Il Continente resta molto ricco di fatti, come le economie emergenti e i conflitti che l’Occidente ignora. In aumento ora il pericolo dell’autoritarismo verso i media, a causa dell’influenza cinese
di Laura Silvia Battaglia
Una giungla di notizie senza visibilità. Questa è l’Africa di oggi, un continente in profonda trasformazione ma sempre molto ignorato. Dai governi, dalle organizzazioni internazionali, dai media. Eppure, pane per i denti di chi mastica notizie ce n’è in abbondanza.
Come dimostra la pubblicazione Africa&Media. Giornalismi e cronache nel continente dimenticato (Edizioni Gruppo Abele, euro 14,00, prefazione di Romano Prodi) che, in un colpo solo, ha la forza di abbattere tutte le banalità sui Paesi dell’Africa nera, dando voce a chi conosce le mille realtà di questa terra, a chi le vive e a chi tenta di raccontarle.
Non a caso, Africa&Media si avvale di due contributi eccezionali: un inedito di Ryszard Kapuscinski, il reporter polacco che ha fatto scuola nel giornalismo di guerra, e un brano, dai taccuini di Ilaria Alpi, la giornalista Rai uccisa in Somalia, sulla città fantasma di Mogadiscio nel conflitto del 1993.
«L’idea da cui questa pubblicazione prende vita – parla il curatore, il giornalista Mauro Sarti – è quella di ricordare Ilaria (a cui è intitolato un premio in video-giornalismo d’inchiesta, quest’anno alla sedicesima edizione, in corso da domani al 19 giugno a Riccione, ndr) parlando della sua Africa».
Un’Africa fatta di morte e distruzione, di apparente normalità e stato di polizia, di donne, bambini, mercati come centri di socializzazione, di file per il cibo e per il lavoro, di organizzazioni umanitarie ovunque, che aiutano, maneggiano soldi, sperperano.
Eppure sono passati più di 15 anni da «quella» Africa. Certo, ne sono passati ancora di più dal racconto di Kapuscinski che, nel 1963, cercava il Congo e trovava solo soldati e fucili, in lotteria con la sopravvivenza.
Tuttavia, in alcuni Paesi non troppo è cambiato: il dramma dei 180 mila profughi che, secondo le stime di questi giorni, sono fuggiti dalla Repubblica centrale africana a causa delle violenze dell’ugandese Esercito di resistenza del Signore, la dice lunga sull’emergenza democratica e umanitaria nel Continente. Ma l’Africa di oggi non è solo questo.
Stefano Marcelli, da vent’anni in Rai, inviato speciale per la trasmissione Mediterraneo, è uno degli autori dei saggi di questo volume: «È un errore pensare che, nel mondo africano, ci siano pochi giornali. Già in Nigeria, negli anni ’80, il numero delle testate era impressionante. Certo, non bisogna dimenticare che, a fronte di Paesi più sviluppati e tecnologicamente più liberi – come Sudafrica, Ghana, Marocco e l’ex Congo belga – ce ne sono altri dove la stampa o è governativa o non conosce altre vie. Con conseguenti persecuzioni per i giornalisti scomodi, come denunciano i rapporti di Reporters sans frontières ». E anche i grandi media occidentali – molto discusso è stato il caso della Rai a Nairobi – gettano la spugna, chiudendo progressivamente le loro sedi.
Secondo Marcelli «questo è il frutto dell’abbandono del Continente africano da parte degli Usa negli anni Novanta». E gli effetti sono due. Il primo: «In Africa la libertà di stampa è un indicatore di democrazia sempre più basso». Il secondo: «L’intensificazione della presenza politica e militare cinese, con il suo modello autoritario, economicamente rapace e non pluralistico, ha modificato l’uso e ha aumentato il controllo sui mass-media».
Nei contributi su Africa&Media (tra gli altri di Barbara Bastianelli, Clarissa Clò, Gabriele del Grande, Nicoletta del Pesco, Angelo Ferrari, Raffaele Masto, Enzo Nucci, Luciano Scalettari, Jean-Léonard Toudai, Pietro Veronese) si squadernano argomenti caldi per i giornalisti di tutto il mondo: le leggi sulle intercettazioni telefoniche e sulla rivelazione delle fonti, i rapporti con le gerarchie militari e con le multinazionali, i media come strumento di propaganda, la spettacolarizzazione dei conflitti.
Ma la vera riflessione è come l’Africa sia passata dal mondovillaggio al villaggio globale. E gli effetti sono sorprendenti. «L’informazione in Africa passa attraverso i network radiofonici – conferma Marcelli – soprattutto in area sub-sahariana. Ma la tecnologia leggera ha fatto miracoli: su un telefonino è possibile ricevere informazioni tramite sms, twitter o altri socialnetwork. Così il cellulare diventa veicolo di informazione libera rispetto ai media censurati, come stampa e televisioni di stato».
Uno spiraglio di informazione democratica e pubblica, però, potrebbe esserci, e si aprirebbe adesso in Sudafrica. Secondo Marcelli, «posto che stiamo parlando di un Paese in via sviluppo generale, legato all’Occidente per la sua storia, i Mondiali di calcio potrebbero essere l’occasione d’oro del Sudafrica per proporsi come il Paese pacificato in cui sperava Mandela». Come? «Dando via libera a tutti i media del mondo e ribaltando l’immagine che ci ha restituito la Cina dei Giochi olimpici: una macchina internazionale da censurare adducendo motivi economici».
