Facebook & genitori
di Daniela Natali
Vietato spiarli, ma anche gettare la spugna con l'alibi che ne sanno più di voi
In America aprono i primi corsi ed esce un libro "dedicato" (Facebook for parents, ovvero "per genitori"), in Italia, mentre cresce l'allarme legato agli episodi di cronaca, psicologi, pediatri e perfino ospedali (come il Bambino Gesù di Roma) stilano le loro "linee guida". Destinatari di tutti questi consigli i genitori in crisi davanti ai figli alle prese con i social network, Facebook in testa, quelle "piazze" virtuali, dove si può raccontare e leggere di tutto: dalle chiacchiere sull'ultima gita al mare con le amiche, alle ultime opinioni di Obama.
Che cosa temono i genitori? Soprattutto che i figli "perdano" ore e ore girellando sulla rete (invece di studiare e incontrare amici in carne ed ossa) e che possano fare cattivi incontri, passando da appuntamenti virtuali ad appuntamenti reali con sconosciuti. Ma anche che approdino troppo presto ai social network: non si può accedere a Facebook con meno di 13 anni, ma il divieto è facilmente aggirabile dichiarando una falsa identità. Davanti a questi timori, la tentazione di "spiare" i figli, carpendone la password, o fingendosi coetanei per diventare "amici" è forte. Non si tratta di sbirciare in un diario segreto, ma in un "diario pubblico" che fa paura proprio perché tale: che cosa racconteranno di sé i nostri ragazzi? Tuteleranno la loro privacy? Quali foto "posteranno"?
«È proprio questo il punto - ci conferma Linda Fogg Philipps, autrice (con il fratello B.J. Fogg) di Facebook for parents, -. Facebook non è la cameretta privata del nostro ragazzo: è una cameretta in cui entrano centinaia di persone».
E, allora, come difendere i nostri figli? Chiarisce Linda Fogg (oltre che psicologa, madre di otto figli dai 26 ai 13 anni): «Insegniamo ai ragazzi che debbono proteggere le informazioni sensibili - indirizzo di casa, di scuola, numero di telefono - e spieghiamo loro come farlo. Convinciamoli che quello che mettono sul web, foto comprese, è incancellabile e che condividere le informazioni private con gli "amici degli amici" - invece di scegliere l'opzione "solo amici" - è come darle a chiunque».
«Vigilare però non vuol dire giudicare e tanto meno spiare, anche perché una volta persa la fiducia di un ragazzo, spiandolo, è molto difficile recuperarla » aggiunge Stefano Vicari, direttore di neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù (sul sito wwww.opedale bambinogesu.it altri consigli ai genitori). «Diamo ai nostri figli - prosegue Vicari - informazioni corrette. Andiamo, almeno le prime volte, in rete insieme a loro e parliamo anche dei molti aspetti positivi di Facebook, altrimenti perderemo credibilità. E se temiamo che cedano all'esibizionismo, o si inventino personalità del tutto fittizie, convinciamoli che "valgono" per quel che sono».
E se nonostante tutta la buona volontà dei genitori, i giovanissimi non ne volessero sapere di farli entrare nel loro mondo sul web? «Molto spesso - sostiene Linda Fogg - i figli ci dicono di no, non perché hanno paura d'essere spiati, ma perché temono che li mettiamo in imbarazzo. Impariamo il "galateo" dei social network e ci diranno di sì. Un sì che ci permetterà di conoscerli ed aiutarli meglio». «Se il "no" resta tale - aggiunge Vicari - importante è non cedere alla tentazione di dire "d'ora in avanti sono solo fatti tuoi"; debbono sapere che, se avranno dubbi o paure, noi saremo sempre lì».
«Magari - aggiunge Silvano Bertelloni, presidente della Società italiana di medicina dell'adolescenza - proponiamo loro di farci entrare su Facebook come amici di "serie B", che hanno diritto ad accedere solo a un certo livello di informazioni».
«Ci sono i genitori invadenti, - sottolinea Piero Barone, docente di psicologia dell'adolescenza e pedagogia della devianza alla Bicocca di Milano - ma anche quelli che danno ai figli una fiducia illimitata con la scusa "ne sanno più di noi". Trovare un equilibrio è difficile, ma necessario. Anche perché il vero rischio, se i ragazzi diventano "dipendenti" dalla rete, è vederli perdere la dimensione corporea. Contrattiamo, dunque, con i nostri figli che cosa possono fare sulla rete: dopo tutto noi abbiamo concesso loro di avere un computer, cosa che "non" eravamo affatto obbligati a fare, quindi abbiamo diritto ad avere voce in capitolo. Non demonizziamo però chat, Facebook e quant'altro, grazie ai quali i ragazzi approdano a una dimensione costruttiva del sapere: imparano per "immersione", tuffandosi in questo nuovo mondo senza bisogno di manuali e corsi. Diventano più creativi, originali e imparano a condividere e a costruire insieme».
