di Massimo Gaggi
Manhattan in assetto di guerra, alberghi trasformati in fortezze, strade intasate da eserciti di limousine e dai cortei blindati di decine di capi di Stato. Come sempre quella dell’Assemblea generale dell’Onu è la settimana più congestionata di New York. E come sempre si torna a discutere del peso politico di questo organismo e dell’utilità di «kermesse» che negli ultimi anni sono servite soprattutto a dare un palcoscenico mondiale a leader assai discussi: dal presidente iraniano Ahmadinejad a quello del Venezuela, Chavez, al libico Gheddafi. Nonostante che al «nemico» Bush (unilateralista e assai duro con l’organizzazione del Palazzo di Vetro) sia subentrato un Obama che ha ridato loro fiato, scegliendo un approccio multilaterale, eliminando ogni forma di boicottaggio e ripristinando i finanziamenti Usa, oggi le Nazioni Unite appaiono politicamente meno rilevanti che mai. Tutte le principali iniziative internazionali - dalla trattativa israeliani-palestinesi alla diplomazia nucleare in «pressing» sulla Corea del Nord, ai negoziati tra i membri del G20 - prescindono dall’Onu. Che un anno fa aveva lanciato in pompa magna un’iniziativa mondiale per la tutela dell’ambiente che si è totalmente arenata nei giro di pochi mesi. Quest’anno all’assemblea si aggiunge anche una verifica dei risultati dei cosiddetti Obiettivi del Millennio, l’iniziativa varata 10 anni fa per dimezzare, entro il 2015, la povertà nel mondo. A due terzi del percorso il bilancio dell’impegno dei governi è tutt’altro che esaltante, visto che molti Paesi (come l’Italia) afflitti dalla crisi economica, non hanno onorato gli impegni presi. Nonostante ciò, almeno in termini numerici, gli obiettivi di riduzione della povertà sono a portata di mano: non per l’impegno dell’Onu o dei governi, ma grazie alla rapida crescita economica dell’Asia che ha trasformato molti Paesi poveri in «emergenti». Meglio non eccedere, però, in pessimismo (ormai diffuso anche nel Segretariato generale, con Ban Ki-moon accusato di aver spinto l’Onu verso l’irrilevanza): la diplomazia è «imballata», ma le forze di peacekeeping e le agenzie di assistenza continuano a fare un lavoro prezioso, mentre per la non proliferazione nucleare, rimane questo il foro più credibile.
«Corriere della Sera» del 21 settembre 2010
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