09 settembre 2010

Tolstoj contro gli "artisti del sollazzo"

Torna dopo oltre trent’anni il saggio in cui il grande russo demolisce la casta degli intellettuali: noiosa, autoreferenziale, lontana dal cuore del popolo. È stato scritto nel 1898 ma disegna un quadro attuale: ecco un assaggio
di Daniele Abbiati
Quando un artista si mette a spiegare che cosa sia l’arte, rischia grosso. Il meno che possa capitargli è sentirsi ribattere: amico mio, tu predichi bene e razzoli male. Ma a settant’anni, uno come Tolstoj se ne fregava, dei giudizi altrui. Aveva già razzolato quasi tutto, letterariamente parlando, quindi poteva permettersi di predicare. Era ormai una specie di papa slavo riconosciuto da tutti e riceveva in udienze private, nella «santa sede» di Jasnaja Poljana, fra lo starnazzare delle galline e i giochi dei bambini: grandi e piccoli, potenti e indigenti, alti burocrati dello Stato e miseri muziki.
Fra il 1878 e il ’79 si mise dunque ad approntare un’enciclica dal titolo Che cos’è l’arte?, ora riproposta in italiano, dopo la vecchia edizione Feltrinelli del 1978, da Donzelli (pagg. 250, euro 17,50, introduzione di Pietro Montani, traduzione e note di Filippo Frassati, da domani in libreria). Quella che vediamo andare per la maggiore ai giorni nostri, si risponde, non è vera arte, è arte «contraffatta» (qualcuno, in tempi successivi, preferirà l’aggettivo «degenerata», ma ci guardiamo bene dal commettere il sacrilego accostamento...), il cui peggior difetto è quello di non «comunicare». Manca di originalità del sentimento, manca di chiarezza, manca di sincerità. Fatta da pochi, parla a pochissimi ed è condivisa quasi da nessuno. Le stroncature tolstojane delle quali qui a fianco proponiamo gli esempi più significativi sono la pars destruens del suo discorso, dopo la quale egli costruisce, con nitore e linearità palladiana, la sobria architettura di una cattedrale pronta ad accogliere chiunque.
Se il collante della società, ragiona l’autore, è la religione, intesa pragmaticamente come afflato di unione e fratellanza, l’arte autentica ne deve seguire il corso. «La coscienza religiosa nella società - spiega - è come la direzione dell’acqua corrente di un fiume. Se l’acqua di un fiume scorre, è ovvio ch’essa segue una direzione. Se una società esiste, è la coscienza religiosa che le indica la direzione cui aspirano più o meno consapevolmente tutti gli uomini di quella società». Poco più avanti, fornisce esempi positivi in tal senso: I masnadieri di Schiller, Hugo, Dickens, La capanna dello zio Tom, Dostoevskij, George Eliot: questa non è l’«arte sollazzo» proposta da «artisti di mestiere». Invece, che cosa fanno, fra gli altri, l’«enigmatico» Baudelaire, il «dissoluto» Verlaine, persino il grande Puškin, quando si piega a compiacere non i gusti del popolo, ma quelli dei critici? Si isolano, coltivano il proprio piccolo orticello confondendolo con l’immensa steppa del mondo.
L’arte, per fare un passo in avanti, deve farne uno indietro. «La destinazione dell’arte nella nostra epoca consiste nel trasferire dal campo della ragione al campo del sentimento la verità che il bene degli uomini sta nella loro unione e nell’instaurare, in luogo della violenza oggi regnante, il regno di dio, cioè l’amore, che rappresenta per tutti noi il fine supremo della vita dell’umanità». Non solo: l’arte dev’essere pronta, se necessario, a sacrificare se stessa sull’altare del bene comune. Se l’alternativa fosse: o l’arte così com’è oggi, oppure niente arte, ebbene... Tolstoj, il papa di tutte le Russie, risponderebbe con le parole di Platone, il papa dell’antichità: «Meglio lasciare che non vi sia alcuna arte, piuttosto che continui l’arte pervertita o contraffatta del giorno d’oggi».
Fra l’«oggi» di Platone e l’«oggi» di Tolstoj correvano la bellezza di ventitrè secoli. Noi ne abbiamo aggiunto un altro, ma non pare che la situazione sia molto cambiata.
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Baudelaire? "Malsano egoista". Wagner? "Falsario
Una breve antologia degli sferzanti giudizi del patriarca di Jasnaia Poliana
di Lev Nikolaevic Tolstoj

LE ERBACCE DEL MALE. «Théo-phile Gautier nella sua prefazione alle famose Fleurs du mal dice che Baudelaire bandiva quanto più possibile dalla poesia l’eloquenza, la passione e la verità riprodotta troppo esattamente . E Baudelaire non si è limitato a enunciare questo metodo, ma ne ha dato la dimostrazione nei suoi versi, e più ancora nei suoi Petits poèmes en prose, il cui significato è un rebus che bisogna indovinare, e che nella maggior parte dei casi resta enigmatico. i sentimenti che c’ispira il poeta sono molto bassi e malsani. La visione del mondo di Baudelaire consiste nell’innalzare a teoria un grossolano egoismo, e nel sostituire alla morale il concetto di bellezza, e di una bellezza assolutamente artificiosa e indefinita come un’ombra».

