Nei fondi acquistati dal Vittoriale, documenti che illuminano opere quali Il piacere e Notturno. Con rivelazioni piccanti. Comunicazione, marketing e l'ingresso di privati hanno consentito di arricchire la collezione
di Giordano Bruno Guerri
Gabriele d’Annunzio ha edificato, ampliato e arredato il Vittoriale e i suoi giardini per 17 anni, curando ogni dettaglio. E non solo perché era la sua casa. Lui - che sedusse per tutta la vita donne, folle, lettori, ammiratori - voleva continuare a sedurre anche dopo la morte, e non gli bastavano le proprie opere letterarie. Il Vittoriale degli Italiani è un gigantesco, fantastico monumento a se stesso, alla propria vita, e - soprattutto - un modo per continuare a sedurre nei secoli a venire.
Il Poeta, il Vate, il Comandante, l’Amante Guerriero è riuscito nell’intento. Lo scopro ogni giorno negli occhi dei visitatori, soprattutto in quelli degli studenti: intere scolaresche che da ogni parte d’Italia vengono portate in pullman a Gardone Riviera. Entrano con l’aria un po’ mesta di chi deve svolgere un compito noioso: escono eccitati, quasi febbrili, per quello che hanno visto. Perché sono tante, nel mondo, le case/museo di scrittori, artisti e personaggi illustri. Ma nessuna, oltre al Vittoriale, ha la caratteristica di essere conservata com’era il 1° marzo 1938, quando d’Annunzio morì: persino gli occhiali che gli caddero dalla testa sono ancora lì, sul tavolo dove stava lavorando. Immensa è la suggestione dell’arredamento, apparentemente folle ma ragionatissimo, creazione di un genio rivoluzionario - anche - del gusto.
Un museo, però, non può né deve essere una cosa inerte, statica. Per questo da quando, un anno fa, il ministro Sandro Bondi mi ha designato alla presidenza del Vittoriale, ho intrapreso una serie di iniziative che - con l’aiuto di sponsor privati - renderanno l’«offerta» sempre più ricca: per esempio un nuovo museo, «D’Annunzio segreto», metterà in mostra tutto ciò che da sempre è chiuso negli armadi e nei cassetti: i meravigliosi vestiti del Poeta e delle sue donne, le calzature, la cancelleria, le stoviglie e le tovaglie preziose, migliaia di oggetti finora non visibili. E, a proposito di vedere, oggi il Vittoriale di notte è una macchia buia: un’illuminazione esterna realizzata da un grande artista della luce lo renderà superbo e visibile e visitabile anche di sera, uno splendore sul lago di Garda. Poi ci sono gli studenti, che non possono più accontentarsi di opuscoli e materiale cartaceo, e che avranno a disposizione apparecchiature per la realtà virtuale, computer, tavoli touch-screen. Con queste e con molte altre iniziative, fra cui lo sfruttamento commerciale del marchio, credo di poter realizzare - in modo culturalmente corretto e imprenditorialmente sano - l’indicazione di Sandro Bondi e di Mario Resca, nuovo direttore per la Valorizzazione dei siti museali: usare la comunicazione e il marketing perché i musei siano più attraenti, quindi più frequentati. La ricetta funziona: è bastato un minimo di comunicazione e di marketing perché i visitatori - in calo preoccupante - aumentassero nel corso dell’ultimo anno.
La ricetta funzionerà ancora di più con l’imminente privatizzazione del Vittoriale. È un esperimento pilota deciso anni fa, quando la casa di d’Annunzio fu assurdamente messa nell’elenco degli «enti inutili», e che dovrà servire da esempio virtuoso. «Privatizzazione», naturalmente, non significa né che il Vittoriale verrà venduto, né che il consiglio d’amministrazione potrà farne un albergo a sei stelle. Significa che il Vittoriale rinuncerà al contributo ministeriale, cioè al denaro pubblico, ma potrà far entrare nel consiglio di amministrazione fondazioni e privati disposti a investirci: per la cultura e non per il guadagno.
Un magnifico esempio della collaborazione tra pubblico e privato è già stato realizzato, l’estate scorsa, proprio al Vittoriale. Il quale dispone di un immenso patrimonio bibliotecario e archivistico, continuamente esplorato da studiosi e studenti: ai 33.000 volumi appartenuti a d’Annunzio si sono aggiunti 8.000 volumi di studio; sono sterminati l’archivio iconografico e quello dei ritagli, oltre la filmoteca e la nastroteca; i documenti d’archivio sono molte centinaia di migliaia, in parte ancora in corso di catalogazione. Ma d’Annunzio scriveva più di un grafomane (per fortuna) e suoi inediti, soprattutto lettere, continuano a spuntare qua e là.
