03 novembre 2009

Il paradosso della laicità

Parla il grande giurista Ernst-Wolfgang Böckenförde, che apre oggi l’anno accademico all’Università Cattolica di Milano
di Andrea Galli
«Lo Stato liberale è un progetto sempre in pericolo: da solo non può garantire l’esistenza delle forze morali di cui ha bisogno per esistere»
«Lo Stato liberale e secolarizzato vive di presupposti che non può garantire. Questo è il grande rischio che lo Stato ha scelto di correre per amore della libertà». Suona così il diktum, il dilemma formulato nel 1967 dal giurista tedesco Ernst- Wolfgang Böckenförde e che da allora aleggia sui dibattiti in merito a laicità, etica pubblica e diritto.
Nato a Kassel nel 1930, una prestigiosa carriera accademica – terminata nel 1995 all’Università di Friburgo – e un’altra nelle istituzioni – fino alla nomina a giudice del Tribunale Costituzionale Federale – Böckenförde tiene oggi all’Università Cattolica di Milano, alle ore 11, la prolusione inaugurale dell’anno accademico. Tema: « L’ethos dei giuristi ».
Professore, il « diktum » che l’ha resa celebre risale a 40 anni fa. Lo considera ancora valido oppure no?
« Non solo lo considero valido, ma oggi più di allora. Mi pare che sia stato ampiamente riconosciuto che lo Stato si basa su fondamenti pre- politici, dai quali derivano quello spirito di comunanza e unità dei suoi cittadini e un ethos condiviso che informano lo Stato stesso. Pensi solo alla discussione tra il cardinale Ratzinger e Jürgen Habermas che si è svolto all’Accademia cattolica bavarese nel 2004».
Una critica al suo « diktum » è quella di rappresentare lo Stato liberale come incapace di autosostenersi fino in fondo, a rischio implosione. Mentre, secondo i critici, anche con la perdita di un chiaro ethos di riferimento dimostrerebbe di funzionare.
« Non considero lo Stato liberale un progetto destinato al fallimento. E nemmeno privo di valori intrinseci, in quanto fondato sul riconoscimento dell’altro come soggetto indipendente e sulla parità dei diritti dei cittadini. Tuttavia è un progetto sempre in pericolo, perché non è certo che si possano sviluppare e continuamente rinnovare al suo interno quelle forze interiori e morali di cui ha bisogno, o che il suo tessuto sociale non degeneri in un individualismo senza freni. Lo Stato liberale in quanto tale non può garantire l’esistenza di queste forze. Quello che può fare, fintanto che esse sono disponibili, è semmai proteggerle e sostenerle. Prima di tutto prendendo sul serio il compito educativo della scuola e non privatizzando del tutto i media. Ciò può costituire un freno a una ' modernizzazione' deviata della società » .
Come le sembra il futuro dell’Europa a questo riguardo?
« Incerto. L’Unione Europea progettata nel 1990 con il trattato di Maastricht è diventata troppo grande ed eterogenea. Quello che Lord Dahrendorf chiamava sense of belonging , il senso di una comune appartenenza, non si troverà in tempi brevi. Ci sono troppa burocrazia e troppa tecnocrazia decisionale. E non è stato ancora trovato un vero modello di federazione europea » .
È d’accordo con l’entrata della Turchia in Europa?
« Per diversi motivi la piena adesione della Turchia non mi sembra una soluzione sensata. Quella giusta mi sembra una partnership privilegiata » .
Considera l’immigrazione islamica una minaccia all’identità europea?
« Con una siffatta soluzione per la Turchia, anche il problema dell’immigrazione islamica si ridimensionerebbe. Penso poi che la presenza dei musulmani fra di noi può spronare i cristiani – che vedono una religione vissuta pubblicamente – a riflettere su quanto abbiano privatizzato la loro fede. D’altra parte bisogna esigere dai musulmani che vivono in Europa il riconoscimento di un ordinamento laico, con la separazione fra Stato e religione » .
Lei parla di una 'necessaria opera di persuasione dei cultori e dei difensori del diritto naturale nel discorso pubblico'. Un’opera che, quando viene fatta da parte cristiana, è presto tacciata di ingerenza o di imposizione dei propri valori su quelli altrui.
« In Germania questo tipo di critica non è così forte, perché la neutralità dell’ordine politico è riconosciuta pubblicamente. In Italia, se vedo bene, il discorso pubblico è segnato da un certo laicismo che ha motivi storici. Talvolta, poi, i difensori del diritto naturale rivendicano per esso un’autorevolezza preventiva, come se la democrazia e le decisioni della maggioranza ne fossero estranei. Il che provoca delle reazioni negative. Si deve ricordare che il diritto naturale – come l’etica normativa che lo rappresenta – non può rivendicare un’autorevolezza a priori, ma deve essere introdotto nel processo politico della società secolare e deve trovare ascolto e riconoscimento con la forza delle proprie argomentazioni.
Per fare questo è necessario tradurre i fondamenti del diritto naturale in concetti secolari, laici, in modo che siano veicolabili nella società, come ha ricordato non da ultimo Habermas. La direzione giusta l’ha mostrata il cardinale Ratzinger nella sua discussione con lo stesso Habermas: ' Il diritto naturale è rimasto, soprattutto nella Chiesa cattolica, la figura argomentativa con cui essa richiama alla ragione comune nel dialogo con le società laiche e con le altre comunità di fede e con cui ricerca i fondamenti di una comprensione attraverso i principi etici del diritto in una società laica e pluralista'».
«Avvenire» del 3 novembre 2009

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