Nel Paese che ha tranciato tutti i legami culturali col passato nel nome della laicità forzata l’unica religione tollerata è l’islam. E prendersela con Israele è diventato lo sport nazionale
di Giorgio Israel
Mio padre era un ebreo di Salonicco, detta la Gerusalemme balcanica, perché due terzi della popolazione era ebraica: discendenti di ebrei provenienti dalla Spagna dopo la drammatica espulsione del 1492. Dopo secoli parlavano ancora lo spagnolo medioevale e le più di cinquanta sinagoghe della città portavano i nomi delle regioni o città di provenienza dell’antica Sefarad (la Spagna). All’avvento del potere greco, dopo la caduta dell’Impero ottomano, un incendio distrusse il quartiere ebraico e buona parte della popolazione emigrò. Quelli che restarono furono poi deportati e sterminati dai nazisti. Mio padre, ormai italiano, ripeteva di non avere alcun interesse a rivedere Salonicco, dove non c’era più traccia ebraica, mentre desiderava con tutto il cuore visitare la Spagna, la terra d’origine. Morì prima di poterlo fare. Quando lo feci io mi sembrava di andare in sua vece. Visitando le case medioevali di Toledo mi stupiva la similitudine architettonica con le case della famiglia a Salonicco, come erano riprodotte negli schizzi di mio padre o nelle foto d’epoca. Nelle sinagoghe rimaste vedevo le tracce di un grande evento storico brutalmente sradicato da un tragico atto di intolleranza.
Quando comunicai le mie impressioni ad amici spagnoli la delusione fu enorme. Pensavo che la testimonianza di una persona il cui padre parlava uno spagnolo antico e cui era stato trasmesso dopo quasi cinque secoli un intatto attaccamento a un paese e a una civiltà, avrebbe destato curiosità e interesse. Disinteresse assoluto. Incontravo piuttosto sguardi increduli: come se avessi detto a un romano che ero pronipote di Giulio Cesare.
Eppure la Spagna e l’Europa debbono tanto al lascito di una presenza ebraica che ha avuto un ruolo centrale nella trasmissione della cultura e della scienza greche. Al contrario, mentre il disinteresse per questo passato è totale, è assai diffuso l’interesse per le radici musulmane. Ma non ci si inganni: senza la minima sensibilità culturale e per mere ragioni politiche.
Da allora mi sono sempre più convinto che la Spagna sia un nobilissimo Paese tristemente allo sbando, che ha spezzato l’una dopo l’altra le sue radici culturali, ormai persino incapace di comprenderle storicamente. Le ha spezzate in un processo storico che è culminato in una terribile guerra civile, contrassegnata da una spietata divisione ideologica e che è stato il laboratorio non soltanto dell’offensiva nazifascista, ma anche dello stalinismo, il quale ha ivi consumato (va riletto Furet in merito) uno dei suoi più feroci bagni di sangue di trotzkisti e anarchici, che per parte loro non erano stinchi di santo. È stata una guerra civile seppellita da quarant’anni di dittatura che ha prodotto un deserto culturale e morale da cui si è creduto di uscire azzerando le divisioni e consegnandole al passato. Di certo era l’unica via possibile, a condizione di fare dell’oblio delle divisioni un fatto politico e non un fatto storico e culturale. Perché senza coscienza storica non esistono i parametri per comprendere e affrontare le sfide del presente. Così la Spagna è passata con incosciente velocità dal cattolicesimo tradizionale all’abolizione della famiglia, all’aborto libero delle minorenni, fino a un grottesco politicamente corretto che riscrive a scuola la favola di Biancaneve in versione femminista. Questo è il modello culturale e socio-economico che, secondo il ridicolo provincialismo di certi intellettuali progressisti nostrani, doveva essere assunto come riferimento.
Uno dei cadaveri che ingombrano in modo sempre più asfissiante il presente della Spagna è l’antisemitismo. La Spagna è forse il paese più anti-israeliano d’Europa e non c’è giorno in cui il diritto di opporsi alle politiche dello stato d’Israele o anche di contestare «l’errore» di averlo fondato non venga riaffermato asserendo che esso non può e non deve essere confuso con l’antisemitismo. È una solfa che ben conosciamo: l’antisionismo non è antisemitismo. Ma anche se ciò fosse vero - contrariamente a quanto dice saggiamente il nostro Presidente della Repubblica - per avere il diritto di fare questa distinzione bisognerebbe essere cristallini. Invece la storia dell’ultimo decennio (a dir poco) ci consegna l’immagine di un antisionismo spagnolo smaccatamente antisemita e razzista. Ci vorrebbero pagine per fornire una documentazione. Ma non dimentichiamo gli articoli del Pais (2002) in cui si definiva Sharon «assassino selettivo che non si sa perché lasci in vita Arafat»: «non per la sua religione: quello che noi chiamiamo Antico Testamento è implacabile». Non è antisemitismo questo? E come definire la vignetta del Mundo (2006) che riproponeva la solita tematica antigiudaica, rappresentando un soldato israeliano con un dente e un occhio in meno che portava sulle spalle due sacchi stracolmi di occhi e di denti? Potremmo continuare con le foto di manifestazioni in cui pullulano cartelli con la scritta «Judíos asesinos». Ma è assai più significativo il fatto che giornali di primissimo piano inquinino da anni le menti con editoriali e vignette intrisi di osceno antisemitismo.
