Dettagli sul caso Blagojevich che sfuggono ai commentatori italiani
di Mattia Ferraresi
Luigi Ferrarella fa bene a chiedersi se l’Italia possa dare lezioni di privacy agli americani ed è un peccato che l’editorialista del Corriere sprechi il nobile interrogativo dandosi la risposta sbagliata. L’argomento di Ferrarella contro la legge del governo sulle intercettazioni si basa sul parallelo con il caso di Rod Blagojevich, l’ex governatore dell’Illinois che in questi giorni è sotto processo per una lista di imputazioni fra cui spicca il famoso tentativo di vendere il seggio del Senato lasciato vacante da Barack Obama. “Già all’indomani dell’arresto il 9 dicembre del 2008 i giornali pubblicavano le intercettazioni che lo incriminavano: provenienti non da chissà quale suburra, ma da un documento ufficiale della procura al Tribunale federale, accessibile ai giornalisti in maniera trasparente”, scrive Ferrarella prima di concludere che con la nuova legge “in Italia un caso Blagojevich non si ripeterà”. Ma la versione di Ferrarella è così parziale da risultare falsa.
Rod Blagojevich è stato arrestato dopo un’inchiesta di tre anni legata a presunte trame di corruzione del governatore, invischiato nell’ambiente poco raccomandabile di Chicago e in rapporti più che ambigui con alcuni suoi protagonisti tipo Tony Rezko, palazzinaro, manovratore e finanziatore arrestato nel 2008. Il caso pubblico di Blagojevich è nato quando gli uomini della procura hanno intercettato le conversazioni a proposito della vendita del seggio del Senato al migliore offerente. Quando il procuratore generale dell’Illinois, Pat Fitzgerald – quello che ha indagato, fra gli altri, Scooter Libby e Lord Conrad Black – ha avuto prove a sufficienza per dimostrare che lì c’era il ragionevole sospetto di un reato che per ragioni di buon senso imponeva l’immediato arresto di Blagojevich, ha convocato una conferenza stampa per spiegare l’accaduto.
Fitzgerald non ha spiegato i dettagli dell’intera inchiesta né ha autorizzato la pubblicazione di tutte le intercettazioni, con le quali si sarebbero potuti riempire giornali da qui all’eternità: semplicemente ha incluso nel documento pubblico e citato a voce quegli stralci che dimostravano che lì c’era il rischio di un reato e non un reato qualsiasi, ma una nomina sulla quale solo il governatore aveva potere. Se lo scambio seggio-per-denaro fosse andato in porto non ci sarebbe stato verso di tornare indietro. La pubblicazione si è limitata agli eventi di interesse pubblico ed è stata subordinata al criterio della pertinenza e all’esigenza della tempestività. Niente sputtanamento privato, niente festini, niente perversioni, niente graticola. Blagojevich non si è dimesso dietro il ricatto delle intercettazioni, ma è rimasto al suo posto e il 31 dicembre 2008 ha nominato Roland Burris per il posto al Senato.
A far cadere il governatore è stata una procedura d’impeachment del Senato di Springfield, portata avanti secondo il rito legalmente riconosciuto. Sono i fatti che hanno portato alla caduta di Blagojevich, non la loro rappresentazione a mezzo intercettazioni. Per questi fatti deve rispondere a un giudice, e rischia fino a vent’anni di carcere. Tutto questo nonostante lo show di Fitzgerald – non certo un garantista – che aveva usato una narrativa iperbolica per descrivere le malefatte di Blagojevich. Qualche giorno dopo la conferenza stampa, il Wall Street Journal – giornale conservatore, quindi potenzialmente interessato a cavalcare lo sputtanamento della Chicago democratica – ha chiesto a Fitzgerald di tenere per sé le opinioni su Blagojevich e di limitarsi a fare il proprio lavoro.
Rod Blagojevich è stato arrestato dopo un’inchiesta di tre anni legata a presunte trame di corruzione del governatore, invischiato nell’ambiente poco raccomandabile di Chicago e in rapporti più che ambigui con alcuni suoi protagonisti tipo Tony Rezko, palazzinaro, manovratore e finanziatore arrestato nel 2008. Il caso pubblico di Blagojevich è nato quando gli uomini della procura hanno intercettato le conversazioni a proposito della vendita del seggio del Senato al migliore offerente. Quando il procuratore generale dell’Illinois, Pat Fitzgerald – quello che ha indagato, fra gli altri, Scooter Libby e Lord Conrad Black – ha avuto prove a sufficienza per dimostrare che lì c’era il ragionevole sospetto di un reato che per ragioni di buon senso imponeva l’immediato arresto di Blagojevich, ha convocato una conferenza stampa per spiegare l’accaduto.
