di Giuliano Ladolfi
A quale partito deve essere iscritto un intellettuale per scrivere su un giornale? Qual è il ' colore' politico della critica in Italia? Queste domande mi si sono affollate alla mente nel leggere l’articolo di Jacopo Jacoboni pubblicato mercoledì 20 gennaio scorso sulla ' Stampa'. La querelle, continuata a ' Fahrenheit', è stata innescata da Andrea Cortellessa, il quale sul blog letterario ' Nazione Indiana' ha severamente bacchettato Paolo Nori, scrittore di sinistra, che ha iniziato a collaborare con ' Libero'.
Esempi del genere inondano l’attuale panorama: artisti che criticano Berlusconi pubblicano alla Mondadori, registi che criticano la destra lavorano grazie ai contributi dell’attuale governo.
Ma che cosa significa per uno scrittore essere di ' sinistra' o essere di ' destra'? L’etichetta senza dubbio non implica la coerenza con una linea politica sia perché gli esempi citati sono eloquenti sia perché oggi la ' coerenza' non è più considerata una virtù: questa è l’epoca della ' flessibilità'! La politica insegna. L’etichetta non può voler dire seguire una critica fondata su princìpi estetici di destra o di sinistra, perché tale distinzione non è più attiva. Non può riferirsi tout court alla condivisione di una linea politica, perché la letteratura dovrebbe possedere un ambito proprio. E allora viene il sospetto che, in fondo in fondo, la connotazione vada riferita agli ' appoggi' cercati ed ottenuti in cambio di visibilità. Del resto, è noto che gli assessorati finanziano i progetti sostenuti dagli iscritti al loro partito. Poi, una volta raggiunto lo scopo, ci si può prendere anche il lusso di reclamare l’indipendenza di pensiero, semplicemente cambiando ' mecenate'.
Personaggi simili rappresentano l’edizione contemporanea dell’intellettuale ' organico' di gramsciana memoria o, per usare altra terminologia, del ' consigliere del principe', figura da intendersi non solo come il monarca o il tiranno, ma anche come il partito o le holding finanziarie o come i poteri editoriali.
Ma la critica letteraria ha un ' colore'? È soggetta alla dittatura politica, mediatica o finanziaria? Dipende dal singolo e, per chiarire la questione, occorre sciogliere un problema propedeutico: « Quale valore ' fondamentale' viene perseguito dallo studioso? » . Il successo? Il denaro? In questo caso, viva la ' flessibilità'. Se, invece, si pongono in primo piano la libertà di giudizio e la coerenza delle idee, il colore del giornale non avrà il potere di qualificare o di squalificare alcuno.
Pertanto il dibattito va spostato a monte e chiama in causa la figura stessa dell’intellettuale che può presentarsi come ' dipendente' dal potere o ' testimone' di valori irrinunciabili. Se non si giunge a tali ' nodi', la polemica è sterile e sembra piuttosto montata ad arte per fini estranei alla letteratura.
Il fatto è che in Italia la politica ha divorato l’informazione e che ben pochi critici possiedono l’autorevolezza di scrivere in modo indipendente e libero.
Ma quando si tocca il tasto della ' testimonianza', nessuno o ben pochi sono disposti a continuare la discussione.
Esempi del genere inondano l’attuale panorama: artisti che criticano Berlusconi pubblicano alla Mondadori, registi che criticano la destra lavorano grazie ai contributi dell’attuale governo.
Ma che cosa significa per uno scrittore essere di ' sinistra' o essere di ' destra'? L’etichetta senza dubbio non implica la coerenza con una linea politica sia perché gli esempi citati sono eloquenti sia perché oggi la ' coerenza' non è più considerata una virtù: questa è l’epoca della ' flessibilità'! La politica insegna. L’etichetta non può voler dire seguire una critica fondata su princìpi estetici di destra o di sinistra, perché tale distinzione non è più attiva. Non può riferirsi tout court alla condivisione di una linea politica, perché la letteratura dovrebbe possedere un ambito proprio. E allora viene il sospetto che, in fondo in fondo, la connotazione vada riferita agli ' appoggi' cercati ed ottenuti in cambio di visibilità. Del resto, è noto che gli assessorati finanziano i progetti sostenuti dagli iscritti al loro partito. Poi, una volta raggiunto lo scopo, ci si può prendere anche il lusso di reclamare l’indipendenza di pensiero, semplicemente cambiando ' mecenate'.
Personaggi simili rappresentano l’edizione contemporanea dell’intellettuale ' organico' di gramsciana memoria o, per usare altra terminologia, del ' consigliere del principe', figura da intendersi non solo come il monarca o il tiranno, ma anche come il partito o le holding finanziarie o come i poteri editoriali.
Ma la critica letteraria ha un ' colore'? È soggetta alla dittatura politica, mediatica o finanziaria? Dipende dal singolo e, per chiarire la questione, occorre sciogliere un problema propedeutico: « Quale valore ' fondamentale' viene perseguito dallo studioso? » . Il successo? Il denaro? In questo caso, viva la ' flessibilità'. Se, invece, si pongono in primo piano la libertà di giudizio e la coerenza delle idee, il colore del giornale non avrà il potere di qualificare o di squalificare alcuno.
Pertanto il dibattito va spostato a monte e chiama in causa la figura stessa dell’intellettuale che può presentarsi come ' dipendente' dal potere o ' testimone' di valori irrinunciabili. Se non si giunge a tali ' nodi', la polemica è sterile e sembra piuttosto montata ad arte per fini estranei alla letteratura.
Il fatto è che in Italia la politica ha divorato l’informazione e che ben pochi critici possiedono l’autorevolezza di scrivere in modo indipendente e libero.
Ma quando si tocca il tasto della ' testimonianza', nessuno o ben pochi sono disposti a continuare la discussione.
«Avvenire» del 27 gennaio 2010
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