di Riccardo Viale
Forse molti di noi hanno ancora il ricordo della compagnia di qualche creatura fantastica, in qualche serata solitaria della nostra infanzia. Alcune volte queste apparizioni sono avvenute anche dopo l'infanzia, causando a noi e ai nostri genitori qualche preoccupazione sulle condizioni della nostra salute mentale. Un tempo queste manifestazioni della fantasia infantile erano etichettate dagli psicologi come esempio dell'irrazionalità e immaturità della mente infantile. Secondo questa tesi, il bambino non solo ha percezioni di tipo allucinatorio e si inventa oggetti e personaggi inesistenti, ma non utilizza, nel ragionamento e giudizio, le leggi fondamentali della logica e della probabilità, costruisce ipotesi sul mondo infalsificabili dall'esperienza empirica, non ha una chiara rappresentazione della continuità del proprio io, confonde soggetti animati e non, non ha principi e regole morali nel rapporto con gli altri, ama in modo egocentrico e finalizzato al soddisfacimento delle sue pulsioni fisiologiche, eccetera… La maggior parte degli psicologi, in primis Freud e Piaget, con l'eccezione di pochi come la Montessori, sono stati sostenitori di alcune di queste tesi.
Come, invece, spiega il bello e tenero libro della psicologa di Berkeley, Alison Gopnik, The Philosophical Baby, da un po' di anni la psicologia dell'età evolutiva sta ribaltando l'immagine del bambino come «animale» o come «freak». Si consideri il problema dell'immaginazione fantastica. Lungi dall'essere un fenomeno para psicopatologico è, invece, una fondamentale modalità epistemologica innata per conoscere e apprendere. Immaginare significa creare mondi alternativi, popolati di creature reali e non reali che interagiscono in situazioni nuove. Con l'immaginazione i bambini ampliano la loro gamma esperienziale, mettono alla prova il mondo reale, imparano alternative possibili rispetto a quelle già presenti nel loro repertorio mnemonico o nella vita quotidiana. L'immaginazione funziona da palestra contro fattuale su ciò che si potrebbe realizzare se ci fossero altre condizioni iniziali o se si prendessero decisioni differenti.
Quando una bambina, come una novella Alice, si immagina luoghi e personaggi fantastici in cui può volare, essere invisibile, avere poteri magici, non fa che addestrarsi all'autonomia e all'autosufficienza, a quando sarà sola e dovrà contare sulle proprie capacità. D'altra parte, per alcuni fortunati questo stato di grazia immaginativa non finisce con l'infanzia, ma continua fino all'età adulta, portandoli a diventare romanzieri, scrittori di teatro, artisti, inventori, scienziati. «The creator as a big child» potrebbe essere la formula che sintetizza questa situazione in modo complementare a quella proposta tempo fa dalla stessa Gopnik e da Meltzoff come «The child as a little scientist». Infatti se è vero che, fin dalla nascita, il bambino, come lo scienziato, è un elaboratore di tipo ipotetico-deduttivo di teorie sul mondo, è anche vero che ciò che caratterizza l'adulto, impegnato in attività creativa, è molta della libertà immaginativa e contro fattuale del bambino.
Nel bambino, alla saggezza epistemologica si somma quella morale. Il bambino, fin dalla nascita, sembra sviluppare una dimensione di giudizio morale in due modi. Attraverso l'immedesimazione empatica negli altri, a cominciare dalla mamma, elabora il concetto di ciò che è bene e male. Ciò che fa male o bene a lui produce dolore e piacere nella mamma e ciò che fa male o bene alla mamma genera sofferenza e soddisfazione in lui, in un circolo virtuoso di rinforzo empatico. Attraverso la propensione innata a rappresentare e seguire regole comportamentali, egli sviluppa un proprio codice di condotta. A casa e a scuola non ha difficoltà a introiettare, dopo un po' di allenamento, le regole che gli vengono imposte da genitori e maestri. Il bambino sembra un po' kantiano per le regole e un po' humiano per l'empatia.