CATTIVI MAESTRI. «Appoggiandosi a Nietzsche e a Wagner, gli artisti dell’epoca nuova suppongono che non sia necessario essere compresi dalle masse volgari».

FALSO VERLAINE. «Guazzabuglio di metafore e di parole inesatte, messe insieme col pretesto di voler riprodurre uno stato d’animo volgari manifestazioni di sentimenti cattolici e patriottici. visione del mondo consiste in una fiacca dissolutezza, nel riconoscimento della sua impotenza morale e, come àncora di salvezza contro questa impotenza, nella più rozza idolatria cattolica».

UN CASO CRITICO. «Il nostro Puškin scrive i suoi poemetti, l’Evgenij Onegin, gli Zingari, i suoi racconti: tutte opere di vario pregio, ma indubbiamente di vera arte. Ma ecco che poi, sotto l’influsso di una critica bugiarda che esalta Shakespeare, scrive il Boris Godunov, un’opera fredda e ragionata che i critici portano alle stelle e additano a modello».

NON ASCOLTARMI, NON TI SENTO. «La miglior dimostrazione della nociva influenza della critica è data dal suo atteggiamento verso Beethoven. Tra le innumerevoli opere di questo, spesso composte in fretta e furia dietro commissione, ve ne sono alcune che, malgrado l’artificiosità formale, possiedono un reale valore d’arte; ma poi diventa sordo, non può sentire e comincia a proporre opere ormai del tutto falsate, incompiute e per ciò stesso assurde e incomprensibili in senso musicale. comunica forse un elevato sentimento religioso? E rispondo negativamente, perché la musica per se stessa non può comunicare sentimenti siffatti. E poi mi chiedo ancora: se l’opera non appartiene alla categoria superiore dell’arte religiosa, possiede almeno l’altra facoltà propria della buona arte del nostro tempo, la facoltà di riunire in un solo sentimento tutti gli uomini? Appartiene forse all’arte universale cristiana? Ancora una volta devo rispondere negativamente, perché non posso immaginarmi che una folla di persone normali sia in grado di comprendere qualcosa in quella composizione ove - a parte alcuni brevi frammenti che affogano nel mare dell’inintelligibilità - tutto è prolisso, confuso e artificioso. Volente o nolente, devo quindi concludere che la nona sinfonia appartiene all’arte deteriore».

CHI TROPPO VUOLE... «Wagner vuole emendare l’opera assoggettando la musica alle esigenze della poesia e fondendola in quest’ultima. Tuttavia ogni arte ha un suo determinato campo; che non coincide ma è solo attiguo a quelli delle altre; perciò, se si pretende di riunire in un tutto unico anche solo due arti, quella drammatica e quella musicale, ne deriva che le esigenze dell’una non consentiranno di adempiere a quelle dell’altra. un modello tipico delle più grossolane contraffazioni della poesia e toccano i limiti del ridicolo null’altra delle contraffazioni a me note riunisce in sé con tanta maestria e vigore tutti i procedimenti per mezzo dei quali si falsifica l’arte, e cioè: il prestito, l’imitazione, la ricerca degli effetti e l’attrattiva. Si dice: voi non potete giudicare perché non avete visto le opere di Wagner a Bayreuth, nell’oscurità, con l’orchestra che non si vede, e con un’esecuzione portata al massimo della perfezione. Ma proprio questo dimostra che non si tratta di arte, ma di ipnotismo».

VOLTIAMO PAGINA. «La lettura dei romanzi di Zola, di Bourget, di Huysmans, di Kipling e di altri ancora, coi loro soggetti estremamente stuzzicanti, non mi ha commosso per un solo istante; ma mentre leggevo mi rincresceva per quegli autori, così come accade di compatire un uomo che vi crede tanto ingenui da non accorgervi nemmeno dei trucchi coi quali egli tenta d’imbrogliarvi. Sin dalle prime pagine si capisce con quale intenzione il libro è stato scritto, e tutti i particolari diventano superflui, e la lettura annoia».
«Il Giornale» del 9 settembre 2010

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