Mi è venuto un groppo in gola, l’estate scorsa, quando l’archivista del Vittoriale, Roberta Valbusa, mi ha comunicato che la casa d’aste Bloomsbury di Roma annunciava la messa all’asta di un importante lotto di corrispondenza, documenti e fotografie - tutto inedito - fra il Poeta e Luisa Baccara. La corrispondenza fra Ariel, come si firmava, e Luisa si trovava già quasi tutta al Vittoriale, ma quelle carte erano sfuggite, chissà come, all’eredità lasciata al museo dalla Baccara. La base d’asta era di circa 50.000 euro: dove la trovo io, in pochi giorni, una simile cifra? I bilanci del Vittoriale sono in attivo (caso rarissimo), ma quel poco che viene accantonato serve per i restauri. Da qui la necessità di nuove iniziative che permettano, oltre la conservazione, anche lo sviluppo.
Bene, in Italia abbiamo una buona legge, che permette di porre un vincolo a simili aste: in pratica, dopo il vincolo, uno dei numerosi collezionisti di d’Annunzio può anche acquistare, ma poi è sottoposto all’occhiuta vigilanza dello Stato e non può né rivendere liberamente né tantomeno portare all’estero i documenti. L’interesse dei privati, dunque, scema. La dottoressa Ornella Foglieni, sovrintendente dei beni librari della Lombardia, ha subito messo il vincolo, e a quel punto si trattava di trovare - in poche ore - 50.000 euro.
Era il giorno di Sant’Antonio, ma non per questo ho telefonato all’ambasciatore Antonio Spada, membro del consiglio d’amministrazione della Fondazione Cab (Credito Agrario Bresciano), amico del Vittoriale come tutta la Fondazione Cab. Mi ha dato la risposta più ovvia, che è difficile trovare una cifra simile in così poco tempo. Dopo mezz’ora mi ha richiamato, avendo sentito il segretario della Fondazione Agostino Mantovani e il presidente, Alberto Folonari: i 50.000 euro c’erano. Da allora mi permetto di chiamare Sant’Antonio l’ambasciatore Antonio Spada.
Non è mica finita. Passa una settimana, neanche il tempo di festeggiare, e Bolaffi annuncia che a Torino verrà messo all’asta un altro lotto d’Annunzio-Baccara, altrettanto prezioso e appena meno costoso: 35.000 euro. Ve la faccio breve: con una faccia tosta di cui non sarei capace per esigenze personali, ho ripetuto la trafila. Il miracolo si è ripetuto. (Un terzo miracolo sta forse per avvenire, ma taccio per scaramanzia).
Dal 14 settembre, durante lo svolgimento di un convegno sull’impresa di Fiume, i due lotti si trovano al Vittoriale, e è in corso la catalogazione. Si tratta di documenti importanti, che completano il molto già presente nel nostro archivio su una delle vicende sentimentali e intellettuali più singolari e fascinose del Novecento, anche con particolari assai piccanti. In più ci sono tre testamenti di d’Annunzio, tre pagine autografe del Notturno, zeppe di correzioni che daranno la febbre ai filologi, una meravigliosa lettera del 1931 in cui il Poeta annuncia di avere riletto, dopo 42 anni, Il Piacere: «E, in ogni pagina, trovo un segno di me, un ricordo di me vivo. Io fui Andrea Sperelli, compiutamente. E, nel fondo, nei gusti, nella mutevolezza, nella grazia, nella malinconia, non sono mutato. Me ne addoloro e me ne vergogno, me ne compiaccio e me ne rammarico. (...) È il primo libro d’un giovane scellerato, ma riconosco che è pieno zeppo d’ingegno». Insomma, pane abbondante da mettere sotto i denti degli studiosi, che probabilmente troveranno l’intero carteggio nei Nuovi Quaderni del Vittoriale, di cui ho ripreso la pubblicazione, insieme alla nuova guida al museo.
Poiché le imprese audaci suscitano simpatia, appena si è saputo dell’acquisizione dei nuovi documenti, altri ne sono arrivati, spontaneamente. Il generoso, amabile, dottor Vittorio Pirlo, classe 1915, che conobbe d’Annunzio nel 1927, è uno dei pochi che lo ricordano, nitidamente, vivo: ha voluto contribuire al completamento del carteggio Baccara mettendo a disposizione del Vittoriale un centinaio di autografi della pianista. Il dottor Paolo Alberto Fortunato, figlio dell’ufficiale del Genio Navale che sistemò la nave Puglia sulle colline del Vittoriale (ebbene sì, abbiamo anche una nave, altro che Fitzcarraldo), ha messo a disposizione tutta la documentazione: foto, documenti, autografi di d’Annunzio, fotografie, che arricchiranno il piccolo museo all’interno della nave.