Uno studio rivelatore di Judith Smetana, ha messo in luce, recentemente, che il bambino, a cominciare da due anni e mezzo, è in grado di preferire di non arrecare dolore agli altri rispetto al seguire una regola generale che sostenga l'opposto. Lo studio è stato realizzato in una scuola dove al bambino venivano proposte varie alternative come seguire le regole, cambiare le regole, fare del bene agli altri bambini e arrecare loro della sofferenza. I bambini hanno dimostrato di essere in grado di capire l'importanza delle regole, ma anche il fatto che esse non siano irreversibili, ma possano cambiare. Ciò che è più sorprendente è che, di fronte alla scelta fra accettare regole che permettono l'arrecare sofferenza agli altri e il disubbidirvi, i bambini fanno prevalere il loro senso profondo di ciò che è bene per gli altri e si contrappongono alla norma generale.
Come, invece, spiega il bello e tenero libro della psicologa di Berkeley, Alison Gopnik, The Philosophical Baby, da un po' di anni la psicologia dell'età evolutiva sta ribaltando l'immagine del bambino come «animale» o come «freak». Si consideri il problema dell'immaginazione fantastica. Lungi dall'essere un fenomeno para psicopatologico è, invece, una fondamentale modalità epistemologica innata per conoscere e apprendere. Immaginare significa creare mondi alternativi, popolati di creature reali e non reali che interagiscono in situazioni nuove. Con l'immaginazione i bambini ampliano la loro gamma esperienziale, mettono alla prova il mondo reale, imparano alternative possibili rispetto a quelle già presenti nel loro repertorio mnemonico o nella vita quotidiana. L'immaginazione funziona da palestra contro fattuale su ciò che si potrebbe realizzare se ci fossero altre condizioni iniziali o se si prendessero decisioni differenti.
Quando una bambina, come una novella Alice, si immagina luoghi e personaggi fantastici in cui può volare, essere invisibile, avere poteri magici, non fa che addestrarsi all'autonomia e all'autosufficienza, a quando sarà sola e dovrà contare sulle proprie capacità. D'altra parte, per alcuni fortunati questo stato di grazia immaginativa non finisce con l'infanzia, ma continua fino all'età adulta, portandoli a diventare romanzieri, scrittori di teatro, artisti, inventori, scienziati. «The creator as a big child» potrebbe essere la formula che sintetizza questa situazione in modo complementare a quella proposta tempo fa dalla stessa Gopnik e da Meltzoff come «The child as a little scientist». Infatti se è vero che, fin dalla nascita, il bambino, come lo scienziato, è un elaboratore di tipo ipotetico-deduttivo di teorie sul mondo, è anche vero che ciò che caratterizza l'adulto, impegnato in attività creativa, è molta della libertà immaginativa e contro fattuale del bambino.
Nel bambino, alla saggezza epistemologica si somma quella morale. Il bambino, fin dalla nascita, sembra sviluppare una dimensione di giudizio morale in due modi. Attraverso l'immedesimazione empatica negli altri, a cominciare dalla mamma, elabora il concetto di ciò che è bene e male. Ciò che fa male o bene a lui produce dolore e piacere nella mamma e ciò che fa male o bene alla mamma genera sofferenza e soddisfazione in lui, in un circolo virtuoso di rinforzo empatico. Attraverso la propensione innata a rappresentare e seguire regole comportamentali, egli sviluppa un proprio codice di condotta. A casa e a scuola non ha difficoltà a introiettare, dopo un po' di allenamento, le regole che gli vengono imposte da genitori e maestri. Il bambino sembra un po' kantiano per le regole e un po' humiano per l'empatia.
Uno studio rivelatore di Judith Smetana, ha messo in luce, recentemente, che il bambino, a cominciare da due anni e mezzo, è in grado di preferire di non arrecare dolore agli altri rispetto al seguire una regola generale che sostenga l'opposto. Lo studio è stato realizzato in una scuola dove al bambino venivano proposte varie alternative come seguire le regole, cambiare le regole, fare del bene agli altri bambini e arrecare loro della sofferenza. I bambini hanno dimostrato di essere in grado di capire l'importanza delle regole, ma anche il fatto che esse non siano irreversibili, ma possano cambiare. Ciò che è più sorprendente è che, di fronte alla scelta fra accettare regole che permettono l'arrecare sofferenza agli altri e il disubbidirvi, i bambini fanno prevalere il loro senso profondo di ciò che è bene per gli altri e si contrappongono alla norma generale.
«Il Sole 24 Ore» del 29 agosto 2010
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