di Giuliano Ferrara
È in pieno dispiegamento la solita «orchestrazione democratica» sul grave malcostume di trafficare in intercettazioni, venderle e rifilarle alla politica (anche ai fratelli Berlusconi, se necessario), pubblicarle per far copie e soldi e scandalo e azione politica faziosa a spese della vera giustizia, fatta di norme e limiti alle procedure dell’accusa: il direttore di Repubblica e gli editorialisti giudiziari del Corriere si danno la mano e fanno girotondo, gridano al regime autoritario e alla violazione dei diritti all’unisono con i comitati di redazione; articoli e opinionesse solenni si trasformano in volantini di pronto uso per popoli viola che promettono notti bianche (ma quanto colore!) e altri divertimenti costituzionali da raccontare ai nipoti quando saranno diventati, come diceva Eugène Ionesco guardando le barricate del Quartier Latin, «tutti notai».
Le voci di sinistra in difesa della privacy, che non è un ritrovato per proteggere i delinquenti ma un basilare diritto liberale, sono poche anche tra le vittime delle intercettazioni. Piero Fassino e Massimo D’Alema, che hanno avuto le carriere politiche gravemente lesionate da usi impropri dei nastri e da pubblicazioni a comando delle intercettazioni, non sempre rilevanti dal punto di vista giudiziario ma sempre utili sul piano politico e nella lotta tra potentati economico-finanziari, stanno sostanzialmente zitti. Qualche giovane deputato del Pd, come Giulio Calvisi, che pure è contrario alla nuova normativa, dice però che Sputtanopoli è «di destra», che la sinistra non deve aderire al paradigma sbirro-borbonico secondo cui chi teme le intercettazioni ha qualcosa da nascondere, che non ci si può affidare per vincere agli orwelliani «psicoreati». Ma è un coraggioso isolato; per il resto Pier Luigi Bersani si fa portare al guinzaglio da quel gruppo editoriale Espresso-Repubblica il cui capo non risparmia fendenti taglienti a lui, un «inidoneo a dirigere il Pd», e ai dirigenti della sua maggioranza. Invece di vivacchiare sotto lo staffile di Marco Travaglio, i democratici dovrebbero fare un gruppo chiamato «Articolo 15» e imbracciare il diritto alla segretezza delle comunicazioni, fissato in quella norma costituzionale tassativa, per sparigliare i giochi e riqualificare agli occhi dell’opinione pubblica l’armata mozzorecchi che la sinistra nel tempo è diventata.
Perché questo è il punto. Quando Silvio Berlusconi cita le intercettazioni, gli origliamenti e le spiate private a raffica, e il loro uso politico, le piazze esplodono in applausi. Tutti delinquenti? Un popolo di criminali? È ovvio che alla fine la legge lascerà liberi i magistrati d’indagare, e i giornali potranno dare le notizie come prima, però non si potrà impunemente fare mercato politico delle informazioni, non si potranno usare le intercettazioni per dare la caccia alle persone e costruire profili criminali prima, a lato o a prescindere da serie accuse portate in giudizio (l’udienza preliminare). Non sarà una perdita per la democrazia liberale, sarà un guadagno netto.
Le voci di sinistra in difesa della privacy, che non è un ritrovato per proteggere i delinquenti ma un basilare diritto liberale, sono poche anche tra le vittime delle intercettazioni. Piero Fassino e Massimo D’Alema, che hanno avuto le carriere politiche gravemente lesionate da usi impropri dei nastri e da pubblicazioni a comando delle intercettazioni, non sempre rilevanti dal punto di vista giudiziario ma sempre utili sul piano politico e nella lotta tra potentati economico-finanziari, stanno sostanzialmente zitti. Qualche giovane deputato del Pd, come Giulio Calvisi, che pure è contrario alla nuova normativa, dice però che Sputtanopoli è «di destra», che la sinistra non deve aderire al paradigma sbirro-borbonico secondo cui chi teme le intercettazioni ha qualcosa da nascondere, che non ci si può affidare per vincere agli orwelliani «psicoreati». Ma è un coraggioso isolato; per il resto Pier Luigi Bersani si fa portare al guinzaglio da quel gruppo editoriale Espresso-Repubblica il cui capo non risparmia fendenti taglienti a lui, un «inidoneo a dirigere il Pd», e ai dirigenti della sua maggioranza. Invece di vivacchiare sotto lo staffile di Marco Travaglio, i democratici dovrebbero fare un gruppo chiamato «Articolo 15» e imbracciare il diritto alla segretezza delle comunicazioni, fissato in quella norma costituzionale tassativa, per sparigliare i giochi e riqualificare agli occhi dell’opinione pubblica l’armata mozzorecchi che la sinistra nel tempo è diventata.
Perché questo è il punto. Quando Silvio Berlusconi cita le intercettazioni, gli origliamenti e le spiate private a raffica, e il loro uso politico, le piazze esplodono in applausi. Tutti delinquenti? Un popolo di criminali? È ovvio che alla fine la legge lascerà liberi i magistrati d’indagare, e i giornali potranno dare le notizie come prima, però non si potrà impunemente fare mercato politico delle informazioni, non si potranno usare le intercettazioni per dare la caccia alle persone e costruire profili criminali prima, a lato o a prescindere da serie accuse portate in giudizio (l’udienza preliminare). Non sarà una perdita per la democrazia liberale, sarà un guadagno netto.
«Panorama» del 15 giugno 2010
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