Recensione ad un recente volume sull'omosessualità
Joseph Nicolosi: Identità di genere. Manuale di orientamento, ed. SugarCo marzo 2010, ISBN: 8871985893, ISBN-13: 9788871985893, Numero pagine: 448, Euro 25
Il volume intitolato «Identità di genere. Manuale di orientamento» presenta per la prima volta la tecnica terapeutica che il dottor Joseph Nicolosi applica con i suoi pazienti che soffrono a causa di una omosessualità indesiderata.
La prima cosa che emerge in modo evidente è che la "terapia riparativa" di Nicolosi non ha nulla di coercitivo né di impositivo, ma al contrario è basata su un ascolto aperto ed empatico. Non è nemmeno basata sul controllo dei pensieri omosessuali, anzi: di omosessualità non si parla mai, visto che è considerata semplicemente una conseguenza di un senso di inferiorità nei confronti del mondo maschile. Ed è proprio di questo che si occupa la cosiddetta "terapia riparativa": del senso di inferiorità dei pazienti. Ci si potrebbe chiedere: ma solo il modello di Nicolosi è in grado di aiutare chi ha una bassa autostima? Assolutamente no. Ed è proprio questa la particolarità di Nicolosi: considerare l'omosessualità indesiderata come se fosse un disturbo come un altro, che può capitare a tutti, niente di tragico, insomma: né totem, né tabù. Un paio di parole sul termine "riparativo" riferito alla terapia di Nicolosi: sicuramente, dal punto di vista del marketing, chiamare "riparativa" questa terapia non è stata una gran trovata. Gli omosessualisti ci si sono buttati a pesce, strillando: "Vedete? Nicolosi vuole riparare gli omosessuali!". Ciò che si guardano bene dal dire è che il termine "riparativo" è un termine tecnico psicanalitico, utilizzato per l'omosessualità sin dagli anni cinquanta del secolo scorso. Già, perché in realtà è l'omosessualità ad avere una funzione "riparativa", non la terapia. Ma tutto diventa chiaro leggendo il libro.
Il volume intitolato «Identità di genere. Manuale di orientamento» presenta per la prima volta la tecnica terapeutica che il dottor Joseph Nicolosi applica con i suoi pazienti che soffrono a causa di una omosessualità indesiderata.
La prima cosa che emerge in modo evidente è che la "terapia riparativa" di Nicolosi non ha nulla di coercitivo né di impositivo, ma al contrario è basata su un ascolto aperto ed empatico. Non è nemmeno basata sul controllo dei pensieri omosessuali, anzi: di omosessualità non si parla mai, visto che è considerata semplicemente una conseguenza di un senso di inferiorità nei confronti del mondo maschile. Ed è proprio di questo che si occupa la cosiddetta "terapia riparativa": del senso di inferiorità dei pazienti. Ci si potrebbe chiedere: ma solo il modello di Nicolosi è in grado di aiutare chi ha una bassa autostima? Assolutamente no. Ed è proprio questa la particolarità di Nicolosi: considerare l'omosessualità indesiderata come se fosse un disturbo come un altro, che può capitare a tutti, niente di tragico, insomma: né totem, né tabù. Un paio di parole sul termine "riparativo" riferito alla terapia di Nicolosi: sicuramente, dal punto di vista del marketing, chiamare "riparativa" questa terapia non è stata una gran trovata. Gli omosessualisti ci si sono buttati a pesce, strillando: "Vedete? Nicolosi vuole riparare gli omosessuali!". Ciò che si guardano bene dal dire è che il termine "riparativo" è un termine tecnico psicanalitico, utilizzato per l'omosessualità sin dagli anni cinquanta del secolo scorso. Già, perché in realtà è l'omosessualità ad avere una funzione "riparativa", non la terapia. Ma tutto diventa chiaro leggendo il libro.
_______________________________
PRESENTAZIONE
di Roberto Marchesini e Giancarlo Ricci
Esposta nelle pagine di questo libro, eccola dunque, la famosa terapia riparativa di Joseph Nicolosi. Sin da una prima lettura del testo emergono con evidenza alcune caratteristiche che vale la pena di rimarcare.
