di Pierluigi Battista
La battaglia contro la censura è nobile e generosa. Purché ci sia stata la censura. Se il Mulino, come ha raccontato Antonio Carioti sul Corriere della Sera, non ha voluto pubblicare un saggio di Giovanni Orsina sulla figura di Giovanni Malagodi e la sua opposizione liberale al centrosinistra, ci stiamo imbattendo con un odioso caso di censura ideologica, come denunciano in modo martellante il Giornale e Libero? Sì, se Orsina fosse stato costretto al silenzio. No, se un altro editore di prestigio, in questo caso Marsilio, decide di pubblicare ciò che il Mulino aveva rifiutato. In una democrazia liberale e in un'economia di mercato che non conosce il controllo monopolistico delle idee ci sono due diritti, non soltanto uno. C'è il diritto di uno studioso a veder circolare il frutto dei propri studi. Ma c'è il diritto di un editore a scegliere quali libri pubblicare. Il diritto di Orsina sarebbe irrimediabilmente leso se in Italia ci fosse un solo editore, un solo canale di comunicazione e di diffusione delle idee: per fortuna non stiamo a questo punto. Ma anche il diritto di un editore, in questo caso il Mulino, di pubblicare quello che liberamente sceglie di pubblicare sarebbe leso se ogni sua decisione negativa su un libro venisse considerata «censura». Un editore può scegliere di non pubblicare un libro per ragioni economiche, ma anche per sovrane scelte editoriali, compresa la decisione di salvaguardare la coerenza di un catalogo e di una linea culturale. Dov'è la censura? Siamo in un Paese libero e dunque lo studio di uno storico molto apprezzato come Orsina ha trovato un'altra casa editrice. Resta il sapore amaro di una banalizzazione nelle battaglie contro la censura dove, a furia di enfatizzare la censura che non c'è, si dimenticano le censure che si sono effettivamente consumate. Censura fu quella dell'Einaudi che per imbarazzo ideologico rispedì al mittente una prefazione di Gustaw Herling agli sconvolgenti Racconti della Kolyma di Varlam Salamov. Ma davvero ogni libro legittimamente rifiutato è sempre una vittima della censura?
«Corriere della Sera» del 9 settembre 2010
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