Torno a Michelstaedter con un dubbio. La sua alternativa fra Persuasione e Retorica, fra intensità e durata, è un’alternativa sempre attuale, anche se è tipica dei giovani alle soglie dell’età adulta. A vent’anni si vuole l’intensità, si rifiuta la retorica della durata. Ma proprio in questo, il ventenne Michelstaedter annuncia la cultura del Novecento, la sua velocità distruttiva. Non costruiamo più niente che duri. Crediamo che sia meglio volere la pienezza dell’essere contro la fatica e le peripezie del divenire. Può essere vero il contrario. Giacomo Debenedetti all’inizio della sua carriera scrisse un saggio su Croce e uno su Michelstaedter. Era di fronte al bivio. Si trattava per lui di due pericoli di alienazione dalla vita: a vantaggio della Storia (Croce) o di un assoluto presente individuale. Scelse la via media: la vera intensità è quella di un individuo che accetta di avere una storia.
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Michelstaedter, pensieri sull’intensità e il vuoto
di Fulvio Panzeri
Effettivamente, come sostiene Sergio Campailla, curatore della pubblicazione delle sue opere presso Adelphi, Carlo Michelstaedter è un diventato un autore di culto, anche a livello internazionale, ma una figura, diciamo, per pochi, non conosciuta dal grande pubblico. Ecco perché, in occasione del centenario della sua morte, ha deciso di proporre un libro di prose varie, costituito da pensieri, racconti e critiche, una scelta tratta dalla gran molte di scritti conservati presso la Biblioteca di Gorizia, che fanno sembrare straordinario e unico un percorso esistenziale decisamente breve, che si interrompe a ventitré anni, ma lascia una tale quantità di scritti da far rimanere stupiti, anche se non tutti sono all’altezza delle opere maggiori, come anche questa raccolta documenta, soprattutto per la parte riguardante i racconti. Sono testi che però mettono in luce una sorta di percorso di formazione, corredato dal saggio introduttivo di Campailla che propone un viaggio parallelo tra le carte ritrovate e l’esperienza autobiografica dell’autore. Del resto Michelstaedter, riflettendo sui termini di tempo, in una intensa pagina di «pensieri» intitolata «Cristo e Matusalemme», delinea una percezione dell’esistenza misurata non sui termini della durata, ma su quelli della intensità. In pratica il ragazzo goriziano, all’inizio del Novecento, sembra teso verso la necessità di un tempo da bruciare, per un arricchimento interiore, per una ricerca della pienezza. Anche questo è un segno dell’attualità che lega ancora oggi quel ragazzo bruciato dalla malinconia e folgorato dai classici greci a una lezione di contemporaneità. Al nostro tempo che ha fatto della 'durata' il suo totem, a scapito della qualità, propone un’inversione di tendenza: prima di pensare alla necessità di un accumulo di tempo per rendere 'alta' l’esperienza della propria vita, pone la questione dell’intensità con cui si attraversa il proprio vivere. E in queste poche righe, oltre ad un monito, traccia anche l’intimo ritratto di sé: «La vita si misura dall’intensità e non dalla durata – l’intensità è in ogni presente: la durata sia essa anche infinita non è meno vuota se non è un susseguirsi di presenti vuoti». E, in linea con questa prospettiva, ribalta i canoni cronologici, affermando: «Cristo è vissuto più che Matusalemme, un insetto effimero vive più che un albero secolare».
È questo un libro che aiuta a conoscere una figura unica della cultura italiana che anticipa i temi della crisi esistenziale novecentesca, che ancora non ha deciso qual è il suo destino letterario, se quello di filosofo, se quello di scrittore o ancora quello di critico, ma proprio in virtù di quell’intensità che diventa la disciplina dei suoi giovani anni si confronta con varie forme di pensiero, quello filosofico, quello narrativo e quello critico. Lo dimostrano gli «esperimenti critici» e i cambiamenti di posizione (come ad esempio nel caso della «lettura» del Piacere di D’Annunzio). Legge un autore allora agli esordi come Gorky, interviene sulla «tragedia dell’egoismo artistico» di Ibsen, elogia «la melodia del giovane divino» nello Stabat mater di Pergolesi, dedica un elogio a Tolstoj, proprio nei giorni del suo ottantesimo compleanno, perché riesce «ad armonizzare in una più vasta visione ogni elemento della vita all’ideale dell’amore universale».
Campailla raggiunge qui il suo scopo, quello di sottrarre Michelstaedter, «per quanto possibile, all’esclusiva degli specialisti e degli eruditi, capaci di fare da sordi proprio quello che lui detestava».
Carlo Michelstaedter, La melodia del giovane divino, Adelphi, pp. 244, € 14 ,00
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