Anno scolastico addio. Con un inno speciale al bocciato
di Davide Rondoni
In questi giorni sono andate in scena un sacco di commedie. No, non nei teatri, che devono pure fare i conti coi tagli del governo, né nei festival di cinema. Commedie di ogni genere si sono svolte sui palchi di diverso tipo dove va in scena il grande show di giugno: la fine della scuola.
Non mi riferisco solo ai tanti appuntamenti di natura più o meno teatrale, quei 'saggi' di fine anno, tra il delizioso, il grottesco e lo straziante che commuovono e affliggono famiglie e giovanissimi. Spesso le recite di fine anno volute da zelanti insegnanti (laiche o suore in questo senso poco cambia, dev’essere una pandemia) sono cose da lacrimucce ottocentesche mixate con stramberie all’ultima moda. Un mix di stili che nessuna avanguardia novecentesca o futura riesce ad eguagliare. Non solo le recite, dunque, ma le commedie spesso più simpatiche e surreali avvengono nelle sale degli scrutini, nelle pizzate di fine anno (sia degli alunni che dei genitori). Mi narrano scene incredibili. Woody Allen non concepirà mai nulla di simile. Storielle di invidie, di tiramenti, di ruffianerie, di gelosie che pensi riguardino le cene dei ragazzini, i loro chiassosi e fragili ritrovi in pizzeria, e invece no, vengono dalle mamme che si ritrovano a fine anno. (Usa di più la cena tra mamme - quella tra i babbi non suscita nessun interesse). Perché non c’è niente da fare, sembra proprio che viviamo immersi tutta la vita in una specie di dinamiche di classe. Altro che lotta di classe, come pensavano i vecchi marxisti, il motore della storia sembrano essere i dispetti di classe.
Sodalizi con rigide esclusioni, amicizie che vanno e vengono, 'sei più amica sua o mia?', e guarda quella come è vanitosa, e l’altra chi si crede di essere, o le sorprese di una bella amicizia, chissà perché, fiore così gratuito… E se gli scrutini sono spesso i luoghi dove si manifestano oltre a indubbie doti di saggezza e di equilibrio anche clamorose e micidiali forme di nevrosi e di stress, i ristoranti o i salotti piene di mamme a fine anno sono luoghi ad alto contenuto voltaico, e potrebbero essere usati come fonte di energia alternativa. Più che le pale eoliche.
Questa serie di commedie ha pure una morale, se proprio vogliamo trovarcela. Ed è questa: non basta nemmeno avere in comune i figli, per così dire. Per diventare amici, per essere più vicini, più solidali, più attenti gli uni agli altri, non basta nemmeno avere i figli insieme nello stesso posto per tre o cinque anni. Nemmeno se si mette in comune la cosa più preziosa si diventa per forza amici. Noi umani siamo esseri misteriosi. Non siamo mai 'costretti' al bene, nemmeno nelle circostanze più favorevoli. E questo è bello, perché il bene che non costa niente che bene è? Non ha nemmeno sapore. E dunque avere i figli che stanno insieme tra loro è un invito (non un obbligo) potente a stare insieme tra noi adulti, cercando il fiore dell’amicizia. Non è questa amicizia la eredità migliore che possiamo lasciare a loro?
Permettete una chiosa. Anche per motivi personali, vorrei alzare un inno speciale al bocciato. A quei ragazzini che hanno ora lo sguardo triste, e che raccolgono in genere quel che la loro svogliatezza ha seminato. La bocciatura è, come dice la parola, il colpo secco della boccia che colpisce la palla ferma e la sposta. È il colpo secco della realtà. Che non si può eludere con il disimpegno. Le bocce valgono tutte allo stesso modo. Essere bocciati non vuol dire valere di meno degli altri. Ma vuol dire subire un colpo della realtà che chiede di essere rispettata e amata di più, studiata e curata. Un colpo che è come una sveglia che suona. La cosa peggiore è romperla con un colpo di martello come nei cartoons e continuare a dormire, restando piccoli.
Non mi riferisco solo ai tanti appuntamenti di natura più o meno teatrale, quei 'saggi' di fine anno, tra il delizioso, il grottesco e lo straziante che commuovono e affliggono famiglie e giovanissimi. Spesso le recite di fine anno volute da zelanti insegnanti (laiche o suore in questo senso poco cambia, dev’essere una pandemia) sono cose da lacrimucce ottocentesche mixate con stramberie all’ultima moda. Un mix di stili che nessuna avanguardia novecentesca o futura riesce ad eguagliare. Non solo le recite, dunque, ma le commedie spesso più simpatiche e surreali avvengono nelle sale degli scrutini, nelle pizzate di fine anno (sia degli alunni che dei genitori). Mi narrano scene incredibili. Woody Allen non concepirà mai nulla di simile. Storielle di invidie, di tiramenti, di ruffianerie, di gelosie che pensi riguardino le cene dei ragazzini, i loro chiassosi e fragili ritrovi in pizzeria, e invece no, vengono dalle mamme che si ritrovano a fine anno. (Usa di più la cena tra mamme - quella tra i babbi non suscita nessun interesse). Perché non c’è niente da fare, sembra proprio che viviamo immersi tutta la vita in una specie di dinamiche di classe. Altro che lotta di classe, come pensavano i vecchi marxisti, il motore della storia sembrano essere i dispetti di classe.
Sodalizi con rigide esclusioni, amicizie che vanno e vengono, 'sei più amica sua o mia?', e guarda quella come è vanitosa, e l’altra chi si crede di essere, o le sorprese di una bella amicizia, chissà perché, fiore così gratuito… E se gli scrutini sono spesso i luoghi dove si manifestano oltre a indubbie doti di saggezza e di equilibrio anche clamorose e micidiali forme di nevrosi e di stress, i ristoranti o i salotti piene di mamme a fine anno sono luoghi ad alto contenuto voltaico, e potrebbero essere usati come fonte di energia alternativa. Più che le pale eoliche.
Questa serie di commedie ha pure una morale, se proprio vogliamo trovarcela. Ed è questa: non basta nemmeno avere in comune i figli, per così dire. Per diventare amici, per essere più vicini, più solidali, più attenti gli uni agli altri, non basta nemmeno avere i figli insieme nello stesso posto per tre o cinque anni. Nemmeno se si mette in comune la cosa più preziosa si diventa per forza amici. Noi umani siamo esseri misteriosi. Non siamo mai 'costretti' al bene, nemmeno nelle circostanze più favorevoli. E questo è bello, perché il bene che non costa niente che bene è? Non ha nemmeno sapore. E dunque avere i figli che stanno insieme tra loro è un invito (non un obbligo) potente a stare insieme tra noi adulti, cercando il fiore dell’amicizia. Non è questa amicizia la eredità migliore che possiamo lasciare a loro?
Permettete una chiosa. Anche per motivi personali, vorrei alzare un inno speciale al bocciato. A quei ragazzini che hanno ora lo sguardo triste, e che raccolgono in genere quel che la loro svogliatezza ha seminato. La bocciatura è, come dice la parola, il colpo secco della boccia che colpisce la palla ferma e la sposta. È il colpo secco della realtà. Che non si può eludere con il disimpegno. Le bocce valgono tutte allo stesso modo. Essere bocciati non vuol dire valere di meno degli altri. Ma vuol dire subire un colpo della realtà che chiede di essere rispettata e amata di più, studiata e curata. Un colpo che è come una sveglia che suona. La cosa peggiore è romperla con un colpo di martello come nei cartoons e continuare a dormire, restando piccoli.
«Avvenire» del 16 giugno 2010
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