Innanzitutto, la terapia riparativa non ha nulla di coercitivo. Del resto, qualunque professionista della salute mentale sa che non è possibile alcun trattamento psicologico coatto. Spesso si dimentica che prima di qualsiasi approccio terapeutico c’è una domanda, ossia una richiesta che sorge da un disagio, in definitiva un desiderio soggettivo di miglioramento, di trasformazione o di progettualità.
Il focus del lavoro clinico dell’autore non è puntato sull’attrazione omosessuale, ha come obiettivo primario il miglioramento dell’autostima, della capacità di relazione e dell’identità di genere del paziente attraverso un approfondito lavoro sulle difese, sulle emozioni e sui sentimenti. L’autore non presenta interventi direttivi o suggestivi, e non si troverà traccia nel libro di elementi morali o religiosi. L’atteggiamento del terapeuta è tutt’altro che giudicante e inquisitorio, e viene delineato chiaramente come accettante e attivamente connesso emotivamente con il paziente, in tutta la sua dignità.
Nicolosi da sempre ha onestamente dichiarato che la terapia ripartiva non è indicata per tutte le forme di omosessualità. In sintesi vi sono diverse forme di omosessualità: talune abbondantemente praticate e agite, come si usa dire, altre che hanno un carattere occasionale o sporadico, alcune in cui prevale l’aspetto immaginario e fantasmatico. Infine talune forme di disagio, spesso nei giovani e nei giovanissimi, si riassumono nel timore di "essere omosessuali". Non indifferente, in definitiva, è la valutazione dell’età evolutiva con l’avvicendarsi, per il soggetto, di tappe e identificazioni strutturanti che si consolidano mediante esiti particolari.
Accennare a questa complessità dove è in gioco il singolo individuo ci permette di evidenziare come il livello clinico, spesso complesso e delicato, non corrisponde affatto al piano sociologico dove quasi sempre (grazie all’ideologia gay) si parla di "omosessuali" come una classe coerente e univoca di individui che pratica un particolare orientamento sessuale. E che su questi rivendica diritti e riconoscimenti. Anche il termine onnicomprensivo di omofobia, spesso meccanicamente deterministico, pare essere diventato una sorta di parola magica che vorrebbe spiegare e giustificare l’atteggiamento omosessuale: dagli ambiti pubblici, come quelli sociali, politici e storici, a quelli più privati e intimi che si riferiscono all’ambito familiare, relazionale e intrapsichico.
Qualche parola intorno alla terapia riparativa. "Questo tipo di terapia — affermava Nicolosi in un suo predente lavoro — non si pone l’obiettivo di cancellare tutti gli impulsi omosessuali, bensì di migliorare la capacità di mettersi in relazione con gli altri uomini e di rafforzare il processo di identificazione maschile". Il cosiddetto "approccio riparativo" nella cura dell’omosessualità maschile è basato essenzialmente sulla teoria delle relazioni oggettuali, sull’analisi delle dinamiche e delle strutture familiari, sul recupero della relazione con la figura paterna. In altro suo testo Nicolosi notava che "ogni psicoterapia che tenti di sottoporre a trattamento l’omosessualità rischia di suscitare scetticismo". Tale scetticismo in effetti sembra crescere all’ombra di una confusione terminologica: la cura non coincide con la guarigione, e guarire non significa magicamente o per forza ripristinare l’eterosessualità.
I fondamenti teorici della terapia riparativa di Nicolosi partono dai lavori di Sigmund e Anna Freud, di Melanie Klein, Donald Winnicott, John Bowlby, David H. Malan e molti altri. Importa rilevare che il modello terapeutico cui fa riferimento Nicolosi non è specifico per il trattamento dell’orientamento sessuale egodistonico, ma è conosciuto universalmente come IS-DTP (Intensive Short-Term Dynamic Psychoterapy, terapia intensive dinamica breve), sviluppata negli anni ’60 del secolo scorso dal professore Habib Davanloo e ampliato da Patricia Coughlin Della Selva e Diana Fosha, terapia che tuttora viene insegnata e praticata da psicologi e psicoterapeuti in ogni parte del mondo. Tra l’altro, recentemente, il dottor Nicolosi ha affiancato all’IS-DTP l’uso dell’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) 6 nel trattamento di alcuni nodi traumatici particolari.
