Una nuova collana nazionale ripropone la storia della nostra prima poesia, con riproduzioni digitali
di Cesare Segre
La lirica delle origini, dai Siciliani al Nord, attraverso i canzonieri
Se domandiamo a qualcuno di dove venga la poesia, lo mettiamo certo in imbarazzo, o lo induciamo a fantasticherie, affascinanti o fumose che siano. Se invece domandiamo di dove venga la poesia lirica italiana, la risposta è facile e sicura. Infatti essa nasce per l'iniziativa di un monarca illuminato come Federico II di Svevia, re di Sicilia, che convince i suoi funzionari a provarsi in composizioni analoghe, anche per la metrica, a quelle dei trovatori provenzali, che allora vagavano per l'Europa intonando le loro canzoni. Così, un drappello di giuristi e notai si mettono in gara esprimendo amori immaginari con sempre maggiore maestria (del resto, i notai poeti non sono rari nella storia della letteratura). Nella corte federiciana, che poteva vantare in tutti i campi una cultura di livello internazionale, si forma così un vero cenacolo poetico. Con la fine della dinastia sveva (1266) l'episodio ha termine, ma le composizioni dei Siciliani s'erano ormai diffuse in tutta la penisola. È in Toscana che questa lirica viene più apprezzata, e a sua volta imitata. E se non si forma un vero cenacolo, data la frammentazione della regione, certo i poeti dei vari centri si scambiano testi, intrecciano dibattiti, nel quadro di un antagonismo creativo. Autori ormai quasi dimenticati, come Guittone d'Arezzo o Monte Andrea, sono al centro di piccole scuole provinciali, e raggiungono una fama straordinaria, continuando, ma ampliando, la tematica dei poeti federiciani. Sarà poco dopo Dante, insieme col Cavalcanti, a mettersi alla testa di una nuova scuola, ben più raffinata ed originale, anche perché nutrita di un pensiero più elaborato; ma tutto è partito da loro, dai poeti siciliani e da quelli che chiamiamo siculo-toscani. Da qualche anno, poi, la scoperta di manoscritti con testi lirici settentrionali, specialmente emiliani e lombardi, ha rivelato che anche lì era giunta l'onda della poesia cortese, in date davvero precoci. Si era forse elaborata una maniera poetica analoga a quella siciliana, indipendentemente da questa? Le cose non sono ancora chiare; soprattutto non s'intravede un centro preciso al quale riferire quest'attività, i cui prodotti, vidimati da studiosi come Stussi e Castellani, sono sotto i nostri occhi, a imbarazzarci. Ma, tornando al problema delle origini, resta da chiarire come sia giunta sino a noi, dopo otto secoli, la poesia dei Siciliani e dei loro seguaci. Sappiamo che i poeti si esibivano recitando, forse cantando, i loro testi, a un pubblico di fan: un vero recital. Qualche volta li avranno pronunciati a memoria, qualche altra avranno tenuto un foglio scritto sott'occhio. Spesso ci furono dei professionisti, i giullari, a recitare (o cantare) testi altrui. Tutto questo favorisce la memorizzazione più che la conservazione dei testi. Ma è facile immaginare che qualche autore avrà raccolte le sue migliori poesie, magari avrà fatto omaggio di queste raccolte ad amici potenti. E ci sarà anche stato qualche amatore di poesia a mettere assieme piccole antologie di quelle che preferiva. È qui che si può indicare la probabile base per la diffusione, che fu amplissima, della poesia siciliana. Oggi, perdute le trascrizioni d'autore, perdute le antologie personali o collettive, ci restano le grandi raccolte manoscritte che chiamiamo canzonieri. Sono raccolte analoghe a quelle che si erano fatte per i trovatori, e che avevano avuto nell' Italia settentrionale, specie nel Veneto, l'ambiente più favorevole alla loro diffusione. La continuità fra i canzonieri provenzali e i canzonieri italiani antichi è evidente. In Italia, comunque, si tende a seguire ora un ordine cronologico approssimativo, ora un programma di gerarchizzazione abbastanza netto, che mette in vista gli autori più famosi e apprezzati, poi risale ai predecessori, a partire dai Siciliani, e pone in fondo i contemporanei. E merita di essere sottolineato che uno dei più antichi tra i canzonieri italiani, forse il più antico, ancora in analogia con alcuni di quelli provenzali, è abbellito da luminose miniature. Questi canzonieri sono piuttosto numerosi. Se ci limitiamo ai più antichi, diciamo quelli che arrivano fino agli stilnovisti (tenuto conto che nei primissimi sono trascritte soltanto poche poesie di Dante e di Cavalcanti), non raggiungiamo il numero di venti. Ed è stato opportunamente creato da poco un Comitato per l'Edizione nazionale dei Canzonieri della Lirica italiana delle Origini, presso la Fondazione Enzo Franceschini di Firenze, che ha in programma di pubblicare i quindici più antichi canzonieri, più una stampa del 1527 (la celebre Giuntina di rime antiche) che deriva da manoscritti perduti, con tutto l'apparato interpretativo che occorre. I primi tre canzonieri, senza dubbio i più preziosi e ricchi, che già erano apparsi, a cura di Lino Leonardi, nel 2000, in occasione delle celebrazioni federiciane, vengono ora riproposti, sempre da Leonardi, in apertura della nuova collana dell'Edizione nazionale (I canzonieri della lirica italiana delle origini, Firenze, Edizioni del Galluzzo): ai tre volumi di riproduzione fotografica segue un altro volume, imponente, di studi critici (pp. 458, con molte illustrazioni fuori testo), e, questa la novità principale, un dvd con la riproduzione digitale ad alta risoluzione degli stessi manoscritti, corredato di indici complessivi. Gli studi critici sui tre manoscritti saranno un punto di riferimento indispensabile per la storia della nostra prima poesia. Ad opera dei principali specialisti (R. Antonelli, A. Petrucci, M. Palma, P. Larson, C. Bologna, L. Leonardi, S. Zamponi, G. Frosini, G. Savino, T. De Robertis, V. Pollidori, M.L. Meneghetti) essi esaminano i codici dal punto di vista filologico, linguistico e paleografico, nel quadro della cultura toscana intorno al 1300 (i manoscritti provengono da Firenze e Pisa, con un'incertezza sul terzo fra Pistoia e Firenze). Ma è ancora più importante l'analisi del modo in cui le tre raccolte furono messe assieme. Utilizzando ogni indizio, come i cambiamenti di mano dei copisti, le differenze d'impaginazione, l'ordinamento dei testi, i passaggi da un fascicolo all'altro, i collaboratori riescono quasi a intravedere gli esemplari utilizzati per mettere assieme le tre raccolte, probabilmente in botteghe di amanuensi ben organizzate, e a ricostruire il lavoro di assemblaggio compiuto con intelligenza dai copisti. Si possono insomma ricostruire le ultime mosse della traslazione della poesia siciliana e siculo-toscana dalle raccolte personali e collettive ai grandi, presto illustri canzonieri. Interessante poi il fatto che questi canzonieri rivelino le preferenze di chi li compilò, documentando il canone della nostra poesia lirica delle origini, canone contro il quale già Dante incominciò a battersi, per esempio mettendo in dubbio l' eccellenza e l'autorità di Guittone, e contrapponendogli quella del bolognese Guinizzelli.
«Corriere della Sera» del 10 novembre 2009
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