Come dimostra la pubblicazione Africa&Media. Giornalismi e cronache nel continente dimenticato (Edizioni Gruppo Abele, euro 14,00, prefazione di Romano Prodi) che, in un colpo solo, ha la forza di abbattere tutte le banalità sui Paesi dell’Africa nera, dando voce a chi conosce le mille realtà di questa terra, a chi le vive e a chi tenta di raccontarle.
Non a caso, Africa&Media si avvale di due contributi eccezionali: un inedito di Ryszard Kapuscinski, il reporter polacco che ha fatto scuola nel giornalismo di guerra, e un brano, dai taccuini di Ilaria Alpi, la giornalista Rai uccisa in Somalia, sulla città fantasma di Mogadiscio nel conflitto del 1993.
«L’idea da cui questa pubblicazione prende vita – parla il curatore, il giornalista Mauro Sarti – è quella di ricordare Ilaria (a cui è intitolato un premio in video-giornalismo d’inchiesta, quest’anno alla sedicesima edizione, in corso da domani al 19 giugno a Riccione, ndr) parlando della sua Africa».
Un’Africa fatta di morte e distruzione, di apparente normalità e stato di polizia, di donne, bambini, mercati come centri di socializzazione, di file per il cibo e per il lavoro, di organizzazioni umanitarie ovunque, che aiutano, maneggiano soldi, sperperano.
Eppure sono passati più di 15 anni da «quella» Africa. Certo, ne sono passati ancora di più dal racconto di Kapuscinski che, nel 1963, cercava il Congo e trovava solo soldati e fucili, in lotteria con la sopravvivenza.
Tuttavia, in alcuni Paesi non troppo è cambiato: il dramma dei 180 mila profughi che, secondo le stime di questi giorni, sono fuggiti dalla Repubblica centrale africana a causa delle violenze dell’ugandese Esercito di resistenza del Signore, la dice lunga sull’emergenza democratica e umanitaria nel Continente. Ma l’Africa di oggi non è solo questo.
Stefano Marcelli, da vent’anni in Rai, inviato speciale per la trasmissione Mediterraneo, è uno degli autori dei saggi di questo volume: «È un errore pensare che, nel mondo africano, ci siano pochi giornali. Già in Nigeria, negli anni ’80, il numero delle testate era impressionante. Certo, non bisogna dimenticare che, a fronte di Paesi più sviluppati e tecnologicamente più liberi – come Sudafrica, Ghana, Marocco e l’ex Congo belga – ce ne sono altri dove la stampa o è governativa o non conosce altre vie. Con conseguenti persecuzioni per i giornalisti scomodi, come denunciano i rapporti di Reporters sans frontières ». E anche i grandi media occidentali – molto discusso è stato il caso della Rai a Nairobi – gettano la spugna, chiudendo progressivamente le loro sedi.
Secondo Marcelli «questo è il frutto dell’abbandono del Continente africano da parte degli Usa negli anni Novanta». E gli effetti sono due. Il primo: «In Africa la libertà di stampa è un indicatore di democrazia sempre più basso». Il secondo: «L’intensificazione della presenza politica e militare cinese, con il suo modello autoritario, economicamente rapace e non pluralistico, ha modificato l’uso e ha aumentato il controllo sui mass-media».
Nei contributi su Africa&Media (tra gli altri di Barbara Bastianelli, Clarissa Clò, Gabriele del Grande, Nicoletta del Pesco, Angelo Ferrari, Raffaele Masto, Enzo Nucci, Luciano Scalettari, Jean-Léonard Toudai, Pietro Veronese) si squadernano argomenti caldi per i giornalisti di tutto il mondo: le leggi sulle intercettazioni telefoniche e sulla rivelazione delle fonti, i rapporti con le gerarchie militari e con le multinazionali, i media come strumento di propaganda, la spettacolarizzazione dei conflitti.
Ma la vera riflessione è come l’Africa sia passata dal mondovillaggio al villaggio globale. E gli effetti sono sorprendenti. «L’informazione in Africa passa attraverso i network radiofonici – conferma Marcelli – soprattutto in area sub-sahariana. Ma la tecnologia leggera ha fatto miracoli: su un telefonino è possibile ricevere informazioni tramite sms, twitter o altri socialnetwork. Così il cellulare diventa veicolo di informazione libera rispetto ai media censurati, come stampa e televisioni di stato».
Uno spiraglio di informazione democratica e pubblica, però, potrebbe esserci, e si aprirebbe adesso in Sudafrica. Secondo Marcelli, «posto che stiamo parlando di un Paese in via sviluppo generale, legato all’Occidente per la sua storia, i Mondiali di calcio potrebbero essere l’occasione d’oro del Sudafrica per proporsi come il Paese pacificato in cui sperava Mandela». Come? «Dando via libera a tutti i media del mondo e ribaltando l’immagine che ci ha restituito la Cina dei Giochi olimpici: una macchina internazionale da censurare adducendo motivi economici».
«Avvenire» del 16 giugno 2010
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