di Marco Girardo
Etica ed economia: un binomio che nell’ultimo anno ha riempito gli scaffali delle librerie. Difficile trovare un florilegio di pubblicazioni sul tema come quello che ha accompagnato la più grande crisi globale dal 1929 a oggi. A scricchiolare, del resto, sono state le fondamenta di un modello: il turbo-capitalismo finanziario che, a partire dagli anni Novanta, ha prima drogato e poi procurato un infarto ai mercati. Sul banco degli imputati è finito niente meno che l’ homo oeconomicus della teoria classica, soggettività paradigmatica le cui principali caratteristiche sono la razionalità (tecnico- scientifica) e l’attenzione esclusiva per gli interessi individuali. Per questo a indagare le origini del guasto al sistema non sono stati solo economisti e scienziati sociali, ma anche filosofi e teologi attenti alla dimensione morale. Peccato che spesso lo abbiano fatto senza dialogare tra loro. Con il rischio di finire nelle secche della polarizzazione: salviamo l’uomo e buttiamo il mercato oppure assolviamo l’inesorabile mercato e aggiustiamo in qualche modo l’uomo. A perlustrare il terreno della convergenza sono invece Luigi Zingales e Gianpaolo Salvini, opportunamente sollecitati dall’editorialista de Il Sole 24 Ore Salvatore Carrubba. Presenteranno oggi le conversazioni racchiuse in Il buono dell’economia. Etica e mercato oltre i luoghi comuni (Egea Università Bocconi editore, pp. 190, euro 16) negli incontri Exlibris organizzati a Milano dalla Fondazione «Corriere della Sera». Zingales è uno dei più brillanti economisti italiani di scuola liberale mentre il teologo gesuita Salvini dirige dal 1985 La Civiltà Cattolica e non è certo digiuno d’economia. Entrambi, il laico e il cattolico, non sono poi affetti dalla «dissonanza cognitiva», meccanismo inconscio per cui si tende a forzare le teorie o persino i fatti in funzione dalla propria visione del mondo inciampando così nei «luoghi comuni». I due convengono anzitutto sul fatto che l’economia di mercato – definizione che Zingales preferisce a «capitalismo» – si conferma il meno imperfetto fra gli strumenti per l’agire economico. Zingales e Salvini sono pure d’accordo che «ogni decisione economica ha una conseguenza morale», come indica Benedetto XVI nella Caritas in veritate . L’enciclica è un punto di riferimento costante. Anche perché, sottolinea il rettore della Bocconi Guido Tabellini nella prefazione, «condivide alcuni presupposti della visione liberale, ma si spinge oltre. Essa parla di persona, più che di individuo, e attribuisce alla persona un particolare contenuto di valori e di fini ultimi». È proprio da questa distinzione che si ramificano le due possibilità esplorate dagli autori per correggere le distorsioni del capitalismo. Quella che prende come riferimento l’individuo non può che affidarsi a una morale «eteronoma», esterna, con l’obiettivo di governare gli eccessi. Conduce quindi a più regole, più sanzioni, più governance e controllo. L’approccio che fa della persona il fondamento dell’architettura economico-sociale punta invece sulla capacità di generare cambiamento di una morale «autonoma», e cioè interiorizzata. Non dall’individuo, ma dalla persona. Quale strada imboccare? A seconda di come risponderà, l’economia disegnerà i suoi confini nel dopo-crisi. «Oltre i luoghi comuni», il mercato non appare in ogni caso autosufficiente. E ha bisogno di un ethos condiviso e radicato nella mentalità profonda della società.
Sfida antropologica prima che economica.
Sfida antropologica prima che economica.
«Avvenire» del 5 maggio 2010
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