di Aldo Maria Valli
Come si sa, un metodo rapido e infallibile per apparire illuminati progressisti politicamente molto corretti nonché aperti, lungimiranti, antidogmatici e amabilmente tolleranti è quello di sparare sul cristianesimo, sulla chiesa cattolica e sul Papa. Il successo è assicurato. In una cultura come la nostra, nella quale, per dire, se ti permetti di formulare un giudizio anche vagamente critico verso l’islam ti ritrovi automaticamente iscritto nel club dei reietti, parlar male del cristiano e del cattolico non solo è possibile, ma vivamente consigliato. La patente di libero pensatore è garantita. E poco importa che dal punto di vista storico ciò che tu dici sia insostenibile, condito di falsità e leggende. Nella società dell’immagine non c’è tempo per la storia, e approfondire è attività considerata poco compatibile con l’apparire. Ciò che conta è come tu ti presenti. E se vuoi essere à la page devi attrezzarti: prova a buttare là una battuta contro Benedetto XVI, fai un accenno ai preti che insidiano i bambini, ricorda che la chiesa è sempre stata un’istituzione retrograda, innalza un inno alla liberazione sessuale. Vedrai, non te ne pentirai. Da quando poi il sistema mondiale della comunicazione ha deciso di utilizzare i casi di sacerdoti pedofili per allestire un processo sommario contro il Papa e la chiesa (perché di questo in effetti si tratta, anche se nessuno nega che il reato-peccato c’è, e anche bello grosso e disgustoso), il procedimento suddetto ha ricevuto una sorta di certificazione. Ma il problema è: il cristiano sa controbattere? Purtroppo quel misto di ignoranza, mancanza di consapevolezza e superficialità che caratterizza il panorama culturale contemporaneo alligna anche fra i moderni seguaci di Gesù, i quali di conseguenza, una volta messi sotto attacco, non riescono a ributtare la palla nell’altra metà campo e si lasciano intristire senza una prospettiva.
La vulgata laicista
Bisogna dare il benvenuto quindi a un libro come Indagine sul cristianesimo di Francesco Agnoli (Piemme, 282 pagine, 17 euro), che dà gli strumenti non solo per rimandare la palla di là ma per organizzare un vero e proprio gioco offensivo incentrato su quello schema antico ma sempre nuovo che risponde al nome di verità. Un po’ saggio storico, un po’ approfondimento filosofico e teologico con incursioni nella sociologia della religione, il libro ha un intento dichiarato: fare piazza pulita della vulgata laicista secondo cui la maggior parte delle calamità e delle sventure abbattutesi sull’umanità da duemila anni a questa parte sarebbe made in christianity. Compito che Agnoli svolge con il giusto piglio polemico, anche prendendosela con qualche nostrano maitre à penser che ha fatto dell’anticristianesimo militante un marchio di fabbrica e un’ottima risorsa per campare di rendita sfruttando i più triti luoghi comuni. Ecco, appunto, i luoghi comuni. Agnoli ne mette in fila un bel po’. Ma a tutti aggiunge un salutare punto di domanda, premessa per distruggerli a colpi di verità storiche. Quella dell’imperatore Costantino non fu vera conversione ma solo mossa politica? Il cristianesimo è contro le donne? Il cristianesimo, là dove arriva, distrugge le culture locali? L’Inquisizione è stata solo una spietata macchina punitiva? La fede cristiana tiene i credenti in uno stato di passività? La chiesa quando le fa comodo usa la forza? Il cristianesimo è nemico della scienza e dell’istruzione? La rottura dell’unità fra i cristiani è stata colpa di Roma? Con l’elenco si potrebbe andare avanti a lungo. La storia si è incaricata di sgombrare il campo dalle falsità e Agnoli, puntigliosamente, corregge, confuta, precisa, contesta, chiarisce. Un’arringa difensiva appassionata, che offre gli strumenti per rispondere ai calunniatori e rimetterli al loro posto. E che, una confutazione dopo l’altra, dimostra come i comportamenti che oggi consideriamo più civili e i sentimenti che giudichiamo più nobili si siano formati non, come dicono i falsari della storia, nonostante il cristianesimo e la chiesa cattolica, ma precisamente grazie a loro.
Una vicenda poco nota
Una vicenda poco nota è quella che riguarda il nazista Alfred Rosenberg, autore di “Der Mythus des 20” (“Il mito del Ventesimo secolo”), opera seconda solo al Mein Kampf hitleriano come best seller del nazionalsocialismo. Con lo stesso Hitler e con Dietrich Eckart (finanziatore, fra l’altro, del primo quotidiano nazista), Rosenberg si intrattiene in lunghe discussioni incentrate sull’influenza nefasta che ebraismo e cristianesimo avrebbero avuto sull’umanità. Ai loro occhi, veramente, le due fedi si confondono, fino a diventare una cosa sola. Il cattolicesimo sarebbe una perversione del messaggio di Cristo operata dall’ebreo Paolo, Cristo sarebbe stato un vincitore e non uno sconfitto, un ariano e non un ebreo e, soprattutto, non avrebbe mai sostenuto di essere Dio. Inoltre il crocifisso, in quanto simbolo di martirio e di cedimento, andrebbe sostituito con monumenti ai soldati caduti per la patria. Rosenberg non perdona al cristianesimo di aver predicato e praticato l’universalismo e l’individualismo, nemici del concetto germanico di razza; difende le eresie come giuste reazioni alla “ipnosi romano-mediorientale” e si scaglia contro la caccia alle streghe condotta, dice, per togliere di mezzo le ultime tracce di religiosità pagana germanica. Ma il vero pericolo insito nel cristianesimo, scrive, è che innalza gli esseri inferiori. Questo il nazismo non può proprio accettarlo. La parola amore va eliminata; un popolo non può permettersi di cedere alla debolezza e all’umiltà. Le forze vitali sono ben altre. Sulla scia di Nietzsche, Rosenberg teorizza la creazione del superuomo attraverso l’eugenetica e sostiene che il cristianesimo potrà essere accettato solo dopo un’opportuna trasformazione: la chiesa cattolica romana dovrà essere soppressa, Cristo germanizzato, il Vecchio testamento eliminato e il Nuovo depurato eliminando le parti meno funzionali al dominio germanico. Non c’è da stupirsi che la chiesa cattolica metta il libro di Rosenberg all’indice. Ma intanto il volume, nonostante le sue settecento pagine, ha venduto più di due milioni di copie ed è stato imposto come testo obbligatorio nelle scuole di tutta la Germania. A guerra finita Rosenberg sarà giustiziato a Norimberga senza aver riveduto le sue idee e senza ombra di pentimento. Ma in ciò che sosteneva non avvertite qualcosa a noi familiare anche oggi?
«Il Foglio» del 7 maggio 2010
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