Altre carte arriveranno presto, ma debbo ancora mantenere il riserbo. Dico ai quattro venti, invece, che: tutto ciò capita quando un museo è vivo e vitale, quando si coniugano cultura e imprenditoria e quando il bene pubblico si sposa - finalmente e felicemente - con l’iniziativa privata.
Il Poeta, il Vate, il Comandante, l’Amante Guerriero è riuscito nell’intento. Lo scopro ogni giorno negli occhi dei visitatori, soprattutto in quelli degli studenti: intere scolaresche che da ogni parte d’Italia vengono portate in pullman a Gardone Riviera. Entrano con l’aria un po’ mesta di chi deve svolgere un compito noioso: escono eccitati, quasi febbrili, per quello che hanno visto. Perché sono tante, nel mondo, le case/museo di scrittori, artisti e personaggi illustri. Ma nessuna, oltre al Vittoriale, ha la caratteristica di essere conservata com’era il 1° marzo 1938, quando d’Annunzio morì: persino gli occhiali che gli caddero dalla testa sono ancora lì, sul tavolo dove stava lavorando. Immensa è la suggestione dell’arredamento, apparentemente folle ma ragionatissimo, creazione di un genio rivoluzionario - anche - del gusto.
Un museo, però, non può né deve essere una cosa inerte, statica. Per questo da quando, un anno fa, il ministro Sandro Bondi mi ha designato alla presidenza del Vittoriale, ho intrapreso una serie di iniziative che - con l’aiuto di sponsor privati - renderanno l’«offerta» sempre più ricca: per esempio un nuovo museo, «D’Annunzio segreto», metterà in mostra tutto ciò che da sempre è chiuso negli armadi e nei cassetti: i meravigliosi vestiti del Poeta e delle sue donne, le calzature, la cancelleria, le stoviglie e le tovaglie preziose, migliaia di oggetti finora non visibili. E, a proposito di vedere, oggi il Vittoriale di notte è una macchia buia: un’illuminazione esterna realizzata da un grande artista della luce lo renderà superbo e visibile e visitabile anche di sera, uno splendore sul lago di Garda. Poi ci sono gli studenti, che non possono più accontentarsi di opuscoli e materiale cartaceo, e che avranno a disposizione apparecchiature per la realtà virtuale, computer, tavoli touch-screen. Con queste e con molte altre iniziative, fra cui lo sfruttamento commerciale del marchio, credo di poter realizzare - in modo culturalmente corretto e imprenditorialmente sano - l’indicazione di Sandro Bondi e di Mario Resca, nuovo direttore per la Valorizzazione dei siti museali: usare la comunicazione e il marketing perché i musei siano più attraenti, quindi più frequentati. La ricetta funziona: è bastato un minimo di comunicazione e di marketing perché i visitatori - in calo preoccupante - aumentassero nel corso dell’ultimo anno.
La ricetta funzionerà ancora di più con l’imminente privatizzazione del Vittoriale. È un esperimento pilota deciso anni fa, quando la casa di d’Annunzio fu assurdamente messa nell’elenco degli «enti inutili», e che dovrà servire da esempio virtuoso. «Privatizzazione», naturalmente, non significa né che il Vittoriale verrà venduto, né che il consiglio d’amministrazione potrà farne un albergo a sei stelle. Significa che il Vittoriale rinuncerà al contributo ministeriale, cioè al denaro pubblico, ma potrà far entrare nel consiglio di amministrazione fondazioni e privati disposti a investirci: per la cultura e non per il guadagno.
Un magnifico esempio della collaborazione tra pubblico e privato è già stato realizzato, l’estate scorsa, proprio al Vittoriale. Il quale dispone di un immenso patrimonio bibliotecario e archivistico, continuamente esplorato da studiosi e studenti: ai 33.000 volumi appartenuti a d’Annunzio si sono aggiunti 8.000 volumi di studio; sono sterminati l’archivio iconografico e quello dei ritagli, oltre la filmoteca e la nastroteca; i documenti d’archivio sono molte centinaia di migliaia, in parte ancora in corso di catalogazione. Ma d’Annunzio scriveva più di un grafomane (per fortuna) e suoi inediti, soprattutto lettere, continuano a spuntare qua e là.