Fitzgerald non ha spiegato i dettagli dell’intera inchiesta né ha autorizzato la pubblicazione di tutte le intercettazioni, con le quali si sarebbero potuti riempire giornali da qui all’eternità: semplicemente ha incluso nel documento pubblico e citato a voce quegli stralci che dimostravano che lì c’era il rischio di un reato e non un reato qualsiasi, ma una nomina sulla quale solo il governatore aveva potere. Se lo scambio seggio-per-denaro fosse andato in porto non ci sarebbe stato verso di tornare indietro. La pubblicazione si è limitata agli eventi di interesse pubblico ed è stata subordinata al criterio della pertinenza e all’esigenza della tempestività. Niente sputtanamento privato, niente festini, niente perversioni, niente graticola. Blagojevich non si è dimesso dietro il ricatto delle intercettazioni, ma è rimasto al suo posto e il 31 dicembre 2008 ha nominato Roland Burris per il posto al Senato.
A far cadere il governatore è stata una procedura d’impeachment del Senato di Springfield, portata avanti secondo il rito legalmente riconosciuto. Sono i fatti che hanno portato alla caduta di Blagojevich, non la loro rappresentazione a mezzo intercettazioni. Per questi fatti deve rispondere a un giudice, e rischia fino a vent’anni di carcere. Tutto questo nonostante lo show di Fitzgerald – non certo un garantista – che aveva usato una narrativa iperbolica per descrivere le malefatte di Blagojevich. Qualche giorno dopo la conferenza stampa, il Wall Street Journal – giornale conservatore, quindi potenzialmente interessato a cavalcare lo sputtanamento della Chicago democratica – ha chiesto a Fitzgerald di tenere per sé le opinioni su Blagojevich e di limitarsi a fare il proprio lavoro.
«Il Foglio» dell'11 giugno 2010
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Caro ministro, dia retta a Ferrara
di Luigi Ferrarella
di Luigi Ferrarella
Il Caso Illinois
Coraggio ministro della Giustizia, alla Camera accolga e anzi faccia subito approvare almeno l’«emendamento Ferrara», sacrosanto benché sicuramente involontario, che si agita e infine irrompe persino tra le righe di chi s’ingegna ad argomentare la bontà della legge votata dal Senato: consentire la pubblicazione almeno di «stralci delle intercettazioni» inserite «nei documenti pubblici» giudiziari, «limitata agli eventi di interesse pubblico e subordinata al criterio di pertinenza e all’esigenza di tempestività».
Sotto il titolo «Basta con Sputtanopoli», pochi giorni fa il direttore de il Foglio Giuliano Ferrara garantiva ai suoi lettori che «chiunque legga una decina di giornali stranieri non è mai, si dica mai, mai nella vita, incappato nelle lenzuolate delle intercettazioni che sono l’oggetto della contesa». Ieri invece i lettori del quotidiano hanno potuto apprendere dal loro giornale che non è proprio vero, e lo hanno appreso da una reazione all’articolo del Corriere che martedì sommessamente ricordava come per la verità già all’indomani dell’arresto a Chicago il 9 dicembre 2008 del governatore dell’Illinois, Rod Blagojevic (il cui processo è iniziato ora a 18 mesi di distanza), i giornali americani avessero potuto pubblicare le principali intercettazioni che lo incriminavano per la messa all’asta del seggio senatoriale lasciato libero dal presidente Obama; e come lo avessero potuto fare in maniera trasparente, attingendo alle 75 pagine inoltrate dalla Procura al Tribunale Federale e integrate in seguito dai documenti man mano prodotti dalla difesa. Schema che in Italia, con la nuova legge, non si potrà verificare perché fino al processo le intercettazioni non saranno pubblicabili mai, neppure per riassunto, anche se depositate e non più segrete, anche se penalmente rilevanti e su fatti non privati ma di interesse pubblico.