Nulla di bizzarro o esoterico, dunque; semplicemente l’applicazione di tecniche affermate e diffuse a pazienti con problemi di autostima causati da una identità di genere problematica o fragile.
Qualche parola sulla scelta di Nicolosi di chiamare "riparativo" il modello terapeutico proposto. C’è infatti chi, nel tentativo di screditare il clinico statunitense, induce a credere che il termine "riparativo" vada riferito all’omosessualità, o addirittura alla persona con tendenze omosessuali.
Eppure né in Nicolosi né in altri autori o scuole che si rifanno alla terapia riparativa troviamo mai la ridicola idea di "riparare gli omosessuali" o di costringerli a "ritornare eterosessuali".
Pur di screditare forse l’unico approccio terapeutico che vuole costituire un’alternativa alla modalità affermativa dell’omosessualità (GAT), si finge di ignorare che il termine "riparativo" è un termine tecnico psicoanalitico che si riferisce alla teoria del meccanismo della riparazione, nozione che appartiene a pieno titolo al lessico e alla letteratura psicanalitica.
Il concetto di riparazione è fondamentale in psicologia clinica, particolarmente nella psicoanalisi: risale infatti a Melanie Klein, pur essendo presente in maniera implicita anche nei lavori di Anna Freud. Il concetto kleiniano di riparazione, che verrà poi ripreso e sviluppato da Donald Winnicott, consiste nella separazione degli "oggetti buoni" da quelli "cattivi" e nello sforzo di recuperare la bontà dei secondi "riparando" ai danni da essi inferti alla strutturazione dell’Io.
Se Nicolosi chiama la terapia da lui proposta "terapia riparativa" è per evidenziare, sulla scorta di Elizabeth Moberly, il significato "riparativo" dell’omosessualità.8 Semplificando, l’omosessualità sarebbe un tentativo, più o meno riuscito, di ristabilire una connessione con il mondo maschile da parte di una persona che se ne sente esclusa. Prima di lui sono parecchi e autorevoli i clinici che hanno accostato i meccanismi riparativi kleiniani all’omosessualità. Sandor Rado teorizza, infatti, un’"omosessualità ripartiva »; Mayerson e Lief parlano esplicitamente di "terapia di riparazione e terapia ricostruttiva (analisi)" riferendosi a pazienti con tendenze omosessuali.
Irving Bieber è ancora più esplicito quando afferma che "l’attrazione dell’omosessuale verso le qualità maschili può rappresentare, almeno in parte, un tentativo riparativo e di auto-protezione teso ad allacciare un rapporto con un maschio forte che sia capace di difenderlo contro il potere della madre — a differenza del padre che non lo faceva".
Non possiamo qui dilungarci oltre sulle basi teoriche e cliniche della terapia riparativa. Ciò che Nicolosi propone consiste, in buona sostanza, nell’ascolto empatico e nell’utilizzo di tecniche diffuse e consolidate con persone che vivono un orientamento sessuale indesiderato.
I suoi detrattori ricorrono spesso a banalizzazioni o evocano luoghi comuni.
Le battute beffarde di coloro che, per partito preso, discreditano la terapia riparativa dicendo che pretende di "riparare" gli omosessuali sono lontani da una dimensione teorica e clinica. Sono critiche che provengono dall’ideologia gay, e in particolare da quell’ideologia di genere che propugna, in nome di un adeguamento al modernismo, l’uguaglianza e quindi l’indifferenziazione tra i sessi, che fa coincidere il sesso con il genere, cancellando quel complesso percorso psichico che struttura le identificazioni e le idealizzazioni attraverso le quali un soggetto assume una propria identità sessuale.
