Con loro si studia il determinismo e il libero arbitrio
di Alessandro Trevisani
Il dilemma: moralmente sono tenuti a mettere i loro superpoteri al servizio della comunità?
Batman come Socrate, gli X-Men come i sofisti. Nelle università americane la filosofia la insegnano i supereroi. Cresce, infatti, il numero degli insegnamenti che riguardano i cosiddetti popular media: fiction, fumetti, cinema, sono da tempo materia di studio negli atenei degli Sati Uniti. Ma che superpoteri e massimi sistemi potessero andare a braccetto, fra un Wham! e una meditazione cartesiana, nessuno, forse, lo avrebbe mai potuto sospettare.
ETICA - Capita invece che il professor Christopher Robichaud, della Harvard Kennedy School, nel Massachusetts, per avvicinare i suoi allievi ai dilemmi della filosofia morale, offra loro l'esempio di Spider Man: com'è che il giovane Peter Parker deve usare i suoi superpoteri? Moralmente è tenuto a metterli al servizio della comunità? O sarebbe altrettanto «etico» impiegarli per soddisfare la sua vocazione di scienziato? Càpita, ancora, che Christopher Bartel, assistente di filosofia all'Appalachian State University del North Carolina, dia da leggere agli studenti Watchmen, il fumetto degli inglesi Alan Moore e dave Gibbons, premio Hugo nel 1988. E un personaggio, in particolare, serve a Bartel per illustrare le teorie del determinismo e del libero arbitrio: è Dr. Manhattan, alias Jon Osterman, lo scienziato che un incidente nucleare ha trasformato in un essere superpotente, in grado, per di più, di prevedere il futuro.
STAN LEE - Il creatore di tantissimi supereroi (Spiderman, X-Men e i Fantastici 4 su tutti), Stan Lee, ripercorrendo i suoi 71 anni di attività in una recente intervista alla Cnn, lo aveva detto: «Anche se erano storie d'azione a fumetti, ho pensato che poteva essere interessante per i lettori avere una terza dimensione, che ho sempre cercato di introdurre in forma sottile, iniettandovi un po' di filosofia. Qualcosa su cui riflettere, mentre si legge». Più pragmaticamente, il professor Bartel descrive il suo corso – Filosofia, letteratura, cinema e fumetti – come un «fantastico strumento di reclutamento»: moltissimi, fra i suoi studenti, avrebbero scelto la specializzazione in filosofia. Secondo William Irwin, del Black's College of Pennsylvania, non c'è nulla di strano nel mescolare eroi in costume e pensieri altisonanti. «La filosofia comincia con Socrate nelle strade di Atene», commenta, «quando si sforzava di parlare nella lingua del popolo, adoperando analogie con l'agricoltura e citando la mitologia più spicciola». Irwin è, fra l'altro, editore della collana And Philosophy, dove spiccano titoli come X-Men and philosophy, Lost and Philosophy e Batman and Philosophy, dove senza mezzi temini ci si domanda «Perché Batman non uccide Joker?», visto che ogni volta che lo fa arrestare quello, sghignazzando, dopo un po' se ne esce di galera.
NECESSITÀ O PROPAGANDA? - L'autore, Mark White, della City University of New York, si dice sicuro di «scatenare qualche grassa risata nei corridoi». Del resto la domanda si pone legittimamente: questa vague fumettistica negli atenei americani inquadra una reale affinità fra materie di studio e cartoni? Oppure dipende dal narcisismo di qualche professore fanatico di supereroi? Insomma, siamo di fronte a un'evoluzione della didattica, o siamo piombati di colpo in un'aula della scuola Marilyn Monroe, quella del film Bianca di Nanni Moretti? «Ma non stiamo mica mettendo Superman sullo stesso piano di Omero e Dante», ci tiene a precisare Irwin. «L'obiettivo è semplicemente quello di interessare la gente alla filosofia, parlando loro subito in termini familiari».
SUPERUOMINI - Ma forse una spiegazione più sottile, riguardo all'importanza dei supereroi nella cultura americana, l'ha data involontariamente il filosofo Georges Sorel, che nel 1908 si esprimeva con parole in tutto simili a quelle di un moderno fumetto. Il teorico del sindacalismo rivoluzionario scriveva, nelle sue Riflessioni sulla violenza: «Credo che se Nietzsche non fosse stato così preso dalle sue reminiscenze di professore di filologia, si sarebbe accorto che il superuomo esiste per davvero, e che attualmente è incarnato dalla potenza degli Stati Uniti». E nel 1985, pubblicando Watchmen, Alan Moore mette in scena lo speaker di un telegiornale americano, mentre annuncia al mondo che un uomo dai poteri straordinari (il Dr. Manhattan di cui sopra) è al servizio del governo americano, impegnato nella guerra fredda contro l'Urss. Le parole del conduttore sono esattamente queste: «Il superuomo esiste, ed è americano!». I casi sono due: o Alan Moore ha letto Sorel, oppure della necessità di questi supereroi-filosofi dovremo, come han già fatto gli americani, farci una ragione... filosofica.
