori e orrori novecenteschi, 'I conformisti' è un libro che non fa sconti a nessuno. Prende di mira la supponenza della sinistra (da segnalare, a proposito di scenari internazionali, i paragrafi dedicati agli impuniti paradossi del Nobel José Saramago) e intanto lamenta la scarsa attrezzatura della destra (con qualche omissione, forse: un istrione come Giorgio Albertazzi non è mai stato in quota progressista, e su come si comportasse Lucio Battisti nel segreto dell’urna circolano da tempo spericolate ricostruzioni revisioniste). Battista non risparmia bordate al neolaicismo casareccio che, mentre discetta di «cristiani» e «cretini», riesce a non accorgersi che una violentissima ondata di persecuzioni si sta abbattendo sui credenti. Nello stesso tempo, però, lo stesso Battista rimprovera i cattolici nostrani, talmente preoccupati delle fiction zapateriane di Lino Banfi da trascurare - secondo lui - gli argomenti polemici allineati da Christopher Hitchens. Un panorama sconfortante, rispetto al quale neppure il passato sembra offrire eccessive consolazioni: Sartre aveva torto, però è ricordato con una venerazione negata all’avversario Aron, che al contrario aveva ragione. Per non parlare di George Orwell, di Albert Camus, di Nicola Chiaromonte… Ecco, se una pecca si vuole trovare in una requisitoria decisamente anticonformista come questa dei 'Conformisti', sta forse nel non sottolineare abbastanza che un articolo pubblicato sull’«Unità» togliattiana era qualcosa di radicalmente diverso rispetto a un commento viralizzato attraverso Facebook.
Se il non-pensiero dell’identico gode oggi di tanta fortuna, una qualche responsabilità ce l’hanno anche gli strumenti che, illudendoci di essere tutti opinionisti, sottraggono importanza alle poche opinioni autentiche rimaste sulla piazza.
Un 'Conformisti 2.0', a questo punto, sarebbe quasi d’obbligo.
Accuse incrociate che si sprecano, in metodica alternanza fra tardivi allarmi sulla minaccia comunista e meccaniche esaltazioni di un antifascismo in ampia misura immaginario. Certo, in un contesto del genere un intellettuale dovrebbe avere il suo da fare: rifuggire dalle semplificazioni, strutturare piani di lettura articolati, praticare la nobile arte della sfumatura. E invece, niente.
Perché una delle conseguenze del decennio lunghissimo è proprio questa, il dilagare di un conformismo culturale che, sotto sotto, potrebbe essere la vera causa dello stallo in ci cui ci troviamo.
Un Paese che non pensa è un Paese che non cambia, sostiene Battista con grande dovizia di documentazione. Se poi, nel frattempo, anche il resto del mondo ha perso l’abitudine a riflettere, siamo a posto. Un po’ pamphlet, un po’ rassegna storica degli errori e orrori novecenteschi, 'I conformisti' è un libro che non fa sconti a nessuno. Prende di mira la supponenza della sinistra (da segnalare, a proposito di scenari internazionali, i paragrafi dedicati agli impuniti paradossi del Nobel José Saramago) e intanto lamenta la scarsa attrezzatura della destra (con qualche omissione, forse: un istrione come Giorgio Albertazzi non è mai stato in quota progressista, e su come si comportasse Lucio Battisti nel segreto dell’urna circolano da tempo spericolate ricostruzioni revisioniste). Battista non risparmia bordate al neolaicismo casareccio che, mentre discetta di «cristiani» e «cretini», riesce a non accorgersi che una violentissima ondata di persecuzioni si sta abbattendo sui credenti. Nello stesso tempo, però, lo stesso Battista rimprovera i cattolici nostrani, talmente preoccupati delle fiction zapateriane di Lino Banfi da trascurare - secondo lui - gli argomenti polemici allineati da Christopher Hitchens. Un panorama sconfortante, rispetto al quale neppure il passato sembra offrire eccessive consolazioni: Sartre aveva torto, però è ricordato con una venerazione negata all’avversario Aron, che al contrario aveva ragione. Per non parlare di George Orwell, di Albert Camus, di Nicola Chiaromonte… Ecco, se una pecca si vuole trovare in una requisitoria decisamente anticonformista come questa dei 'Conformisti', sta forse nel non sottolineare abbastanza che un articolo pubblicato sull’«Unità» togliattiana era qualcosa di radicalmente diverso rispetto a un commento viralizzato attraverso Facebook.
Se il non-pensiero dell’identico gode oggi di tanta fortuna, una qualche responsabilità ce l’hanno anche gli strumenti che, illudendoci di essere tutti opinionisti, sottraggono importanza alle poche opinioni autentiche rimaste sulla piazza.
Un 'Conformisti 2.0', a questo punto, sarebbe quasi d’obbligo.
«Avvenire» del 21 gennaio 2010
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