Il caso Blagojevic, ritiene invece di obiettare il Foglio, è diventato «un caso pubblico» quando «il procuratore generale ha convocato una conferenza stampa per spiegare l’accaduto» (l’arresto del governatore) e «ha incluso nel documento pubblico semplicemente quegli stralci di intercettazioni che dimostravano che lì c’era il rischio di un reato». E «la pubblicazione delle intercettazioni si è limitata agli eventi di interesse pubblico ed è stata subordinata al criterio della pertinenza e dell’esigenza della tempestività. Niente sputtanamento privato, niente graticola». Perfetto. Non si sarebbe potuto dire meglio. Solo che, a proposito di questi che il Foglio definisce «dettagli sul caso Blagojevic che sfuggono ai commentatori italiani» invitati a «separare i fatti dalle intercettazioni», all’anonimo articolista del quotidiano, forse momentaneamente separatosi dai fatti e in particolare dalla conoscenza della legge votata ieri dal Senato, sfugge il dettaglio che essa «fino alla fine delle indagini preliminari» vieterà la pubblicazione «anche parziale, per riassunto o nel contenuto» delle intercettazioni, comprese quelle inserite nelle ordinanze cautelari come ad esempio l’ordine d’arresto di ipotetici Blagojevic (comma 2-bis e 2-ter dell’articolo 114 del codice di procedura penale modificato dall’articolo 4 della legge): e dunque vieterà appunto di pubblicare— pena sanzioni pecuniarie all’editore fino a 309.000 euro, e arresto del giornalista fino a 30 giorni o ammenda fino a 10.000 euro —quegli stralci di intercettazioni che invece ora il Foglio si felicita siano stati portati alla conoscenza dei cittadini quando il governatore dell’Illinois fu arrestato. Si potrebbe appunto battezzarlo «emendamento Ferrara». Magari del tutto preterintenzionale. Ma pur sempre sacrosanto.
Sotto il titolo «Basta con Sputtanopoli», pochi giorni fa il direttore de il Foglio Giuliano Ferrara garantiva ai suoi lettori che «chiunque legga una decina di giornali stranieri non è mai, si dica mai, mai nella vita, incappato nelle lenzuolate delle intercettazioni che sono l’oggetto della contesa». Ieri invece i lettori del quotidiano hanno potuto apprendere dal loro giornale che non è proprio vero, e lo hanno appreso da una reazione all’articolo del Corriere che martedì sommessamente ricordava come per la verità già all’indomani dell’arresto a Chicago il 9 dicembre 2008 del governatore dell’Illinois, Rod Blagojevic (il cui processo è iniziato ora a 18 mesi di distanza), i giornali americani avessero potuto pubblicare le principali intercettazioni che lo incriminavano per la messa all’asta del seggio senatoriale lasciato libero dal presidente Obama; e come lo avessero potuto fare in maniera trasparente, attingendo alle 75 pagine inoltrate dalla Procura al Tribunale Federale e integrate in seguito dai documenti man mano prodotti dalla difesa. Schema che in Italia, con la nuova legge, non si potrà verificare perché fino al processo le intercettazioni non saranno pubblicabili mai, neppure per riassunto, anche se depositate e non più segrete, anche se penalmente rilevanti e su fatti non privati ma di interesse pubblico.
Il caso Blagojevic, ritiene invece di obiettare il Foglio, è diventato «un caso pubblico» quando «il procuratore generale ha convocato una conferenza stampa per spiegare l’accaduto» (l’arresto del governatore) e «ha incluso nel documento pubblico semplicemente quegli stralci di intercettazioni che dimostravano che lì c’era il rischio di un reato». E «la pubblicazione delle intercettazioni si è limitata agli eventi di interesse pubblico ed è stata subordinata al criterio della pertinenza e dell’esigenza della tempestività. Niente sputtanamento privato, niente graticola». Perfetto. Non si sarebbe potuto dire meglio. Solo che, a proposito di questi che il Foglio definisce «dettagli sul caso Blagojevic che sfuggono ai commentatori italiani» invitati a «separare i fatti dalle intercettazioni», all’anonimo articolista del quotidiano, forse momentaneamente separatosi dai fatti e in particolare dalla conoscenza della legge votata ieri dal Senato, sfugge il dettaglio che essa «fino alla fine delle indagini preliminari» vieterà la pubblicazione «anche parziale, per riassunto o nel contenuto» delle intercettazioni, comprese quelle inserite nelle ordinanze cautelari come ad esempio l’ordine d’arresto di ipotetici Blagojevic (comma 2-bis e 2-ter dell’articolo 114 del codice di procedura penale modificato dall’articolo 4 della legge): e dunque vieterà appunto di pubblicare— pena sanzioni pecuniarie all’editore fino a 309.000 euro, e arresto del giornalista fino a 30 giorni o ammenda fino a 10.000 euro —quegli stralci di intercettazioni che invece ora il Foglio si felicita siano stati portati alla conoscenza dei cittadini quando il governatore dell’Illinois fu arrestato. Si potrebbe appunto battezzarlo «emendamento Ferrara». Magari del tutto preterintenzionale. Ma pur sempre sacrosanto.
«Corriere della Sera» dell'11 giugno 2010
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