Le implicazioni dell’ideologia di genere sono ampie, coinvolgono aspetti sociali, giuridici, istituzionali, etici, morali. Lo scientismo ha aperto le porte, soprattutto negli Stati Uniti, agli "studi sul genere". Ma pochi si sono accorti di quanto l’ideologia di genere sia un prodotto dello scientismo, risulti funzionale all’uso incondizionato delle biotecnologie, fino a sostenere tacitamente la fantasia onnipotente secondo cui "tutto è possibile".
Il mondo scientifico sembra aver dimenticato il suo compito fondamentale — descrivere la realtà — ed aver assunto un compito prettamente ideologico: piegare la realtà ai propri desideri; tutto ciò che contrasta questi desideri viene censurato, stigmatizzato, vietato. La scienza tollera malamente le imposizioni ideologiche, la censura, i tabù; essa vive e si nutre di continua ricerca, approfondimento; anche — forse soprattutto — quando si tratta di mettere in dubbio assiomi della mentalità dominante.
L’origine di questo contesto poco rassicurante può essere facilmente rintracciata nell’ideologia del "politicamente corretto", definita causticamente da Robert Hughes "La cultura del piagnisteo"; quella cultura, cioè, che riconosce come fondamento del diritto non la realtà, ma il desiderio, e considera una prevaricazione la mancata realizzazione del desiderio.
Quello che tuttavia è caratteristico del "politicamente corretto" è la tendenza a combattere i divieti con i divieti, le persecuzioni con le persecuzioni, le discriminazioni con le discriminazioni, fino ad instaurare la cosiddetta «dittatura del relativismo". La psicologia non sembra immune da questo pericolo. Due eminenti psichiatri, Rogers Wright e Nicholas Cummings (quest’ultimo, addirittura, presidente emerito dell’American Psychiatric Association), hanno dedicato a questo tema un approfondito saggio che documenta come, in merito a diversi argomenti, tra i quali l’omosessualità, la psichiatria abbia abbandonato la scienza per l’ideologia politicamente corretta, con l’ovvia conseguente perdita di credibilità.
Speriamo che questo libro aiuti a dissipare i tabù che circondano l’omosessualità e, cosa ben più importante, contribuisca ad alleviare le sofferenze di coloro che provano un’attrazione omosessuale indesiderata.
Innanzitutto, la terapia riparativa non ha nulla di coercitivo. Del resto, qualunque professionista della salute mentale sa che non è possibile alcun trattamento psicologico coatto. Spesso si dimentica che prima di qualsiasi approccio terapeutico c’è una domanda, ossia una richiesta che sorge da un disagio, in definitiva un desiderio soggettivo di miglioramento, di trasformazione o di progettualità.
Il focus del lavoro clinico dell’autore non è puntato sull’attrazione omosessuale, ha come obiettivo primario il miglioramento dell’autostima, della capacità di relazione e dell’identità di genere del paziente attraverso un approfondito lavoro sulle difese, sulle emozioni e sui sentimenti. L’autore non presenta interventi direttivi o suggestivi, e non si troverà traccia nel libro di elementi morali o religiosi. L’atteggiamento del terapeuta è tutt’altro che giudicante e inquisitorio, e viene delineato chiaramente come accettante e attivamente connesso emotivamente con il paziente, in tutta la sua dignità.
Nicolosi da sempre ha onestamente dichiarato che la terapia ripartiva non è indicata per tutte le forme di omosessualità. In sintesi vi sono diverse forme di omosessualità: talune abbondantemente praticate e agite, come si usa dire, altre che hanno un carattere occasionale o sporadico, alcune in cui prevale l’aspetto immaginario e fantasmatico. Infine talune forme di disagio, spesso nei giovani e nei giovanissimi, si riassumono nel timore di "essere omosessuali". Non indifferente, in definitiva, è la valutazione dell’età evolutiva con l’avvicendarsi, per il soggetto, di tappe e identificazioni strutturanti che si consolidano mediante esiti particolari.
