04 settembre 2009

L’uso politico della storia dalla Persia a Stalingrado

Erodoto celebrò l’egemonia imperiale di Atene: quelle letture in piazza fanno scuola anche oggi
di Luciano Canfora
L’interpretazione di Canfora alle giornate di studi di Saluzzo e Savigliano
Quando i sovrani dell’antico Oriente diffusero nei loro regni grandi lapidi murate in luoghi pubblici o eminenti recanti il racconto delle loro gesta, quello fu l’atto di nascita dell’uso pubblico della storia. Era quello il racconto della storia che il sovrano imponeva al suo popolo: l’unico «vero». Fu un greco d’Asia, Ecateo di Mileto, che alzò il capo e disse: «Io racconto come sembra a me». Ed è del tutto comprensibile che un altro greco d’Asia, in opposizione spirituale al dispotismo, abbia scritto, con le sue forze e sviluppando la sua individuale «ricerca» (è questo che significa «storia»), la storia della rivolta, infelicissima, dei greci d’Asia contro la Persia, e soprattutto la storia del regno persiano - non più quella ufficiale ma quella indagata da lui - e, a coronamento di tale «ricerca», la storia delle due invasioni persiane della Grecia, finite l’una e l’altra con la inopinata vittoria di Atene sulle sterminate truppe d’invasione. Così Erodoto - che apparteneva ad una famiglia di esuli di Alicarnasso, ma si era stabilito ad Atene - innalzò un «monumento» agli ateniesi. E quella sua storia incominciò a recitarla nella pubblica piazza. Quando Erodoto leggeva in piazza parti della sua storia, il pubblico non soltanto applaudiva ma, se del caso, partecipava criticamente. Una volta, quando Erodoto sostenne che, nel corso della traumatica crisi dinastica esplosa in Persia al passaggio da Cambise a Dario, era stata autorevolmente prospettata l’instaurazione in Persia della «democrazia», «alcuni Greci» non gli avevano creduto. Lo racconta lui stesso un paio di volte rivendicando - invece - di aver detto la pura verità. È questo un episodio istruttivo. Ci fa capire che l’opera erodotea che noi leggiamo non è la pura e semplice trascrizione di quanto lui veniva leggendo dinanzi al pubblico in diverse città, ma piuttosto la rielaborazione scritta e collocata in una sapiente impalcatura dei materiali che, almeno in parte, in precedenza avevano avuto immediata fruizione pubblica. Era uno «spettacolo» che poteva risolversi, o meno, in un successo. Tradizioni antiche (ad esempio il continuatore dello storico Eforo, vissuto un secolo dopo) parlavano di un premio, di un consistente premio in denaro attribuito ad Erodoto dalla città di Atene: la notizia è ripresa moltissimo tempo dopo (quasi sette secoli dopo) dal cronografo e storico cristiano Eusebio di Cesarea, il quale precisa che il premio gli fu dato «perché Erodoto aveva dato lettura dei suoi libri davanti all’assemblea». Si era anche formata la leggenda che tali letture si svolgessero ad Olimpia in occasione dei giochi panellenici, e addirittura che tali letture comportassero un accompagnamento musicale. Luciano di Samosata, il greco di Siria che al tempo di Antonino Pio e di Marco Aurelio rivendicava la grecità contro Roma, scrive che ad Olimpia l’opera di Erodoto veniva «cantata». Che ci fossero premi per gli scrittori che si impegnavano in favore della città di Atene (per rivendicarne o esaltarne la grandezza e il ruolo politico) ci è noto anche per altri casi. Così ad esempio sappiamo da Isocrate - che era un coetaneo di Platone - che Pindaro, il grande poeta tebano, per aver definito Atene «baluardo della Grecia» era stato, a suo tempo, nominato «prosseno» (una sorta di console onorario) e gratificato con un premio di diecimila dracme. Definire Atene «baluardo della Grecia» non era affatto una ovvietà e nemmeno, almeno a partire da un certo momento in poi, una affermazione indolore. Al contrario, era una rivendicazione che risultava sempre più sgradita alle molte città greche che, dopo gli anni eroici in cui Atene aveva ripetutamente sconfitto i persiani (appunto, «baluardo della Grecia»), avevano cominciato a detestare l’egemonia e il dominio «tirannico» di Atene. Su quella storica vittoria, che aveva ricacciato il «barbaro», Atene aveva costruito la sua «alleanza», presto divenuta «impero». Una traiettoria analoga a quella che, millenni dopo, da Stalingrado portò al «patto di Varsavia». Erodoto, che non era ateniese ma aveva