Consigli per evitare di ritrovarsi tra le mani un romanzo scritto con i piedi
di Mariarosa Mancuso
Leggetelo. Soprattutto voi che avete il romanzo nel cassetto o sulla chiavetta Usb, e vi stupite perché gli editori non fanno a botte per pubblicarlo. Voi che alla prima lettera di rifiuto pensate che la conventicola letteraria si stia organizzando contro il vostro insopprimibile talento. Voi che i libri di regola non li leggete (perché non c’è mai tempo) eppure i libri li volete scrivere (come se per questo di tempo ne servisse meno). Voi che pensate “la mia vita è un romanzo”, e poiché amici e parenti già potrebbero recitarlo a memoria, pensate che sia il caso di allargare la cerchia dei fortunati. Voi che mandate manoscritti in visione – in busta gialla o tramite mail certificate – con il post it già appiccicato a pagina 69 (e un appuntino: “L’ho controllata, mi sento di poter dire che è riuscita particolarmente bene”).
Leggete per favore Come non scrivere un romanzo di Howard Mittelmark e Sandra Newman, appena uscito da Corbaccio. E poi riguardate il manoscritto. C’è il caso che uno o più dei 200 errori catalogati nella guida si sia insinuato nel vostro romanzetto. C’è il caso che tale errore sia già nelle prime dieci pagine, se non nella prima. C’è il caso che ce ne siano molti altri, da lì alla pagina finale, ed è per questo che gli editori non si sono ancora fatti avanti con l’anticipo. E’ un manuale di scrittura all’incontrario, utile e convincente perché oltre alla teoria porta gli esempi. Ognuno dei duecento errori si accompagna a un brano di prosa che Mittelmark e Newman (entrambi veterani dell’editing) hanno scritto con un’intenzione precisa: mostrare che effetto fanno al lettore le pagine a cui tenete di più. (Sì, è questa l’orribile verità, tanto vale che la sappiate subito: le pagine in cui avete messo il cuore sono le stesse considerate raccapriccianti da ogni lettore all’infuori di vostra madre).
Cominciamo dall’inizio, e dal fatto che uno scrittore dovrebbe aver qualcosa da raccontare, prima di mettersi a scrivere (“Il calzino perduto”, dicono i nostri, non è una trama). Se ha qualcosa da raccontare, ne deve far dono al lettore senza inutili preamboli: il difetto – etichettato come “Sala d’aspetto” – riguarda quei romanzi in cui ci dobbiamo sorbire la banalissima infanzia del protagonista (che forse non sarà neanche il protagonista) in attesa di qualcosa che forse succederà (e se succederà sarà drammatica quanto un calzino bucato). Trovata una trama non ovvia e un personaggio più interessante del cugino Gaetano – vuol dire: non caratterizzato attraverso quel che ha addosso, o una serie di gesti che prevedano la bollitura della pasta e una sosta in bagno per radersi – si passa all’annosa questione dello stile e delle metafore (noi l’abbiamo fatta breve, Mittelmark e Newman spiegano per filo e per segno perché certi cattivi dei romanzi, per esempio, non spaventano nessuno).
Ovvero: i punti dolenti di chi scrive per diletto, e in Italia anche degli scrittori che vanno in classifica. Già la regola “Scrivere non somiglia al pattinaggio artistico” ne toglierebbe di mezzo qualcuno. Come il capitolo che comincia con la frase “Gregor Samsa si svegliò un mattino e si trovò trasformato in un enorme simbolo”. Le magnifiche guide insegnano a non spiegare il significato della vita già nel prologo, e a curare i dialoghi. Non va bene, per esempio, se tutti i personaggi parlano con la stessa voce del narratore (“Il ventriloquo”). Se Pinco Pallo fa una battuta, si deve capire che è una battuta dalle parole tra virgolette. Se lo scrittore dopo le virgolette sente il bisogno di aggiungere “ironizzò Pinco Pallo”, la battuta – e anche il romanzo – sono venuti male.
Leggete per favore Come non scrivere un romanzo di Howard Mittelmark e Sandra Newman, appena uscito da Corbaccio. E poi riguardate il manoscritto. C’è il caso che uno o più dei 200 errori catalogati nella guida si sia insinuato nel vostro romanzetto. C’è il caso che tale errore sia già nelle prime dieci pagine, se non nella prima. C’è il caso che ce ne siano molti altri, da lì alla pagina finale, ed è per questo che gli editori non si sono ancora fatti avanti con l’anticipo. E’ un manuale di scrittura all’incontrario, utile e convincente perché oltre alla teoria porta gli esempi. Ognuno dei duecento errori si accompagna a un brano di prosa che Mittelmark e Newman (entrambi veterani dell’editing) hanno scritto con un’intenzione precisa: mostrare che effetto fanno al lettore le pagine a cui tenete di più. (Sì, è questa l’orribile verità, tanto vale che la sappiate subito: le pagine in cui avete messo il cuore sono le stesse considerate raccapriccianti da ogni lettore all’infuori di vostra madre).
Cominciamo dall’inizio, e dal fatto che uno scrittore dovrebbe aver qualcosa da raccontare, prima di mettersi a scrivere (“Il calzino perduto”, dicono i nostri, non è una trama). Se ha qualcosa da raccontare, ne deve far dono al lettore senza inutili preamboli: il difetto – etichettato come “Sala d’aspetto” – riguarda quei romanzi in cui ci dobbiamo sorbire la banalissima infanzia del protagonista (che forse non sarà neanche il protagonista) in attesa di qualcosa che forse succederà (e se succederà sarà drammatica quanto un calzino bucato). Trovata una trama non ovvia e un personaggio più interessante del cugino Gaetano – vuol dire: non caratterizzato attraverso quel che ha addosso, o una serie di gesti che prevedano la bollitura della pasta e una sosta in bagno per radersi – si passa all’annosa questione dello stile e delle metafore (noi l’abbiamo fatta breve, Mittelmark e Newman spiegano per filo e per segno perché certi cattivi dei romanzi, per esempio, non spaventano nessuno).
Ovvero: i punti dolenti di chi scrive per diletto, e in Italia anche degli scrittori che vanno in classifica. Già la regola “Scrivere non somiglia al pattinaggio artistico” ne toglierebbe di mezzo qualcuno. Come il capitolo che comincia con la frase “Gregor Samsa si svegliò un mattino e si trovò trasformato in un enorme simbolo”. Le magnifiche guide insegnano a non spiegare il significato della vita già nel prologo, e a curare i dialoghi. Non va bene, per esempio, se tutti i personaggi parlano con la stessa voce del narratore (“Il ventriloquo”). Se Pinco Pallo fa una battuta, si deve capire che è una battuta dalle parole tra virgolette. Se lo scrittore dopo le virgolette sente il bisogno di aggiungere “ironizzò Pinco Pallo”, la battuta – e anche il romanzo – sono venuti male.
«Il Foglio» del 28 settembre 2010
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