Mi è venuto un groppo in gola, l’estate scorsa, quando l’archivista del Vittoriale, Roberta Valbusa, mi ha comunicato che la casa d’aste Bloomsbury di Roma annunciava la messa all’asta di un importante lotto di corrispondenza, documenti e fotografie - tutto inedito - fra il Poeta e Luisa Baccara. La corrispondenza fra Ariel, come si firmava, e Luisa si trovava già quasi tutta al Vittoriale, ma quelle carte erano sfuggite, chissà come, all’eredità lasciata al museo dalla Baccara. La base d’asta era di circa 50.000 euro: dove la trovo io, in pochi giorni, una simile cifra? I bilanci del Vittoriale sono in attivo (caso rarissimo), ma quel poco che viene accantonato serve per i restauri. Da qui la necessità di nuove iniziative che permettano, oltre la conservazione, anche lo sviluppo.
Bene, in Italia abbiamo una buona legge, che permette di porre un vincolo a simili aste: in pratica, dopo il vincolo, uno dei numerosi collezionisti di d’Annunzio può anche acquistare, ma poi è sottoposto all’occhiuta vigilanza dello Stato e non può né rivendere liberamente né tantomeno portare all’estero i documenti. L’interesse dei privati, dunque, scema. La dottoressa Ornella Foglieni, sovrintendente dei beni librari della Lombardia, ha subito messo il vincolo, e a quel punto si trattava di trovare - in poche ore - 50.000 euro.
Era il giorno di Sant’Antonio, ma non per questo ho telefonato all’ambasciatore Antonio Spada, membro del consiglio d’amministrazione della Fondazione Cab (Credito Agrario Bresciano), amico del Vittoriale come tutta la Fondazione Cab. Mi ha dato la risposta più ovvia, che è difficile trovare una cifra simile in così poco tempo. Dopo mezz’ora mi ha richiamato, avendo sentito il segretario della Fondazione Agostino Mantovani e il presidente, Alberto Folonari: i 50.000 euro c’erano. Da allora mi permetto di chiamare Sant’Antonio l’ambasciatore Antonio Spada.
Non è mica finita. Passa una settimana, neanche il tempo di festeggiare, e Bolaffi annuncia che a Torino verrà messo all’asta un altro lotto d’Annunzio-Baccara, altrettanto prezioso e appena meno costoso: 35.000 euro. Ve la faccio breve: con una faccia tosta di cui non sarei capace per esigenze personali, ho ripetuto la trafila. Il miracolo si è ripetuto. (Un terzo miracolo sta forse per avvenire, ma taccio per scaramanzia).
Dal 14 settembre, durante lo svolgimento di un convegno sull’impresa di Fiume, i due lotti si trovano al Vittoriale, e è in corso la catalogazione. Si tratta di documenti importanti, che completano il molto già presente nel nostro archivio su una delle vicende sentimentali e intellettuali più singolari e fascinose del Novecento, anche con particolari assai piccanti. In più ci sono tre testamenti di d’Annunzio, tre pagine autografe del Notturno, zeppe di correzioni che daranno la febbre ai filologi, una meravigliosa lettera del 1931 in cui il Poeta annuncia di avere riletto, dopo 42 anni, Il Piacere: «E, in ogni pagina, trovo un segno di me, un ricordo di me vivo. Io fui Andrea Sperelli, compiutamente. E, nel fondo, nei gusti, nella mutevolezza, nella grazia, nella malinconia, non sono mutato. Me ne addoloro e me ne vergogno, me ne compiaccio e me ne rammarico. (...) È il primo libro d’un giovane scellerato, ma riconosco che è pieno zeppo d’ingegno». Insomma, pane abbondante da mettere sotto i denti degli studiosi, che probabilmente troveranno l’intero carteggio nei Nuovi Quaderni del Vittoriale, di cui ho ripreso la pubblicazione, insieme alla nuova guida al museo.
Poiché le imprese audaci suscitano simpatia, appena si è saputo dell’acquisizione dei nuovi documenti, altri ne sono arrivati, spontaneamente. Il generoso, amabile, dottor Vittorio Pirlo, classe 1915, che conobbe d’Annunzio nel 1927, è uno dei pochi che lo ricordano, nitidamente, vivo: ha voluto contribuire al completamento del carteggio Baccara mettendo a disposizione del Vittoriale un centinaio di autografi della pianista. Il dottor Paolo Alberto Fortunato, figlio dell’ufficiale del Genio Navale che sistemò la nave Puglia sulle colline del Vittoriale (ebbene sì, abbiamo anche una nave, altro che Fitzcarraldo), ha messo a disposizione tutta la documentazione: foto, documenti, autografi di d’Annunzio, fotografie, che arricchiranno il piccolo museo all’interno della nave.
Altre carte arriveranno presto, ma debbo ancora mantenere il riserbo. Dico ai quattro venti, invece, che: tutto ciò capita quando un museo è vivo e vitale, quando si coniugano cultura e imprenditoria e quando il bene pubblico si sposa - finalmente e felicemente - con l’iniziativa privata.
«Il Giornale» del 1 novembre 2009
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