Ora a seguito della vicenda al largo di Gaza, una feroce ondata di intolleranza si è diffusa in Spagna. Antisionismo? Chiamereste così la decisione di interdire alla delegazione israeliana di partecipare alla Marcia Gay che si svolgerà a Madrid dal 1° al 5 Luglio? Non è piuttosto smaccato razzismo? E che dire di quel che è successo alla Università Autonoma di Madrid, dove due conferenzieri israeliani hanno rischiato il linciaggio, non fischi e contestazioni ma il linciaggio fisico? Un editorialista del quotidiano ABC - un giornale che rappresenta una delle poche voci razionali del paese - si è chiesto: «perché un centinaio di pacifisti tentò di linciare il professor Eytan Levy, se non è militare né membro del governo né noto sionista? Per settarismo e per ignoranza». Ebbene, persino un editorialista che, con le migliori intenzioni condanna la «divisione feroce e irrazionale» dell’opinione pubblica, da mostra di una simile confusione morale. Come se, nel caso in cui il professore fosse stato militare, membro del governo o semplicemente sionista il linciaggio potesse essere comprensibile...
In un editoriale comparso il 9 giugno sul quotidiano catalano Vanguardia il professor Francesc de Carreras dell’Università di Barcellona reitera il tentativo di contestare che attaccare Israele e «mettere in dubbio l’opportunità dell'ONU di creare lo Stato di Israele» sia antisemitismo. Lo fa confezionando una storia dell’antisemitismo in pillole che dovrebbe fare vergogna a un ordinario di diritto costituzionale: a suo dire, gli ebrei furono perseguitati nell’antichità perché erano un gruppo «strano» («raro»)… Inutile dire che tra le persecuzioni sofferte dagli ebrei neppure cita l’espulsione del 1492 che pure dovrebbe rappresentare per uno spagnolo qualcosa di analogo a quel che è Auschwitz per i tedeschi.
Tanto di cappello ai pochissimi, come Hermann Tertsch e Gabriel Albiac che su ABC resistono a questa folle tempesta e chiedono perché il rettore dell’Università Autonoma di Madrid non si sia dimesso. Ma parlare così costa loro l’epiteto di nazisti. E allora vorrei chiudere con una domanda personale, ammesso che vi sia qualcuno interessato a rispondere: è ancora possibile per una persona col mio cognome e che non si sogna di fare professioni di antisionismo recarsi in Spagna assieme ai propri figli, che hanno la doppia nazionalità italiana e spagnola, senza rischiare di essere linciato?
Quando comunicai le mie impressioni ad amici spagnoli la delusione fu enorme. Pensavo che la testimonianza di una persona il cui padre parlava uno spagnolo antico e cui era stato trasmesso dopo quasi cinque secoli un intatto attaccamento a un paese e a una civiltà, avrebbe destato curiosità e interesse. Disinteresse assoluto. Incontravo piuttosto sguardi increduli: come se avessi detto a un romano che ero pronipote di Giulio Cesare.
Eppure la Spagna e l’Europa debbono tanto al lascito di una presenza ebraica che ha avuto un ruolo centrale nella trasmissione della cultura e della scienza greche. Al contrario, mentre il disinteresse per questo passato è totale, è assai diffuso l’interesse per le radici musulmane. Ma non ci si inganni: senza la minima sensibilità culturale e per mere ragioni politiche.
Da allora mi sono sempre più convinto che la Spagna sia un nobilissimo Paese tristemente allo sbando, che ha spezzato l’una dopo l’altra le sue radici culturali, ormai persino incapace di comprenderle storicamente. Le ha spezzate in un processo storico che è culminato in una terribile guerra civile, contrassegnata da una spietata divisione ideologica e che è stato il laboratorio non soltanto dell’offensiva nazifascista, ma anche dello stalinismo, il quale ha ivi consumato (va riletto Furet in merito) uno dei suoi più feroci bagni di sangue di trotzkisti e anarchici, che per parte loro non erano stinchi di santo. È stata una guerra civile seppellita da quarant’anni di dittatura che ha prodotto un deserto culturale e morale da cui si è creduto di uscire azzerando le divisioni e consegnandole al passato. Di certo era l’unica via possibile, a condizione di fare dell’oblio delle divisioni un fatto politico e non un fatto storico e culturale. Perché senza coscienza storica non esistono i parametri per comprendere e affrontare le sfide del presente. Così la Spagna è passata con incosciente velocità dal cattolicesimo tradizionale all’abolizione della famiglia, all’aborto libero delle minorenni, fino a un grottesco politicamente corretto che riscrive a scuola la favola di Biancaneve in versione femminista. Questo è il modello culturale e socio-economico che, secondo il ridicolo provincialismo di certi intellettuali progressisti nostrani, doveva essere assunto come riferimento.