ETICA - Capita invece che il professor Christopher Robichaud, della Harvard Kennedy School, nel Massachusetts, per avvicinare i suoi allievi ai dilemmi della filosofia morale, offra loro l'esempio di Spider Man: com'è che il giovane Peter Parker deve usare i suoi superpoteri? Moralmente è tenuto a metterli al servizio della comunità? O sarebbe altrettanto «etico» impiegarli per soddisfare la sua vocazione di scienziato? Càpita, ancora, che Christopher Bartel, assistente di filosofia all'Appalachian State University del North Carolina, dia da leggere agli studenti Watchmen, il fumetto degli inglesi Alan Moore e dave Gibbons, premio Hugo nel 1988. E un personaggio, in particolare, serve a Bartel per illustrare le teorie del determinismo e del libero arbitrio: è Dr. Manhattan, alias Jon Osterman, lo scienziato che un incidente nucleare ha trasformato in un essere superpotente, in grado, per di più, di prevedere il futuro.
STAN LEE - Il creatore di tantissimi supereroi (Spiderman, X-Men e i Fantastici 4 su tutti), Stan Lee, ripercorrendo i suoi 71 anni di attività in una recente intervista alla Cnn, lo aveva detto: «Anche se erano storie d'azione a fumetti, ho pensato che poteva essere interessante per i lettori avere una terza dimensione, che ho sempre cercato di introdurre in forma sottile, iniettandovi un po' di filosofia. Qualcosa su cui riflettere, mentre si legge». Più pragmaticamente, il professor Bartel descrive il suo corso – Filosofia, letteratura, cinema e fumetti – come un «fantastico strumento di reclutamento»: moltissimi, fra i suoi studenti, avrebbero scelto la specializzazione in filosofia. Secondo William Irwin, del Black's College of Pennsylvania, non c'è nulla di strano nel mescolare eroi in costume e pensieri altisonanti. «La filosofia comincia con Socrate nelle strade di Atene», commenta, «quando si sforzava di parlare nella lingua del popolo, adoperando analogie con l'agricoltura e citando la mitologia più spicciola». Irwin è, fra l'altro, editore della collana And Philosophy, dove spiccano titoli come X-Men and philosophy, Lost and Philosophy e Batman and Philosophy, dove senza mezzi temini ci si domanda «Perché Batman non uccide Joker?», visto che ogni volta che lo fa arrestare quello, sghignazzando, dopo un po' se ne esce di galera.
NECESSITÀ O PROPAGANDA? - L'autore, Mark White, della City University of New York, si dice sicuro di «scatenare qualche grassa risata nei corridoi». Del resto la domanda si pone legittimamente: questa vague fumettistica negli atenei americani inquadra una reale affinità fra materie di studio e cartoni? Oppure dipende dal narcisismo di qualche professore fanatico di supereroi? Insomma, siamo di fronte a un'evoluzione della didattica, o siamo piombati di colpo in un'aula della scuola Marilyn Monroe, quella del film Bianca di Nanni Moretti? «Ma non stiamo mica mettendo Superman sullo stesso piano di Omero e Dante», ci tiene a precisare Irwin. «L'obiettivo è semplicemente quello di interessare la gente alla filosofia, parlando loro subito in termini familiari».
SUPERUOMINI - Ma forse una spiegazione più sottile, riguardo all'importanza dei supereroi nella cultura americana, l'ha data involontariamente il filosofo Georges Sorel, che nel 1908 si esprimeva con parole in tutto simili a quelle di un moderno fumetto. Il teorico del sindacalismo rivoluzionario scriveva, nelle sue Riflessioni sulla violenza: «Credo che se Nietzsche non fosse stato così preso dalle sue reminiscenze di professore di filologia, si sarebbe accorto che il superuomo esiste per davvero, e che attualmente è incarnato dalla potenza degli Stati Uniti». E nel 1985, pubblicando Watchmen, Alan Moore mette in scena lo speaker di un telegiornale americano, mentre annuncia al mondo che un uomo dai poteri straordinari (il Dr. Manhattan di cui sopra) è al servizio del governo americano, impegnato nella guerra fredda contro l'Urss. Le parole del conduttore sono esattamente queste: «Il superuomo esiste, ed è americano!». I casi sono due: o Alan Moore ha letto Sorel, oppure della necessità di questi supereroi-filosofi dovremo, come han già fatto gli americani, farci una ragione... filosofica.
«Corriere della Sera» del 13 settembre 2010
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