Per mettere alla prova il nostro grado di emotività, dunque, abbiamo bisogno di "vero": un film choccante, un’opera d’arte provocatoria, da soli non bastano più. A ciò corrisponde l’abbassamento della soglia dell’osceno nell’era contemporanea
di Luca Beatrice
Nel 1993 George Holiday, un idraulico canadese, venne incluso tra gli artisti della prestigiosa Biennale del Whitney di New York perché si era trovato casualmente a filmare il pestaggio del nero Rodney King da parte della polizia di Los Angeles, un atto che fece scoppiare gravi disordini nella città californiana. Per la prima volta non si proponeva la rappresentazione di un episodio di cronaca in un ambito di finzione, ma il valore simbolico della realtà si supponeva talmente forte da rientrare nell’alveo dell’estetica, dove le cose sopravvivono alla rapida consumazione del quotidiano. Da lì in poi sono stati sempre più numerosi i casi di utilizzo del reale in diretta nella cosiddetta fiction, forse perché, come si disse a proposito dell’11 settembre, la realtà aveva superato la fantasia. Per mettere alla prova il nostro grado di emotività, dunque, abbiamo bisogno di «vero»: un film choccante, un’opera d’arte provocatoria, da soli non bastano più.
A ciò corrisponde l’abbassamento della soglia dell’osceno nell’era contemporanea. Secondo il filosofo francese Georges Bataille «osceno» è quello che avviene fuori dalla scena e quindi non può essere rappresentato. Nel teatro classico, in particolare, dalle tragedie greche a Shakespeare, al coro era affidato il racconto di ciò che il pubblico non doveva vedere, qualcosa di talmente violento da non essere tollerato dallo sguardo. Che cosa riportano i messaggeri? La morte violenta e l’atto sessuale. Da loro veniamo a sapere degli omicidi orditi da Lady Macbeth, dell’accoppiamento contro natura di Edipo e Giocasta, ed è quanto basta per creare turbamento in sala.
Sangue e sesso appariranno in scena solo a fine Ottocento, non a caso in una forma di teatro popolare considerata sgradevole e turpe, il Grand Guignol. È lo stesso periodo in cui Gustave Courbet dipinge il quadro scandalo L’origine du monde, il piano ravvicinato del sesso femminile, rimasto a lungo nei depositi del Musée d’Orsay e ripresentato al pubblico solo pochi anni fa. Il piccolo Courbet è davvero troppo realista per un’epoca dove ancora non esisteva la fotografia, e proprio per quest’eccesso di verità andava occultato.
Nell’attualità l’asticella dell’osceno è fissata su altri parametri. Da quando l’immagine-movimento del cinema (e quindi del video) subentra all’immagine fissa della pittura e della fotografia, è quasi impossibile che un’inquadratura statica da sola provochi orrore o repulsione. Ci vuole un’azione nel suo svolgersi per parlare di autentica provocazione e imporre la negazione allo sguardo. È capitato che video-amatoriali contenenti scene cruente siano stati mandati in onda senza l’epilogo più drammatico, ad esempio le esecuzioni talebane dei prigionieri: la nostra ondata emotiva raggiunge l’acme in attesa dello sparo o della mannaia del boia, basta conoscere la tragica fine per provare sdegno anche se non vediamo il corpo cadere nel sangue. Al contrario, se fosse presentata soltanto la foto di un cadavere, tale scatto statico perderebbe di realismo e finirebbe nel flusso indifferenziato di immagini che ci scorrono davanti ogni giorno.
