di Davide Rondoni
Da chi copiare per uscire dalla crisi? Da noi stessi. Bisogna avere il coraggio di guardarsi allo specchio, e vedere cosa c'è di buono e cosa da buttare. Questo è il paradosso italiano. Sempre intenti a recitare, in politica come in strada, non guardiamo più a noi stessi. Lo si fa solo per narcisismo. Per compiacimento. Ma non ci guardiamo davvero più. E smaniamo di copiare a destra e a manca, di ispirarci ad altri modelli, pur di recitare la parte delle vittime o dei fighi cosmopoliti.
In questi giorni si è discusso in varie sedi sul modello migliore che l'Italia dovrebbe seguire per rimettersi sulla via dello sviluppo. Tedesco, dicono alcuni. Inglese, dicono altri. Fa quasi sorridere dunque il fatto che almeno per uno dei due casi, quello inglese, succede che i suoi teorizzatori e realizzatori d'Oltremanica dicano che qua da noi, o almeno in certe zone del Nord, quel loro modello c'è già, e che di fatto ce lo stan copiando. Lo ha detto Mr. Blond, influente consigliere del premier Cameron. Lo hanno denominato big society, indicando un allargamento dell'iniziativa e della responsabilità sociale, rispetto all'attuale pretesa dello stato di garantire un troppo costoso welfare. Tradotto in lingua (e cultura italiana) si tratta di riconoscere più spazio alla società e alle iniziative che, sorte dal suo interno, sono in grado di rispondere alle pubbliche necessità in vari campi, dalla cultura alla sanità, dall'economia alla assistenza.
Mr Blond aveva in mente certe zone del Nord, in particolare la Lombardia, dove una storia di secoli (e non solo la recente) ha sempre mostrato un tessuto sociale vivo e operativo nel campo degli affari ma anche della creatività sociale. Lo testimonia l'esistenza in quelle terre di grandi enti nati da realtà sociali di varia espressione (socialista, cattolica, filantropica) che svolgono grandi servizi per la collettività. Anche il Papa ha ricordato come la Rerum Novarum di Leone XIII nascesse dalla lettura di tale creatività sociale pur in mezzo a difficoltà enormi.
La big society all'italiana c'è già da un pezzo. E non a caso abita le zone più sviluppate del paese. Solo che gli italiani sono diventati bravissimi a distrarsi da se stessi. Che è il peggior male, si diventa bambocci schizofrenici. Si divaga. Si perde tempo, scambiando per lotta politica sorde lotte di potere senza vero contenuto politico. Del resto ieri su questo giornale, il direttore generale di Confindustria, dava voce alla difficoltà di molti, quando indicava nell'opacità di norme e nella lentezza burocratica della pubblica amministrazione una delle cause dello sviluppo frenato. Intanto, però, gli attori sul proscenio della politica intrattengono gli astanti con schiamazzi per ritagliarsi un ruolo, non per cambiar le cose. Sarebbe interessante, invece, guardare perché abbiamo in casa cose che fan da modello ad altri. E puntare su queste peculiarità. Ma per fare questo occorre smettere di essere attori narcisi e diventare padri e madri, coltivatori di futuro, essere nidi, essere panettieri, operai della vita.
In questi giorni si è discusso in varie sedi sul modello migliore che l'Italia dovrebbe seguire per rimettersi sulla via dello sviluppo. Tedesco, dicono alcuni. Inglese, dicono altri. Fa quasi sorridere dunque il fatto che almeno per uno dei due casi, quello inglese, succede che i suoi teorizzatori e realizzatori d'Oltremanica dicano che qua da noi, o almeno in certe zone del Nord, quel loro modello c'è già, e che di fatto ce lo stan copiando. Lo ha detto Mr. Blond, influente consigliere del premier Cameron. Lo hanno denominato big society, indicando un allargamento dell'iniziativa e della responsabilità sociale, rispetto all'attuale pretesa dello stato di garantire un troppo costoso welfare. Tradotto in lingua (e cultura italiana) si tratta di riconoscere più spazio alla società e alle iniziative che, sorte dal suo interno, sono in grado di rispondere alle pubbliche necessità in vari campi, dalla cultura alla sanità, dall'economia alla assistenza.
Mr Blond aveva in mente certe zone del Nord, in particolare la Lombardia, dove una storia di secoli (e non solo la recente) ha sempre mostrato un tessuto sociale vivo e operativo nel campo degli affari ma anche della creatività sociale. Lo testimonia l'esistenza in quelle terre di grandi enti nati da realtà sociali di varia espressione (socialista, cattolica, filantropica) che svolgono grandi servizi per la collettività. Anche il Papa ha ricordato come la Rerum Novarum di Leone XIII nascesse dalla lettura di tale creatività sociale pur in mezzo a difficoltà enormi.
La big society all'italiana c'è già da un pezzo. E non a caso abita le zone più sviluppate del paese. Solo che gli italiani sono diventati bravissimi a distrarsi da se stessi. Che è il peggior male, si diventa bambocci schizofrenici. Si divaga. Si perde tempo, scambiando per lotta politica sorde lotte di potere senza vero contenuto politico. Del resto ieri su questo giornale, il direttore generale di Confindustria, dava voce alla difficoltà di molti, quando indicava nell'opacità di norme e nella lentezza burocratica della pubblica amministrazione una delle cause dello sviluppo frenato. Intanto, però, gli attori sul proscenio della politica intrattengono gli astanti con schiamazzi per ritagliarsi un ruolo, non per cambiar le cose. Sarebbe interessante, invece, guardare perché abbiamo in casa cose che fan da modello ad altri. E puntare su queste peculiarità. Ma per fare questo occorre smettere di essere attori narcisi e diventare padri e madri, coltivatori di futuro, essere nidi, essere panettieri, operai della vita.
«Il Sole 24 Ore» del 9 settembre 2010
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