Uno dei cadaveri che ingombrano in modo sempre più asfissiante il presente della Spagna è l’antisemitismo. La Spagna è forse il paese più anti-israeliano d’Europa e non c’è giorno in cui il diritto di opporsi alle politiche dello stato d’Israele o anche di contestare «l’errore» di averlo fondato non venga riaffermato asserendo che esso non può e non deve essere confuso con l’antisemitismo. È una solfa che ben conosciamo: l’antisionismo non è antisemitismo. Ma anche se ciò fosse vero - contrariamente a quanto dice saggiamente il nostro Presidente della Repubblica - per avere il diritto di fare questa distinzione bisognerebbe essere cristallini. Invece la storia dell’ultimo decennio (a dir poco) ci consegna l’immagine di un antisionismo spagnolo smaccatamente antisemita e razzista. Ci vorrebbero pagine per fornire una documentazione. Ma non dimentichiamo gli articoli del Pais (2002) in cui si definiva Sharon «assassino selettivo che non si sa perché lasci in vita Arafat»: «non per la sua religione: quello che noi chiamiamo Antico Testamento è implacabile». Non è antisemitismo questo? E come definire la vignetta del Mundo (2006) che riproponeva la solita tematica antigiudaica, rappresentando un soldato israeliano con un dente e un occhio in meno che portava sulle spalle due sacchi stracolmi di occhi e di denti? Potremmo continuare con le foto di manifestazioni in cui pullulano cartelli con la scritta «Judíos asesinos». Ma è assai più significativo il fatto che giornali di primissimo piano inquinino da anni le menti con editoriali e vignette intrisi di osceno antisemitismo.
Ora a seguito della vicenda al largo di Gaza, una feroce ondata di intolleranza si è diffusa in Spagna. Antisionismo? Chiamereste così la decisione di interdire alla delegazione israeliana di partecipare alla Marcia Gay che si svolgerà a Madrid dal 1° al 5 Luglio? Non è piuttosto smaccato razzismo? E che dire di quel che è successo alla Università Autonoma di Madrid, dove due conferenzieri israeliani hanno rischiato il linciaggio, non fischi e contestazioni ma il linciaggio fisico? Un editorialista del quotidiano ABC - un giornale che rappresenta una delle poche voci razionali del paese - si è chiesto: «perché un centinaio di pacifisti tentò di linciare il professor Eytan Levy, se non è militare né membro del governo né noto sionista? Per settarismo e per ignoranza». Ebbene, persino un editorialista che, con le migliori intenzioni condanna la «divisione feroce e irrazionale» dell’opinione pubblica, da mostra di una simile confusione morale. Come se, nel caso in cui il professore fosse stato militare, membro del governo o semplicemente sionista il linciaggio potesse essere comprensibile...
In un editoriale comparso il 9 giugno sul quotidiano catalano Vanguardia il professor Francesc de Carreras dell’Università di Barcellona reitera il tentativo di contestare che attaccare Israele e «mettere in dubbio l’opportunità dell'ONU di creare lo Stato di Israele» sia antisemitismo. Lo fa confezionando una storia dell’antisemitismo in pillole che dovrebbe fare vergogna a un ordinario di diritto costituzionale: a suo dire, gli ebrei furono perseguitati nell’antichità perché erano un gruppo «strano» («raro»)… Inutile dire che tra le persecuzioni sofferte dagli ebrei neppure cita l’espulsione del 1492 che pure dovrebbe rappresentare per uno spagnolo qualcosa di analogo a quel che è Auschwitz per i tedeschi.
Tanto di cappello ai pochissimi, come Hermann Tertsch e Gabriel Albiac che su ABC resistono a questa folle tempesta e chiedono perché il rettore dell’Università Autonoma di Madrid non si sia dimesso. Ma parlare così costa loro l’epiteto di nazisti. E allora vorrei chiudere con una domanda personale, ammesso che vi sia qualcuno interessato a rispondere: è ancora possibile per una persona col mio cognome e che non si sogna di fare professioni di antisionismo recarsi in Spagna assieme ai propri figli, che hanno la doppia nazionalità italiana e spagnola, senza rischiare di essere linciato?
«Il Giornale» del 12 giugno 2010
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