L'appello del Papa all'Europa
di Luigi Geninazzi
È certamente una buona notizia che ci fa tirare un respiro di sollievo: le autorità di Teheran hanno sospeso la condanna a morte di Sakineh, la donna iraniana divenuta simbolo della terribile condizione in cui versano i diritti umani in Iran. Ma restano le brutte notizie che riguardano i processi farsa e, più in generale, la repressione feroce portata avanti dal regime degli ayatollah. Non c’è purtroppo alcuna garanzia che tutto questo abbia fine.
L’impressione sconfortante è che la buona notizia duri il tempo di un respiro, mentre le cattive notizie s’addensano senza un attimo di tregua. Sarà un caso ma proprio negli stessi giorni in cui in Europa e nelle Americhe si dà prova di rara unità e di grande compattezza mobilitandosi a favore di Sakineh in nome della dignità della donna e dei fondamentali diritti umani, ecco che nelle sue retrovie si apre una falla imbarazzante e vergognosa. Il Burn a Koran Day, la Giornata in cui bruciare copie del Corano proclamata dal pastore di una chiesa protestante in Florida in occasione del prossimo anniversario dell’11 settembre, è un’iniziativa che sembra fatta apposta per screditare quel che resta dell’Occidente con la O maiuscola.
«Un gesto stupido e pericoloso», è stato sottolineato da alti ufficiali, uomini politici ed esponenti religiosi, preoccupati per le ritorsioni facilmente prevedibili di settori del mondo musulmano. Si teme infatti un’ondata di violenze che si riverserà soprattutto contro gli inermi cristiani che vivono nei Paesi a prevalenza islamica, come già avvenuto nel 2006 a seguito delle vignette satiriche su Maometto pubblicate da un giornale danese. Ma l’idea di un grande rogo in cui bruciare i libri sacri dell’islam è sciocca e pericolosa non soltanto per l’incendio devastante che potrebbe scatenare nel mondo, ma per il fatto che nega gli stessi ideali che chi l’ha lanciata dichiara si nutrire e sostenere. Per dirla con Talleyrand, «è peggio di un crimine, è un errore». Rispondere a coloro che bruciano le bandiere americane dando fuoco al Corano significa avere un concetto di libertà simile a quello degli integralisti islamici.
Cresce l’arroganza, si rimpiccioliscono i diritti di libertà, a cominciare da quello alla libertà religiosa. Invece «è imperativo sviluppare sia la validità universale di questi diritti, sia la loro inviolabilità». Sono parole pronunciate ieri dal Papa nel discorso rivolto ai vertici parlamentari del Consiglio d’Europa, un’istituzione internazionale chiamata a difendere e garantire i valori inviolabili e i fondamentali diritti dell’uomo. Ma Benedetto XVI ha allargato l’orizzonte affrontando il problema nel contesto della società attuale, nella quale s’incontrano popoli e culture differenti. E si è chiesto cosa succederebbe «se questi diritti fossero privi di un fondamento razionale, oggettivo, comune a tutti i popoli, e si basassero esclusivamente su culture, decisioni legislative o sentenze di tribunali particolari». Se fosse così non potremmo opporci alle decisioni di un tribunale islamico a Teheran che intende condannare a morte una donna per adulterio. E non saremmo neppure in grado di controbattere alle farneticazioni di un pastore protestante che intende bruciare il Corano.
Qualcuno potrebbe essere tentato di liquidare le parole del Papa come l’ennesima condanna del relativismo. Ma la sua non è stata la ripetizione di un giudizio astratto bensì l’analisi puntuale di quanto sta succedendo sotto i nostri occhi. Benedetto XVI è in realtà entrato, con delicatezza, nel merito delle buone e delle cattive notizie di questi giorni. E ci ha sollecitato a dare «un terreno solido e duraturo» alle nostre battaglie di civiltà: alla mobilitazione per salvare la vita di una donna che rischia la lapidazione come alla strenua affermazione dei principi di tolleranza religiosa che sembrano vacillare perfino nei dintorni della Statua della Libertà.
L’impressione sconfortante è che la buona notizia duri il tempo di un respiro, mentre le cattive notizie s’addensano senza un attimo di tregua. Sarà un caso ma proprio negli stessi giorni in cui in Europa e nelle Americhe si dà prova di rara unità e di grande compattezza mobilitandosi a favore di Sakineh in nome della dignità della donna e dei fondamentali diritti umani, ecco che nelle sue retrovie si apre una falla imbarazzante e vergognosa. Il Burn a Koran Day, la Giornata in cui bruciare copie del Corano proclamata dal pastore di una chiesa protestante in Florida in occasione del prossimo anniversario dell’11 settembre, è un’iniziativa che sembra fatta apposta per screditare quel che resta dell’Occidente con la O maiuscola.
«Un gesto stupido e pericoloso», è stato sottolineato da alti ufficiali, uomini politici ed esponenti religiosi, preoccupati per le ritorsioni facilmente prevedibili di settori del mondo musulmano. Si teme infatti un’ondata di violenze che si riverserà soprattutto contro gli inermi cristiani che vivono nei Paesi a prevalenza islamica, come già avvenuto nel 2006 a seguito delle vignette satiriche su Maometto pubblicate da un giornale danese. Ma l’idea di un grande rogo in cui bruciare i libri sacri dell’islam è sciocca e pericolosa non soltanto per l’incendio devastante che potrebbe scatenare nel mondo, ma per il fatto che nega gli stessi ideali che chi l’ha lanciata dichiara si nutrire e sostenere. Per dirla con Talleyrand, «è peggio di un crimine, è un errore». Rispondere a coloro che bruciano le bandiere americane dando fuoco al Corano significa avere un concetto di libertà simile a quello degli integralisti islamici.
Cresce l’arroganza, si rimpiccioliscono i diritti di libertà, a cominciare da quello alla libertà religiosa. Invece «è imperativo sviluppare sia la validità universale di questi diritti, sia la loro inviolabilità». Sono parole pronunciate ieri dal Papa nel discorso rivolto ai vertici parlamentari del Consiglio d’Europa, un’istituzione internazionale chiamata a difendere e garantire i valori inviolabili e i fondamentali diritti dell’uomo. Ma Benedetto XVI ha allargato l’orizzonte affrontando il problema nel contesto della società attuale, nella quale s’incontrano popoli e culture differenti. E si è chiesto cosa succederebbe «se questi diritti fossero privi di un fondamento razionale, oggettivo, comune a tutti i popoli, e si basassero esclusivamente su culture, decisioni legislative o sentenze di tribunali particolari». Se fosse così non potremmo opporci alle decisioni di un tribunale islamico a Teheran che intende condannare a morte una donna per adulterio. E non saremmo neppure in grado di controbattere alle farneticazioni di un pastore protestante che intende bruciare il Corano.
Qualcuno potrebbe essere tentato di liquidare le parole del Papa come l’ennesima condanna del relativismo. Ma la sua non è stata la ripetizione di un giudizio astratto bensì l’analisi puntuale di quanto sta succedendo sotto i nostri occhi. Benedetto XVI è in realtà entrato, con delicatezza, nel merito delle buone e delle cattive notizie di questi giorni. E ci ha sollecitato a dare «un terreno solido e duraturo» alle nostre battaglie di civiltà: alla mobilitazione per salvare la vita di una donna che rischia la lapidazione come alla strenua affermazione dei principi di tolleranza religiosa che sembrano vacillare perfino nei dintorni della Statua della Libertà.
«Avvenire» del 9 settembre 2010
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