Fino a pochi anni fa il cinema hard core aveva un suo star system di dive e pornoattori. Oggi il materiale più richiesto è quello del genere amateur, ovvero il sesso filmato dal buco della serratura. A tale categoria, derivata dai celebri mondo movies degli anni ’70 girati dai registi italiani Gualtiero Jacopetti e Ruggero Deodato (a volte tarocchi), appartiene il video di Marrazzo, per ora rimasto sulla soglia dell’invisibilità. Morte in diretta, sesso in opera hanno entrambi infranto la soglia dell’osceno e abitano nel nostro quotidiano. C’è da chiedersi se esistano ancora dei tabù irrappresentabili nella sfera del visivo. Forse la pedofilia, ma magari non per molto ancora. È comunque significativo che l’unica opera ritirata da una recente mostra a Londra, in quanto ritenuta offensiva, sia il remake fotografico di Richard Prince che ritrae una Brooke Shields nuda a 12 anni. Un’immagine che già esisteva ed era stata completamente dimenticata. Lo scandalo l’ha rimessa in circolo, basta cercare in rete e si trova facilmente.
A ciò corrisponde l’abbassamento della soglia dell’osceno nell’era contemporanea. Secondo il filosofo francese Georges Bataille «osceno» è quello che avviene fuori dalla scena e quindi non può essere rappresentato. Nel teatro classico, in particolare, dalle tragedie greche a Shakespeare, al coro era affidato il racconto di ciò che il pubblico non doveva vedere, qualcosa di talmente violento da non essere tollerato dallo sguardo. Che cosa riportano i messaggeri? La morte violenta e l’atto sessuale. Da loro veniamo a sapere degli omicidi orditi da Lady Macbeth, dell’accoppiamento contro natura di Edipo e Giocasta, ed è quanto basta per creare turbamento in sala.
Sangue e sesso appariranno in scena solo a fine Ottocento, non a caso in una forma di teatro popolare considerata sgradevole e turpe, il Grand Guignol. È lo stesso periodo in cui Gustave Courbet dipinge il quadro scandalo L’origine du monde, il piano ravvicinato del sesso femminile, rimasto a lungo nei depositi del Musée d’Orsay e ripresentato al pubblico solo pochi anni fa. Il piccolo Courbet è davvero troppo realista per un’epoca dove ancora non esisteva la fotografia, e proprio per quest’eccesso di verità andava occultato.
Nell’attualità l’asticella dell’osceno è fissata su altri parametri. Da quando l’immagine-movimento del cinema (e quindi del video) subentra all’immagine fissa della pittura e della fotografia, è quasi impossibile che un’inquadratura statica da sola provochi orrore o repulsione. Ci vuole un’azione nel suo svolgersi per parlare di autentica provocazione e imporre la negazione allo sguardo. È capitato che video-amatoriali contenenti scene cruente siano stati mandati in onda senza l’epilogo più drammatico, ad esempio le esecuzioni talebane dei prigionieri: la nostra ondata emotiva raggiunge l’acme in attesa dello sparo o della mannaia del boia, basta conoscere la tragica fine per provare sdegno anche se non vediamo il corpo cadere nel sangue. Al contrario, se fosse presentata soltanto la foto di un cadavere, tale scatto statico perderebbe di realismo e finirebbe nel flusso indifferenziato di immagini che ci scorrono davanti ogni giorno.
Fino a pochi anni fa il cinema hard core aveva un suo star system di dive e pornoattori. Oggi il materiale più richiesto è quello del genere amateur, ovvero il sesso filmato dal buco della serratura. A tale categoria, derivata dai celebri mondo movies degli anni ’70 girati dai registi italiani Gualtiero Jacopetti e Ruggero Deodato (a volte tarocchi), appartiene il video di Marrazzo, per ora rimasto sulla soglia dell’invisibilità. Morte in diretta, sesso in opera hanno entrambi infranto la soglia dell’osceno e abitano nel nostro quotidiano. C’è da chiedersi se esistano ancora dei tabù irrappresentabili nella sfera del visivo. Forse la pedofilia, ma magari non per molto ancora. È comunque significativo che l’unica opera ritirata da una recente mostra a Londra, in quanto ritenuta offensiva, sia il remake fotografico di Richard Prince che ritrae una Brooke Shields nuda a 12 anni. Un’immagine che già esisteva ed era stata completamente dimenticata. Lo scandalo l’ha rimessa in circolo, basta cercare in rete e si trova facilmente.
«Il Giornale» del 1 novembre 2009
Nessun commento:
Posta un commento