Lo storico Alessandro Orsini, il cui saggio sulle Br fu bocciato dall’editore bolognese: "Dimostrando che il terrorismo rosso degli anni Settanta è figlio 'legittimo' del Pci ho infranto un tabù. E questo non è piaciuto agli ex comunisti"
di Tommy Cappellini
Fa un po’ paura pensare che negli uffici della casa editrice il Mulino, una delle più importanti del nostro Paese, lo scontro ideologico che ha segnato la Guerra Fredda, gli anni Settanta e la Prima Repubblica sia ancora molto vivo e capace di influenzare la scelte editoriali. Tuttavia i rifiuti di pubblicare i saggi di Giovanni Orsina L’alternativa liberale. Malagodi e l’opposizione al centrosinistra (in seguito accettato da Marsilio e in libreria a fine mese) e di Alessandro Orsini Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario (poi pubblicato da Rubbettino) lasciano intendere che al Mulino certe guerre ideologiche non siano ancora finite.
Professor Orsini, anche lei «vittima» di un rifiuto editoriale poco scientifico?
«Se il mio saggio non avesse avuto il successo che poi ha raccolto, sarei più cauto, ma a questo punto posso affermare che la stroncatura ricevuta da parte del Mulino non è stato un buon esempio di lettura editoriale. L’impressione che alcuni studiosi hanno ricavato leggendo la relazione di rifiuto è che sia stata viziata da un pregiudizio ideologico. So da alcune fonti che il Mulino si è poi pentito di aver rifiutato il libro».
Partiamo dal libro, allora.
«Ci sono voluti dieci anni di lavoro per portarlo a termine. La mia tesi è che le Brigate rosse siano il frutto più puro e coerente di una tradizione rivoluzionaria che affonda le sue profonde radici nelle sette di tipo gnostico nate nel Seicento, nell’ambito della Riforma, e, più in particolare, nella rivoluzione giacobina del 1793. Questo fenomeno ha poi trovato il suo pieno sviluppo nel marxismo-leninismo e nelle rivoluzioni bolscevica, cinese e cambogiana».
Come dire, le Br non erano quei quattro gatti che qualcuno pensava.
«Al contrario. La vulgata ha sempre affermato che dietro le Br, di volta in volta, non c’erano altro che la Cia o la Dc, interessate a creare le condizioni per un colpo di Stato di destra, oppure, sulla scia di Luciano Canfora, si è detto che le Br non erano altro che “quattro imbecilli, ignoranti e forse anche prezzolati”. Io sostengo che questa interpretazione meccanicamente dietrologica ci abbia allontanato dalla comprensione di un’esperienza drammatica che, per giunta, non fu solo italiana».
L’idea che se ne è fatto?
«In una sorta di rito di rimozione collettiva la sinistra ha sempre negato che le Br appartenessero al suo stesso universo culturale. Facevano invece parte appieno della tradizione della sinistra rivoluzionaria. Sono stato uno dei pochi che è andato a leggersi tutti i documenti disponibili che le Br hanno prodotto: rivendicazioni di omicidio, di ferimento, risoluzioni strategiche, commemorazioni di brigatisti uccisi dalla forze dell’ordine, lettere private e volantini. Si è sempre detto che le Br scrivevano in modo pedante, che leggere i loro scritti era una perdita di tempo, ma questa indagine era quantomeno doverosa per entrare nel loro universo mentale».
Cosa ne ha concluso?
«La “linea di lavoro” delle Br si inseriva consapevolmente in quella di Lenin, Mao, Pol Pot: cioè purificare la società capitalista attraverso un uso spropositato della violenza. Nel capitolo “Il ruolo del Pci nella nascita delle Br”, poi, prendo in considerazione il ruolo pedagogico del Partito comunista nella formazione del brigatismo rosso. Funzione necessaria, ancorché insufficiente, ma comunque concreta. Tale conclusione non poteva trovare d’accordo alcuni ex comunisti che si sono confrontati con il mio libro. Una volta presentato il libro al Mulino lo hanno respinto con una relazione breve, ideologica, poco argomentata, che pareva avesse come fine lo stroncare il saggio».
E lei che ha fatto?
«L’ho presentato a Rubbettino, che nel giro di pochissimo tempo lo ha pubblicato, considerandolo un libro di valore, con la prefazione del noto storico americano Spencer Di Scala. Rubbettino è poi stato contattato da importanti editori americani e ha firmato un contratto per la cessione dei diritti alla Cornell University di New York. Anatomia delle Brigate rosse sarà pubblicato, oltre che negli Stati Uniti, anche in Gran Bretagna, Canada, Australia, Sud Africa e in molti Paesi europei. Dopo la stroncatura del Mulino, il mio libro è stato definito “un libro di grande prestigio intellettuale” dal Journal of Cold War Studies, rivista edita dal Mit. Sono stato poi invitato a tenere lezioni, tra gli altri atenei, ad Harvard, al Mit, alla John Hopkins, alla Brookings di Washington. Ho già in programma un altro percorso di lezioni universitarie all’estero che toccheranno anche Gerusalemme. In Italia, invece, ho trovato molti guai».
