di Aristide Malnati
Una notizia clamorosa, se confermata, potrebbe recare elementi importanti, decisivi alla comprensione dell’epos omerico, in particolare di quello legato alla figura mitologica di Ulisse: un’équipe dell’Università di Giannina (nell’Epiro), guidata dal professor Athanasios Papadopoulos, che da sedici anni conduce uno scavo sistematico nella parte settentrionale dell’isola di Itaca, ha riportato alla luce i resti di un ampio palazzo, sede quasi certa dei sovrani a capo della comunità. Anche il periodo coincide: il palazzo è stato edificato nel XIV secolo a.C., durante i secoli cretesemicenei, la fase iniziale della civiltà ellenica, quando a dominare era una serie di centri prosperi, tra cui – su tutti – la città di Micene, governata dagli Atridi e in particolare da Menelao. E proprio al palazzo di Micene – la reggia imponente sede della famiglia di Menelao, promotore con il fratello Agamennone della spedizione dei Greci (gli Achei) contro la città di Troia – la costruzione di recente rinvenuta assomiglia; così come analogie evidenti sono riscontrabili con un altro grande palazzo descritto dal poema omerico: quello di Pilo, anch’esso databile al XIV secolo a.C. e anch’esso al suo massimo splendore nel XII secolo a.C.,il momento della spedizione narrata da Omero nell’Iliade, come conferma lo strato settimo delle rovine di Troia scoperte da Heinrich Schliemann. Tutto collima, anche una fontana, simile ad esempi dell’epoca e a descrizioni omeriche di strutture analoghe, che quindi conferirebbe ulteriore sostanza alle conclusioni a cui sono giunti gli studiosi greci. Abbondante si preannuncia anche il materiale di vita quotidiana conservato all’interno degli ambienti del palazzo, soprattutto cocci di terracotta, in grado di fornire informazioni preziose sui rapporti commerciali dei sudditi di Ulisse con popoli delle isole vicine e dell’entroterra ellenico. È in questo palazzo e nell’area ad esso adiacente che il poeta dell’Odissea ambienta il ritorno di Ulisse, stremato dopo dieci anni di guerra e altrettanti di peregrinare; qui si verificò il famoso episodio del cane Argo, che per primo riconobbe l’antico padrone, abbaiando di gioia prima di esalare l’ultimo respiro e suscitando lacrime furtive in Ulisse, attento a non rivelarsi agli astanti; e qui si svolse la battaglia finale tra lo stesso Ulisse e i Proci, che invano avevano insidiato Penelope, sempre irreprensibile a rifiutare qualsiasi tentazione.
E in questa reggia Ulisse e Penelope, sconfitti i rivali, trascorsero una lieta vecchiaia. «È l’ennesima conferma di un’indiscutibile sostanza storica dell’epos omerico – commenta Luciano Canfora, ordinario di Filologia classica all’Università di Bari –. I poemi omerici erano una sorta di enciclopedia arcaica, scritta in esametri e ricca di puntuali riferimenti storici, geografici ed etnografici: già Giambattista Vico parlava di fonte attendibile e l’archeologia una volta di più la conferma tale».
E in questa reggia Ulisse e Penelope, sconfitti i rivali, trascorsero una lieta vecchiaia. «È l’ennesima conferma di un’indiscutibile sostanza storica dell’epos omerico – commenta Luciano Canfora, ordinario di Filologia classica all’Università di Bari –. I poemi omerici erano una sorta di enciclopedia arcaica, scritta in esametri e ricca di puntuali riferimenti storici, geografici ed etnografici: già Giambattista Vico parlava di fonte attendibile e l’archeologia una volta di più la conferma tale».
«Avvenire» del 24 agosto 2010
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