Lo scrittore superstar torna a colpire con la storia evangelica di quattro ragazzini che discutono del Bene e del Male
di Massimiliano Parente
Se uno non avesse mai letto niente, se nessuno avesse mai scritto niente, Baricco sarebbe uno scrittore, perché oggettivamente scrive. Tuttavia, poiché il mondo è crudele e la storia è lunga, poiché esiste la letteratura, è solo Baricco, il quale, anziché essere felice di essere un autore di romanzini di successo, tempo fa piantò sulla Repubblica una piagnucolata contro i critici che non lo degnavano più di attenzione, mentre, quando gli dedicavano attenzione, quelli come me criticavano i critici perché parlavano bene di Baricco, come se fossero nati tutti ieri. Ha avuto anche il coraggio di prendere Moby Dick e di estrarne tre scene per farne un riassunto facilino così da far credere a chi non ha mai letto il capolavoro di aver compreso quello che ha compreso Baricco, e stessa cosa con l’Iliade, rendendoli indistinguibili da Cenerentola o Cappuccetto Rosso. Melville e Omero se lo prendessero lo darebbero l’uno in pasto al Leviatano, l’altro ai Troiani e agli Achei, perché lo torturino a piacere, a turno.
Ciò nonostante Baricco cova un animo rivoluzionario, benché rivoluzionario all’italiana. Ricordate cosa fece? Già che c’era si ribellò anche allo strapotere delle grosse case editrici, e disse, con piglio garibaldino: andiamocene tutti, noi scrittori di successo, in una piccola casa editrice, così la facciamo diventare grande. Convinse anche Sandro Veronesi, e si trasferirono a Fandango, divenendone proprietari, o quasi. Reclutarono un giovane esperto, lo scrittore Mario Desiati, strappandolo alla Mondadori e a Nuovi Argomenti, e devono avergli detto: tu fai il direttore editoriale, sgobba e trova titoli, dacci lustro, noi entriamo e usciamo, facciamo i signori. È per questo che Alessandro ora pubblica per Feltrinelli, e ogni librino transitato per Fandango è passato a Feltrinelli.
L’ultimo appena uscito si intitola Emmaus, il paese dove due uomini, secondo il Vangelo, incontrarono Gesù risorto senza saperlo. La novità rispetto agli altri romanzi che trovate in libreria è che i risvolti di copertina sono completamente bianchi, forse non sapevano cosa scrivere, per immaginarlo bisogna leggerlo. I protagonisti sono quattro adolescenti alla ricerca del bene e del male. C’è anche una ragazzina smaliziata, che fa sesso orale e scopa in giro, quindi la più simpatica, ed è il fulcro simbolico del libro, si chiama Andre. «Così non è di nessuno, Andre - ma noi sappiamo che, anche, è di tutti». Intelligente, il narratore. A parte questa agnizione della troia precoce e felice da redimere, il baricchismo appartiene al genere Narrativa Per Adulti Scritta Come Se Fossero Bambini. È un trucco che funziona sempre, intellettualmente e sintatticamente, con tantissimi precedenti. Devi scrivere del Sessantotto ma scriveresti un libro banale? Scrivi Lettera a mio figlio sul Sessantotto. Devi scrivere dell’aborto? Scrivi Lettera a un bambino mai nato, parlando direttamente al feto.
In ambito narrativo non ne parliamo, la strada è stata battuta e ribattuta da Aldo Nove, Simona Vinci, Niccolò Ammaniti, Melisse e Pulsatille e Ciabatti, fino ai romanzi di Veltroni e di Franceschini, aspettando che si mettano a scrivere anche Marino e Bersani, i quali, essendo appena usciti dalle primarie, sono pronti per la primina, pronti a esordire. Il bambinismo è un genere sicuro. Puoi scrivere che «in definitiva, tutto quello che sappiamo della nostra inevitabile eterosessualità l’abbiamo imparato dagli occhi scuri di un amico del cuore, o dalle labbra di un compagno di cui siamo gelosi» e sembra tutto molto profondo, è il fanciullino che parla. Puoi dare forma a un atto misterioso e scrivere «avevo in mente certe che mi strofinavo contro il cuscino, la sera, perché non riuscivo a dormire. Lo mettevo fra le gambe e strofinavo» quando perfino un moderno ragazzino di Moccia gli risponderebbe: «Ma fatti una sega e non rompere, imbecille».
Qui siamo a Torino, e questi quattro rincoglioniti inventati da Baricco anziché giocare con la X-box vanno avanti e indietro per le centoquaranta paginette tormentandosi sul male e sul bene, sul dolore e sul piacere, con domande improbabili come «perché non dovremmo essere capaci di scambiare la depressione per una forma di eleganza, e l’infelicità per una colorazione appropriata della vita?», come potrebbe fare, a quell’età, solo Eugenio Scalfari, ma è improbabile possano esisterne quattro in un colpo solo.
In effetti, riflettendoci, ce n’è anche uno con ambizioni messianiche, chiamato Il Santo, uno che fa delle prediche parrocchiali infinite a chiunque, va dalla madre della ragazzina del sesso orale e le dice di mandare sua figlia a confessarsi e a pregare, e le «disse che ogni uomo porta con sé la speranza in un senso più alto e nobile delle cose, e a noi avevano insegnato che quella speranza diveniva certezza nella luce della rivelazione, e compito quotidiano nella penombra della nostra vita...» e questa mamma anziché prenderlo a sberle e sbatterlo fuori di casa a calci nel culo lo sta pure a sentire, e a un certo punto, però, ecco la vera rivelazione del libro: «Il Santo ha una bella voce, e lineamenti antichi - la barba sottile, unico tra noi. Sul volto magro, già ascetico». Non c’è dubbio, è proprio lui, questo è il romanzo di formazione dell’infanzia di Eugenio Scalfari.
In definitiva, a suo modo, è un libro riuscito, che trasforma il lettore, trasforma chiunque in Erode. Se riesci a finirlo vorresti sapere dove stanno questi quattro cagacazzi minimalisti filosofici per chiedere a Obama una cella a Guantanamo dove rinchiuderli e non farli più uscire, insieme a Baricco. Il quale, invece, essendo tornato in Feltrinelli, è così ben distribuito che se non stai attento entrando in libreria inciampi su una delle innumerevoli pilette sparse qui e là. E dopo averlo letto, chiudi il libro e pensi: oh se non altrove, almeno se ne andasse per sempre a Fandango.
«Il Giornale» del 12 novembre 2009
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