Quali? Di fatto lei ha una voce su Wikipedia americana e nessuna su quella italiana ...
«Alcuni professori italiani mi hanno sollecitato a costruire la mia carriera accademica all’estero affermando che le porte qui mi erano ormai precluse nell’ambito del mio settore di ricerca, la sociologia politica. Hanno inoltre aggiunto che in Italia pubblicare un saggio di valore non ha alcuna importanza se non si fa parte di una precisa lobby accademica».
«Se il mio saggio non avesse avuto il successo che poi ha raccolto, sarei più cauto, ma a questo punto posso affermare che la stroncatura ricevuta da parte del Mulino non è stato un buon esempio di lettura editoriale. L’impressione che alcuni studiosi hanno ricavato leggendo la relazione di rifiuto è che sia stata viziata da un pregiudizio ideologico. So da alcune fonti che il Mulino si è poi pentito di aver rifiutato il libro».
Partiamo dal libro, allora.
«Ci sono voluti dieci anni di lavoro per portarlo a termine. La mia tesi è che le Brigate rosse siano il frutto più puro e coerente di una tradizione rivoluzionaria che affonda le sue profonde radici nelle sette di tipo gnostico nate nel Seicento, nell’ambito della Riforma, e, più in particolare, nella rivoluzione giacobina del 1793. Questo fenomeno ha poi trovato il suo pieno sviluppo nel marxismo-leninismo e nelle rivoluzioni bolscevica, cinese e cambogiana».
Come dire, le Br non erano quei quattro gatti che qualcuno pensava.
«Al contrario. La vulgata ha sempre affermato che dietro le Br, di volta in volta, non c’erano altro che la Cia o la Dc, interessate a creare le condizioni per un colpo di Stato di destra, oppure, sulla scia di Luciano Canfora, si è detto che le Br non erano altro che “quattro imbecilli, ignoranti e forse anche prezzolati”. Io sostengo che questa interpretazione meccanicamente dietrologica ci abbia allontanato dalla comprensione di un’esperienza drammatica che, per giunta, non fu solo italiana».
L’idea che se ne è fatto?
«In una sorta di rito di rimozione collettiva la sinistra ha sempre negato che le Br appartenessero al suo stesso universo culturale. Facevano invece parte appieno della tradizione della sinistra rivoluzionaria. Sono stato uno dei pochi che è andato a leggersi tutti i documenti disponibili che le Br hanno prodotto: rivendicazioni di omicidio, di ferimento, risoluzioni strategiche, commemorazioni di brigatisti uccisi dalla forze dell’ordine, lettere private e volantini. Si è sempre detto che le Br scrivevano in modo pedante, che leggere i loro scritti era una perdita di tempo, ma questa indagine era quantomeno doverosa per entrare nel loro universo mentale».
Cosa ne ha concluso?
«La “linea di lavoro” delle Br si inseriva consapevolmente in quella di Lenin, Mao, Pol Pot: cioè purificare la società capitalista attraverso un uso spropositato della violenza. Nel capitolo “Il ruolo del Pci nella nascita delle Br”, poi, prendo in considerazione il ruolo pedagogico del Partito comunista nella formazione del brigatismo rosso. Funzione necessaria, ancorché insufficiente, ma comunque concreta. Tale conclusione non poteva trovare d’accordo alcuni ex comunisti che si sono confrontati con il mio libro. Una volta presentato il libro al Mulino lo hanno respinto con una relazione breve, ideologica, poco argomentata, che pareva avesse come fine lo stroncare il saggio».
E lei che ha fatto?
«L’ho presentato a Rubbettino, che nel giro di pochissimo tempo lo ha pubblicato, considerandolo un libro di valore, con la prefazione del noto storico americano Spencer Di Scala. Rubbettino è poi stato contattato da importanti editori americani e ha firmato un contratto per la cessione dei diritti alla Cornell University di New York. Anatomia delle Brigate rosse sarà pubblicato, oltre che negli Stati Uniti, anche in Gran Bretagna, Canada, Australia, Sud Africa e in molti Paesi europei. Dopo la stroncatura del Mulino, il mio libro è stato definito “un libro di grande prestigio intellettuale” dal Journal of Cold War Studies, rivista edita dal Mit. Sono stato poi invitato a tenere lezioni, tra gli altri atenei, ad Harvard, al Mit, alla John Hopkins, alla Brookings di Washington. Ho già in programma un altro percorso di lezioni universitarie all’estero che toccheranno anche Gerusalemme. In Italia, invece, ho trovato molti guai».
Quali? Di fatto lei ha una voce su Wikipedia americana e nessuna su quella italiana ...
«Alcuni professori italiani mi hanno sollecitato a costruire la mia carriera accademica all’estero affermando che le porte qui mi erano ormai precluse nell’ambito del mio settore di ricerca, la sociologia politica. Hanno inoltre aggiunto che in Italia pubblicare un saggio di valore non ha alcuna importanza se non si fa parte di una precisa lobby accademica».
«Il Giornale» dell'8 settembre 2010
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