Lo storico della Cattolica: visione ancora imperfetta, ma ci stiamo muovendo sulla strada giusta
di Giovanni Ruggiero
Dicono che i manuali di scuola non sono attuali, che invece «la storia siamo noi» ed altri luoghi comuni. Ma è possibile fare storia serena e corretta quando per storia si intendono fatti che sono successi appena ieri? Sono soltanto 20 anni dalla caduta del Muro, e 20 anni stesi sul filo dei secoli sono appena un battito di ciglia. Ne parliamo con il professore Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea alla Cattolica di Milano.
Professore, nei manuali come sono proposti la caduta del Muro e altri fatti recenti? C’è serenità?
Sono eventi recenti, e sono ancora in corso le analisi degli storici. I manuali, per loro natura, sono sempre un po’ in ritardo rispetto alle acquisizioni più recenti della storiografia. È inevitabile che prima di riversare quanto elaborato nei manuali ci sia una fase in cui il dibattito propone qualcosa di nuovo, che poi si consolida e infine finisce nel libro di testo. Oggi questi manuali propongono un’immagine della fine del comunismo un po’ arretrata rispetto alla storiografia che è andata più avanti. Siamo però nella strada giusta: ci stiamo muovendo su una visione, magari ancora limitata, imperfetta, che però comincia a offrire elementi solidi di riflessione, in un quadro piuttosto sereno, senza grandi scontri ideologici.
Il Muro, ma anche altri fatti: come piazza Tien An Men, o il Sessantotto, Moro, le Brigate rosse, tutto vicino a noi. È già storia tutto questo o no?
Sono convinto di sì. Credo che si possa fare storia di questi periodi ancora vicini. Facciamo l’esempio del ’68. Sono già quarant’anni da quei fatti, e non sono pochi. Teniamo conto che De Felice scriveva sul Fascismo nei primi anni Sessanta, sostanzialmente a meno di 20 anni dalla fine del regime. Ma si potrebbe dire la stessa cosa di Spadolini, Scoppola, Acquarone e altri di una intera generazione di storici che in quegli anni ’60 ponevano le basi di una storiografia che poi si è evoluta.
Lei, dunque, non crede che la distanza di tempo sia fondamentale?
Più tempo permette di acquisire maggiori conoscenze e documenti ed è chiaro che la distanza aiuta molto, però non è impossibile avere una serenità di giudizio. A condizione però che si creda alla importanza della conoscenza storica vera e propria, che è qualcosa di molto diverso dalla conoscenza ideologica e politica. In passato gli storici erano più condizionati dall’ideologia e dalla politica, oggi questo avviene poco.
Ma i vari orientamenti storici non sono comunque ideologicamente indirizzati?
Le divisioni di un tempo sono meno accentuate. Un esempio: la fine del comunismo con il Muro. Ci sono due scuole che si confrontano: una che sottolinea l’importanza del ruolo dei grandi protagonisti, Gorbaciov e Reagan, l’altra invece dà più importanza agli attori locali, come per esempio al ruolo avuto dalle vicende polacche. Questa contrapposizione non ha sapore ideologico, ma rappresenta solo una divergenza naturale che il lavoro storico comporta quando appunto si dà più importanza a un fattore che a un altro.
Se non altro per la vicinanza dei fatti, questi sono più documentati di quelli più antichi. Della caduta del Muro abbiamo anche i filmati. Certo non possediamo quelli di Enrico IV a Canossa. Questo non significa anche una maggiore veridicità delle fonti?
Sicuramente la storia contemporanea è caratterizzata da una maggiore quantità di fonti, cosa che non c’è per altri periodi. È un grosso vantaggio, ma è anche un problema, perché anzitutto non è possibile tener conto di ogni documento, proprio perché sono tantissimi, e poi perché bisogna fare una scelta, assumere quelli più importanti e significativi. Ciò comporta una maggiore responsabilità dello storico contemporaneista, che si trova anche a scegliere quali documenti privilegiare.
Professore, nei manuali come sono proposti la caduta del Muro e altri fatti recenti? C’è serenità?
Sono eventi recenti, e sono ancora in corso le analisi degli storici. I manuali, per loro natura, sono sempre un po’ in ritardo rispetto alle acquisizioni più recenti della storiografia. È inevitabile che prima di riversare quanto elaborato nei manuali ci sia una fase in cui il dibattito propone qualcosa di nuovo, che poi si consolida e infine finisce nel libro di testo. Oggi questi manuali propongono un’immagine della fine del comunismo un po’ arretrata rispetto alla storiografia che è andata più avanti. Siamo però nella strada giusta: ci stiamo muovendo su una visione, magari ancora limitata, imperfetta, che però comincia a offrire elementi solidi di riflessione, in un quadro piuttosto sereno, senza grandi scontri ideologici.
Il Muro, ma anche altri fatti: come piazza Tien An Men, o il Sessantotto, Moro, le Brigate rosse, tutto vicino a noi. È già storia tutto questo o no?
Sono convinto di sì. Credo che si possa fare storia di questi periodi ancora vicini. Facciamo l’esempio del ’68. Sono già quarant’anni da quei fatti, e non sono pochi. Teniamo conto che De Felice scriveva sul Fascismo nei primi anni Sessanta, sostanzialmente a meno di 20 anni dalla fine del regime. Ma si potrebbe dire la stessa cosa di Spadolini, Scoppola, Acquarone e altri di una intera generazione di storici che in quegli anni ’60 ponevano le basi di una storiografia che poi si è evoluta.
Lei, dunque, non crede che la distanza di tempo sia fondamentale?
Più tempo permette di acquisire maggiori conoscenze e documenti ed è chiaro che la distanza aiuta molto, però non è impossibile avere una serenità di giudizio. A condizione però che si creda alla importanza della conoscenza storica vera e propria, che è qualcosa di molto diverso dalla conoscenza ideologica e politica. In passato gli storici erano più condizionati dall’ideologia e dalla politica, oggi questo avviene poco.
Ma i vari orientamenti storici non sono comunque ideologicamente indirizzati?
Le divisioni di un tempo sono meno accentuate. Un esempio: la fine del comunismo con il Muro. Ci sono due scuole che si confrontano: una che sottolinea l’importanza del ruolo dei grandi protagonisti, Gorbaciov e Reagan, l’altra invece dà più importanza agli attori locali, come per esempio al ruolo avuto dalle vicende polacche. Questa contrapposizione non ha sapore ideologico, ma rappresenta solo una divergenza naturale che il lavoro storico comporta quando appunto si dà più importanza a un fattore che a un altro.
Se non altro per la vicinanza dei fatti, questi sono più documentati di quelli più antichi. Della caduta del Muro abbiamo anche i filmati. Certo non possediamo quelli di Enrico IV a Canossa. Questo non significa anche una maggiore veridicità delle fonti?
Sicuramente la storia contemporanea è caratterizzata da una maggiore quantità di fonti, cosa che non c’è per altri periodi. È un grosso vantaggio, ma è anche un problema, perché anzitutto non è possibile tener conto di ogni documento, proprio perché sono tantissimi, e poi perché bisogna fare una scelta, assumere quelli più importanti e significativi. Ciò comporta una maggiore responsabilità dello storico contemporaneista, che si trova anche a scegliere quali documenti privilegiare.
«Avvenire» del 7 novembre 2009
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