Occhi inglesi sull'Italia cattolica e dibattito sulla Big Society
di Davide Rondoni
Succede che a volte arriva uno da fuori e ti fa notare cose tue che non sapevi. O che davi per scontato.
Magari un turista che ti fa osservare meglio lo splendore di un’opera nella tua città. O un ospite a casa, o un amico che ti dice, che so: si vede che sei innamorato. O cose del genere. Ecco, questo è accaduto, secondo me, in questi giorni in cui si è tornato a parlare (si è mai smesso?) di impegno sociale e politico dei cattolici. Si stava conversando di queste cose spinti dalla contingenza di teatro un po’ assurdo in cui si è cacciata la classe dirigente del Paese, nonché dagli interventi di alcuni analisti e, poi, succede che arriva invece un tizio da fuori, dall’Inghilterra, e dice una cosa che sapevamo ma forse abbiamo un po’ dimenticato.
Mentre la discussione verteva sulla capacità di rappresentanza, di mediazione, e altre nobili cose amate dai politologi, arriva Mr Blond – mente del governo Cameron – e si mette a parlare entro un dibattito avviato dal Corriere della Sera di Big Society.
E dice che in Italia, specie in certe zone e grazie alla presenza creativa di movimenti di tipo religioso, questo fenomeno di Big Society, alla base dell’attuale modello inglese per l’uscita dalla crisi e per la ripresa, c’è e funziona. Insomma, ci dice che il mondo ci copia per la vitalità che la nostra società ha mostrato realizzando opere, enti, istituzioni che hanno generato un welfare autonomo e funzionante senza aspettare che lo Stato, gravandosi di costi e di opacità amministrative, si curasse di tutto e tutti. E i cattolici sono stati e sono protagonisti di questo movimento sociale. Ogni città italiana, ogni campagna – specie in alcune zone non a caso le più sviluppate del Paese – porta il segno di tale protagonismo.
Il Papa, parlando l’altro giorno di Leone XIII e della sua Rerum Novarum, ha detto che egli nel disegnare la dottrina sociale fu guidato dalle sue «ampie conoscenze di respiro internazionale, ma anche da tante iniziative realizzate sul campo da parte di comunità cristiane e uomini e donne della Chiesa». La società grande all’italiana, che ora ci copiano in Paesi di diversa tradizione, è frutto anche della «iniziativa» di uomini e comunità cattolici. Pensare che l’impegno dei cattolici nella società e nella politica avvenga su un piano diverso da questo è non solo antistorico ma bizzarro: che influenza potrà mai avere un politico cattolico eletto – magari per convenienza strategica – in un partito che rappresenta interessi e necessità sociali che non vengono da una presenza sociale cattolica? Gli faran fare qualche predica per avere un po’ di voti da parte di gente pia, e poi via, nella cantina dei contaniente. Cattolici che provengano e sostengano la Big Society (favorita, si spinge a dire l’esponente inglese, dall’esistenza di persone e comunità cristiane) possono invece sperare di incidere in politica. Tutto questo apre la strada anche a un serio esame di coscienza da parte di quei cattolici che hanno fatto coincidere la presenza sociale e politica con il solo raggiungimento di incarichi, di poltrone, lasciando che il territorio venisse impoverito di iniziativa sociale cattolica. Questo è avvenuto e avviene ancora spesso, e non a caso con più frequenza nelle zone meno sviluppate del Paese. Il resto è materia di convegni e di chiacchiere, che poco dopo che iniziano speri finiscano. Magari con l’arrivo di un ospite e di qualcuno che ti mostri un punto di vista insolito.
Stavolta è arrivato. E, guarda un po’, è un punto di vista che aiuta a riscoprire qualcosa di importante di noi stessi.
Magari un turista che ti fa osservare meglio lo splendore di un’opera nella tua città. O un ospite a casa, o un amico che ti dice, che so: si vede che sei innamorato. O cose del genere. Ecco, questo è accaduto, secondo me, in questi giorni in cui si è tornato a parlare (si è mai smesso?) di impegno sociale e politico dei cattolici. Si stava conversando di queste cose spinti dalla contingenza di teatro un po’ assurdo in cui si è cacciata la classe dirigente del Paese, nonché dagli interventi di alcuni analisti e, poi, succede che arriva invece un tizio da fuori, dall’Inghilterra, e dice una cosa che sapevamo ma forse abbiamo un po’ dimenticato.
Mentre la discussione verteva sulla capacità di rappresentanza, di mediazione, e altre nobili cose amate dai politologi, arriva Mr Blond – mente del governo Cameron – e si mette a parlare entro un dibattito avviato dal Corriere della Sera di Big Society.
E dice che in Italia, specie in certe zone e grazie alla presenza creativa di movimenti di tipo religioso, questo fenomeno di Big Society, alla base dell’attuale modello inglese per l’uscita dalla crisi e per la ripresa, c’è e funziona. Insomma, ci dice che il mondo ci copia per la vitalità che la nostra società ha mostrato realizzando opere, enti, istituzioni che hanno generato un welfare autonomo e funzionante senza aspettare che lo Stato, gravandosi di costi e di opacità amministrative, si curasse di tutto e tutti. E i cattolici sono stati e sono protagonisti di questo movimento sociale. Ogni città italiana, ogni campagna – specie in alcune zone non a caso le più sviluppate del Paese – porta il segno di tale protagonismo.
Il Papa, parlando l’altro giorno di Leone XIII e della sua Rerum Novarum, ha detto che egli nel disegnare la dottrina sociale fu guidato dalle sue «ampie conoscenze di respiro internazionale, ma anche da tante iniziative realizzate sul campo da parte di comunità cristiane e uomini e donne della Chiesa». La società grande all’italiana, che ora ci copiano in Paesi di diversa tradizione, è frutto anche della «iniziativa» di uomini e comunità cattolici. Pensare che l’impegno dei cattolici nella società e nella politica avvenga su un piano diverso da questo è non solo antistorico ma bizzarro: che influenza potrà mai avere un politico cattolico eletto – magari per convenienza strategica – in un partito che rappresenta interessi e necessità sociali che non vengono da una presenza sociale cattolica? Gli faran fare qualche predica per avere un po’ di voti da parte di gente pia, e poi via, nella cantina dei contaniente. Cattolici che provengano e sostengano la Big Society (favorita, si spinge a dire l’esponente inglese, dall’esistenza di persone e comunità cristiane) possono invece sperare di incidere in politica. Tutto questo apre la strada anche a un serio esame di coscienza da parte di quei cattolici che hanno fatto coincidere la presenza sociale e politica con il solo raggiungimento di incarichi, di poltrone, lasciando che il territorio venisse impoverito di iniziativa sociale cattolica. Questo è avvenuto e avviene ancora spesso, e non a caso con più frequenza nelle zone meno sviluppate del Paese. Il resto è materia di convegni e di chiacchiere, che poco dopo che iniziano speri finiscano. Magari con l’arrivo di un ospite e di qualcuno che ti mostri un punto di vista insolito.
Stavolta è arrivato. E, guarda un po’, è un punto di vista che aiuta a riscoprire qualcosa di importante di noi stessi.
Le zone più sviluppate del Paese portano il segno del protagonismo dei movimenti sociali
«Avvenire» del 9 settembre 2010
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