08 maggio 2010

Se saper dire «quattro» è capire (e amare) la vita

Dare una notizia alla radio può diventare buona notizia
di Gabriella Sartori
Una bella notizia nella cronaca di questi giorni?
Trovarla non è stato facile. Eppure c’è.
Piccola, nascosta nel mucchio di mille altre notizie negative, subito travolta nella fiumana di titoli dedicati a devastanti maree nere, attentati terroristici, vulcani in eruzione con conseguente 'blocco' dei cieli, nuove puntate italiane sui (cattivi) rapporti fra morale e politica, la buona notizia è apparsa per la frazione di qualche secondo là dove meno si poteva aspettarselo: e cioè nel bel mezzo delle tragiche informazioni in arrivo da un’Atene incendiata da una sommossa popolare senza precedenti in un Paese giunto sull’orlo del fallimento, vittima di una dissennata politica di imbrogli.
È dunque accaduto che, verso le sette e trenta della mattina del sei maggio 2010, il conduttore di una radio nazionale, Radio24, abbia detto, come tutti gli altri, che le vittime innocenti dei disordini ateniesi sono state «tre dipendenti dell’unica banca restata aperta durante lo sciopero nazionale, un uomo e due donne, di cui una incinta di quattro mesi». Ma con un’aggiunta che fa la differenza: «E dunque», ha aggiunto il conduttore, «in realtà sono state quattro» le vite umane stroncate.
Tutto qui? Sì, ma non è poco. Non a caso, in tutti i telegiornali, le rassegne stampa ascoltate nel corso della mattinata, si è detto e scritto che le vittime erano 'tre' punto e basta, o, al massimo, che erano «tre di cui una donna incinta al quarto mese» e stop; per cui la precisazione fatta dal conduttore di cui sopra, secondo il quale le vittime sono state quattro, resta l’unica.
È questa la notizia: che ad un feto umano di quattro mesi sia stata ufficialmente riconosciuta, da una voce di cronista, la dignità umana di 'vittima innocente' al pari delle altre. Ci vuol coraggio ad essere così politicamente scorretti , perché il clima culturale dominante va, anche da noi, ,in tutt’altra direzione. Per esempio, guai a chi non ha applaudito all’introduzione anche nei nostri ospedali dell’aborto chimico con la Ru486; guai a chi osa farsi qualche domanda sul feto cosentino di 22 settimane sopravvissuto, in condizioni di totale abbandono per un giorno intero, a un aborto volontario a causa 'di malformazioni' di cui non è dato di conoscere l’entità… Se perciò ad un conduttore radiofonico capita di chiamare col suo nome un essere umano non ancora nato, non possiamo far a meno di notarlo. E con gioia. Vuol dire che la battaglia per il riconoscimento dei diritti fondamentali delle vite umane deboli e fragili (non nati, malati gravi, malformati, handicappati, bambine e bambini, ecc.) sta facendo passi avanti. È una battaglia dura, difficile ,che trova raramente sponda. Ma la cosa accade.
Noi pensiamo che, prima o poi, verrà il giorno in cui non occorrerà più tanto coraggio ad adoperarsi in concreto affinché un bambino sia effettivamente trattato come una persona, titolare di tutti i diritti che lo sviluppo umano le ha faticosamente riconosciuto con battaglie culturali lunghe un paio di millenni; e non farà più notizia il fatto che un cronista metta, nel conto delle vittime umane di un evento (sommossa, incidente, delitto, terremoto che sia) anche un bambino non nato. Sarà un bel giorno per tutti quelli che credono nell’uguaglianza, cioè nella pari dignità di tutti gli esseri umani, sani o malati, perfetti o non perfetti che siano. Quelli che, come noi, oggi non si rassegnano al silenzio, sanno che quel giorno, prima o poi, deve arrivare.
«Avvenire» dell'8 maggio 2010

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