scelto di vivere in quella città e di appoggiarsi alla cerchia di Pericle che ne incarnava la leadership, difese apertamente il diritto di Atene ad appellarsi pur sempre a quella remota vittoria liberatrice: anche in anni in cui ciò era malvisto dagli «altri greci», come egli stesso dice. (Quei greci che, subentrato al predominio ateniese quello, durissimo, di Sparta che pure aveva proclamato di «portare la libertà», cominciarono a rimpiangere Atene). E dunque il premio dato a lui era per ragioni sostanziali affine a quello dato a Pindaro. Entrambi avevano ribadito il merito storico di Atene. Non paia modernistico affermare che in quella antica vicenda vi sono già in nuce gli elementi essenziali di ciò che oggi chiamiamo «uso pubblico della storia». Nell’esplicita «presa di posizione» o «schieramento» partitico che una tale pratica comportava, la vicenda trattata era, anche, la posta in gioco dello scontro politico: sia sul piano interno (ad Atene i nemici del «potere popolare» erano stufi di quella retorica della «vittoria sul barbaro») sia sul piano internazionale. Ma da quella pubblica fruizione della storia potevano discendere esiti imprevisti. Racconta la biografia antica che Tucidide - il futuro storico -, da fanciullo, aveva assistito alle letture erodotee e ne era rimasto talmente scosso e conquistato da scoppiare in lacrime. Erodoto lo notò e si avvicinò al padre del fanciullo, preconizzando in lui «natura ardente per la conoscenza». Si sa che l’antica biografia metteva in relazione i grandi autori del passato, istituiva anzi tra loro un «passaggio di mano del testimone» (una traditio lampadis). E nondimeno questa leggendaria o storica commozione di Tucidide, del futuro grandissimo interprete e critico della politica ateniese, racchiude dentro di sé un singolare paradosso. Tucidide ha certamente mosso i primi passi, come storico, sulle tracce di Erodoto, continuando l’opera di lui, scrivendo come lui. Ed ha incominciato anche lui con «letture» che forse non ebbero analogo successo. Ma quando esplose la crisi latente - che era crisi politica e militare, nel precipitare dei rapporti internazionali verso un irreparabile conflitto - e scoppiò la «guerra più grande di tutte le precedenti», come egli la chiama, Tucidide cambiò radicalmente registro. Inventò una scrittura totalmente nuova (la storia monografica di un solo grande avvenimento, ma paradigmatico) e si ritrasse dalla «gara» pubblica, dalla «storia in piazza». Scrisse liberamente, e assai criticamente, della tara profonda che erodeva l’impero, smascherò il ragionamento patriottico che ne costituiva l’architrave (il «diritto all’impero» nel nome di Maratona e Salamina) e inventò un nuovo prodotto letterario destinato ad un pubblico non solo cittadino. La sua scelta di non parlare per assecondare la retorica imperiale intrecciata con quella democratica fu sintomo e causa insieme della nascita di un pubblico di lettori nonché, per una lunga fase storica, della divaricazione tra storia e piazza, tra storici e popolo.
Da oggi a domenica 16 si terrà nelle cittadine piemontesi di Saluzzo e Savigliano la prima edizione della manifestazione «FestivalStoria», dedicata al tema «Migranti per forza» L’appuntamento consisterà in una serie di iniziative - letture, conversazioni e interviste - nell’ambito delle quali si presterà una particolare attenzione alla dimensione divulgativa Partecipano tra gli altri: Giuseppe Galasso, Enzo Collotti, Luciano Canfora (di cui anticipiamo la prolusione) e Nicola Tranfaglia.

Informazioni: www.festivalstoria.org
I due autori che raccontarono le guerre della Grecia Erodoto e Tucidide sono i due grandi storici greci del V secolo a.C. Il primo, nato ad Alicarnasso, visse per diversi anni ad Atene. Le sue Storie nei primi quattro libri descrivono i costumi di vari popoli antichi e negli altri cinque narrano la lotta vittoriosa dei greci contro gli invasori persiani. Tucidide, nato ad Atene, partecipò alla guerra del Peloponneso contro Sparta (431-404 a.C.) e venne esiliato dalla sua città per lunghi anni. Al conflitto tra ateniesi e spartani, concluso con la vittoria di questi ultimi, è dedicata la sua opera storiografica, considerata un autentico capolavoro dell’antichità.
«Corriere della sera» del 13 ottobre 2005

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