Il filosofo accusa: "Paraocchi sul secolo breve"
di Edgar Morin
Anticipiamo in queste colonne uno stralcio del volume di Edgar Morin Pro e contro Marx. Ritrovarlo sotto le macerie dei marxismi, in uscita per Erickson (pagine 104, euro 10,00). Nel volume il filosofo e sociologo francese riflette: «La concezione antropologica di Marx era unidimensionale: né l’immaginario né il mito facevano parte della realtà umana, l’essere umano era homo faber, senza interiorità, senza complessità. Sappiamo invece, come hanno mostrato Montaigne, Pascal, Shakespeare, Dostoevskij, che homo è sapiens-demens – un essere complesso, multiplo, che porta in sé un cosmo di sogni e di fantasmi»
Il XX secolo ci ha fornito a prezzo del sangue, del terrore e della morte una formidabile esperienza. Ma perché un’esperienza riesca a offrire una lezione, è necessario che dia luogo a una riflessione. L’esperienza chiave del secolo è quella di una reazione a catena, scatenata da una deflagrazione periferica, a Sarajevo, il 28 giugno 1914, che ha infiammato la guerra europea poi divenuta mondiale. Questa guerra ha fatto nascere il comunismo totalitario, il fascismo italiano, il nazismo che, emerso a sua volta da una crisi economica di una gravità senza precedenti, ha innescato la Seconda guerra mondiale, che ha dato luogo dapprima alla Guerra fredda e in seguito all’implosione dell’Unione Sovietica la quale, aggravando le prospettive future, ha suscitato il dilagare tumultuoso dei nazionalismi. Gli enormi passi indietro del XX secolo hanno fatto nascere guerre, crisi, nazionalismi, socialismi che hanno generato il nuovo mostro storico del totalitarismo. Il XX secolo ha vissuto l’esperienza di una formidabile religione della salvezza terrena, disintegratasi nella e attraverso la propria realizzazione, palesando che la rivoluzione resuscitava una forma ancora peggiore di sfruttamento di quella che avrebbe preteso di distruggere. Il XX secolo è stato teatro di crisi gigantesche connesse le une alle altre: crisi economiche, crisi della democrazia, crisi dell’Europa.
Dovunque, sotto l’effetto delle crisi e delle guerre, la ricerca di un’altra via storica, o «terza via», è stata distrutta fin dalla sua fase nascente. Ora il pensiero politico, a destra come a sinistra, è ancora incapace di concepire una causalità inter-retroattiva che possa spiegare lo scatenamento reciproco delle reazioni a catena registrate nel XX secolo. Il pensiero politico resta incapace di cogliere al tempo stesso l’unità e la differenza fra i due totalitarismi. Il nazismo, defunto da più di cinquant’anni, non è ancora stato diagnosticato sul serio in profondità; il comunismo non è stato veramente pensato, né come sistema politico poliziesco, né come religione della salute terrena, né – al pari del nazismo – come esperienza antropologica che la dice lunga sull’uomo, sul suo bisogno di fede, sulle sue possibilità di accecamento, sulla sua attitudine a superarsi, a corrompersi e a rinnegare se stesso. Il XX secolo ci ha mostrato – e continua a mostrarci – che uno stesso essere umano può passare dallo stato più inoffensivo a uno stato di assoluto fanatismo, dalla tranquillità alla demenza, e che il secolo della scienza e della ragione operazionale è stato anche il secolo delle illusioni, delle incoscienze e dei deliri. E, nella fase transitoria delle acque mitologiche che ristagnano oggi nell’Est europeo – mentre un po’ dovunque si risvegliano e si rivelano furori e deliri – chiamiamo realismo l’assenza di pensiero e non vediamo l’abbaglio dello schiacciante pensiero tecno-economico che guida le nostre politiche. Mentre si scatenano nel mondo turbolenze e regressioni di ogni genere, mentre siamo incapaci di percepire il nostro presente, accettiamo le diagnosi unidimensionali della fine della Storia e dello scontro di civiltà. Coloro i quali non vedono la storia di questo secolo che in termini economici e industriali, non si accorgono che la volontà di nazione obbedisce anche – e talvolta principalmente – a bisogni mitologici, religiosi, comunitari che vanno al di là della volontà di industrializzazione.
Dimenticano le passioni umane, le follie collettive della nostra Storia.
Dovunque, sotto l’effetto delle crisi e delle guerre, la ricerca di un’altra via storica, o «terza via», è stata distrutta fin dalla sua fase nascente. Ora il pensiero politico, a destra come a sinistra, è ancora incapace di concepire una causalità inter-retroattiva che possa spiegare lo scatenamento reciproco delle reazioni a catena registrate nel XX secolo. Il pensiero politico resta incapace di cogliere al tempo stesso l’unità e la differenza fra i due totalitarismi. Il nazismo, defunto da più di cinquant’anni, non è ancora stato diagnosticato sul serio in profondità; il comunismo non è stato veramente pensato, né come sistema politico poliziesco, né come religione della salute terrena, né – al pari del nazismo – come esperienza antropologica che la dice lunga sull’uomo, sul suo bisogno di fede, sulle sue possibilità di accecamento, sulla sua attitudine a superarsi, a corrompersi e a rinnegare se stesso. Il XX secolo ci ha mostrato – e continua a mostrarci – che uno stesso essere umano può passare dallo stato più inoffensivo a uno stato di assoluto fanatismo, dalla tranquillità alla demenza, e che il secolo della scienza e della ragione operazionale è stato anche il secolo delle illusioni, delle incoscienze e dei deliri. E, nella fase transitoria delle acque mitologiche che ristagnano oggi nell’Est europeo – mentre un po’ dovunque si risvegliano e si rivelano furori e deliri – chiamiamo realismo l’assenza di pensiero e non vediamo l’abbaglio dello schiacciante pensiero tecno-economico che guida le nostre politiche. Mentre si scatenano nel mondo turbolenze e regressioni di ogni genere, mentre siamo incapaci di percepire il nostro presente, accettiamo le diagnosi unidimensionali della fine della Storia e dello scontro di civiltà. Coloro i quali non vedono la storia di questo secolo che in termini economici e industriali, non si accorgono che la volontà di nazione obbedisce anche – e talvolta principalmente – a bisogni mitologici, religiosi, comunitari che vanno al di là della volontà di industrializzazione.
Dimenticano le passioni umane, le follie collettive della nostra Storia.
«Nella storiografia domina Marx e tutto viene letto in chiave economica. Così non cogliamo il peso decisivo delle passioni»
«Avvenire» del 19 settembre 2010
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