Che cosa temono i genitori? Soprattutto che i figli "perdano" ore e ore girellando sulla rete (invece di studiare e incontrare amici in carne ed ossa) e che possano fare cattivi incontri, passando da appuntamenti virtuali ad appuntamenti reali con sconosciuti. Ma anche che approdino troppo presto ai social network: non si può accedere a Facebook con meno di 13 anni, ma il divieto è facilmente aggirabile dichiarando una falsa identità. Davanti a questi timori, la tentazione di "spiare" i figli, carpendone la password, o fingendosi coetanei per diventare "amici" è forte. Non si tratta di sbirciare in un diario segreto, ma in un "diario pubblico" che fa paura proprio perché tale: che cosa racconteranno di sé i nostri ragazzi? Tuteleranno la loro privacy? Quali foto "posteranno"?
«È proprio questo il punto - ci conferma Linda Fogg Philipps, autrice (con il fratello B.J. Fogg) di Facebook for parents, -. Facebook non è la cameretta privata del nostro ragazzo: è una cameretta in cui entrano centinaia di persone».
E, allora, come difendere i nostri figli? Chiarisce Linda Fogg (oltre che psicologa, madre di otto figli dai 26 ai 13 anni): «Insegniamo ai ragazzi che debbono proteggere le informazioni sensibili - indirizzo di casa, di scuola, numero di telefono - e spieghiamo loro come farlo. Convinciamoli che quello che mettono sul web, foto comprese, è incancellabile e che condividere le informazioni private con gli "amici degli amici" - invece di scegliere l'opzione "solo amici" - è come darle a chiunque».
«Vigilare però non vuol dire giudicare e tanto meno spiare, anche perché una volta persa la fiducia di un ragazzo, spiandolo, è molto difficile recuperarla » aggiunge Stefano Vicari, direttore di neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù (sul sito wwww.opedale bambinogesu.it altri consigli ai genitori). «Diamo ai nostri figli - prosegue Vicari - informazioni corrette. Andiamo, almeno le prime volte, in rete insieme a loro e parliamo anche dei molti aspetti positivi di Facebook, altrimenti perderemo credibilità. E se temiamo che cedano all'esibizionismo, o si inventino personalità del tutto fittizie, convinciamoli che "valgono" per quel che sono».
E se nonostante tutta la buona volontà dei genitori, i giovanissimi non ne volessero sapere di farli entrare nel loro mondo sul web? «Molto spesso - sostiene Linda Fogg - i figli ci dicono di no, non perché hanno paura d'essere spiati, ma perché temono che li mettiamo in imbarazzo. Impariamo il "galateo" dei social network e ci diranno di sì. Un sì che ci permetterà di conoscerli ed aiutarli meglio». «Se il "no" resta tale - aggiunge Vicari - importante è non cedere alla tentazione di dire "d'ora in avanti sono solo fatti tuoi"; debbono sapere che, se avranno dubbi o paure, noi saremo sempre lì».
«Magari - aggiunge Silvano Bertelloni, presidente della Società italiana di medicina dell'adolescenza - proponiamo loro di farci entrare su Facebook come amici di "serie B", che hanno diritto ad accedere solo a un certo livello di informazioni».
«Ci sono i genitori invadenti, - sottolinea Piero Barone, docente di psicologia dell'adolescenza e pedagogia della devianza alla Bicocca di Milano - ma anche quelli che danno ai figli una fiducia illimitata con la scusa "ne sanno più di noi". Trovare un equilibrio è difficile, ma necessario. Anche perché il vero rischio, se i ragazzi diventano "dipendenti" dalla rete, è vederli perdere la dimensione corporea. Contrattiamo, dunque, con i nostri figli che cosa possono fare sulla rete: dopo tutto noi abbiamo concesso loro di avere un computer, cosa che "non" eravamo affatto obbligati a fare, quindi abbiamo diritto ad avere voce in capitolo. Non demonizziamo però chat, Facebook e quant'altro, grazie ai quali i ragazzi approdano a una dimensione costruttiva del sapere: imparano per "immersione", tuffandosi in questo nuovo mondo senza bisogno di manuali e corsi. Diventano più creativi, originali e imparano a condividere e a costruire insieme».
«Corriere della Sera» del 12 settembre 2010
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