Accennare a questa complessità dove è in gioco il singolo individuo ci permette di evidenziare come il livello clinico, spesso complesso e delicato, non corrisponde affatto al piano sociologico dove quasi sempre (grazie all’ideologia gay) si parla di "omosessuali" come una classe coerente e univoca di individui che pratica un particolare orientamento sessuale. E che su questi rivendica diritti e riconoscimenti. Anche il termine onnicomprensivo di omofobia, spesso meccanicamente deterministico, pare essere diventato una sorta di parola magica che vorrebbe spiegare e giustificare l’atteggiamento omosessuale: dagli ambiti pubblici, come quelli sociali, politici e storici, a quelli più privati e intimi che si riferiscono all’ambito familiare, relazionale e intrapsichico.
Qualche parola intorno alla terapia riparativa. "Questo tipo di terapia — affermava Nicolosi in un suo predente lavoro — non si pone l’obiettivo di cancellare tutti gli impulsi omosessuali, bensì di migliorare la capacità di mettersi in relazione con gli altri uomini e di rafforzare il processo di identificazione maschile". Il cosiddetto "approccio riparativo" nella cura dell’omosessualità maschile è basato essenzialmente sulla teoria delle relazioni oggettuali, sull’analisi delle dinamiche e delle strutture familiari, sul recupero della relazione con la figura paterna. In altro suo testo Nicolosi notava che "ogni psicoterapia che tenti di sottoporre a trattamento l’omosessualità rischia di suscitare scetticismo". Tale scetticismo in effetti sembra crescere all’ombra di una confusione terminologica: la cura non coincide con la guarigione, e guarire non significa magicamente o per forza ripristinare l’eterosessualità.
I fondamenti teorici della terapia riparativa di Nicolosi partono dai lavori di Sigmund e Anna Freud, di Melanie Klein, Donald Winnicott, John Bowlby, David H. Malan e molti altri. Importa rilevare che il modello terapeutico cui fa riferimento Nicolosi non è specifico per il trattamento dell’orientamento sessuale egodistonico, ma è conosciuto universalmente come IS-DTP (Intensive Short-Term Dynamic Psychoterapy, terapia intensive dinamica breve), sviluppata negli anni ’60 del secolo scorso dal professore Habib Davanloo e ampliato da Patricia Coughlin Della Selva e Diana Fosha, terapia che tuttora viene insegnata e praticata da psicologi e psicoterapeuti in ogni parte del mondo. Tra l’altro, recentemente, il dottor Nicolosi ha affiancato all’IS-DTP l’uso dell’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) 6 nel trattamento di alcuni nodi traumatici particolari.
Nulla di bizzarro o esoterico, dunque; semplicemente l’applicazione di tecniche affermate e diffuse a pazienti con problemi di autostima causati da una identità di genere problematica o fragile.
Qualche parola sulla scelta di Nicolosi di chiamare "riparativo" il modello terapeutico proposto. C’è infatti chi, nel tentativo di screditare il clinico statunitense, induce a credere che il termine "riparativo" vada riferito all’omosessualità, o addirittura alla persona con tendenze omosessuali.
Eppure né in Nicolosi né in altri autori o scuole che si rifanno alla terapia riparativa troviamo mai la ridicola idea di "riparare gli omosessuali" o di costringerli a "ritornare eterosessuali".
Pur di screditare forse l’unico approccio terapeutico che vuole costituire un’alternativa alla modalità affermativa dell’omosessualità (GAT), si finge di ignorare che il termine "riparativo" è un termine tecnico psicoanalitico che si riferisce alla teoria del meccanismo della riparazione, nozione che appartiene a pieno titolo al lessico e alla letteratura psicanalitica.
Il concetto di riparazione è fondamentale in psicologia clinica, particolarmente nella psicoanalisi: risale infatti a Melanie Klein, pur essendo presente in maniera implicita anche nei lavori di Anna Freud. Il concetto kleiniano di riparazione, che verrà poi ripreso e sviluppato da Donald Winnicott, consiste nella separazione degli "oggetti buoni" da quelli "cattivi" e nello sforzo di recuperare la bontà dei secondi "riparando" ai danni da essi inferti alla strutturazione dell’Io.
Se Nicolosi chiama la terapia da lui proposta "terapia riparativa" è per evidenziare, sulla scorta di Elizabeth Moberly, il significato "riparativo" dell’omosessualità.8 Semplificando, l’omosessualità sarebbe un tentativo, più o meno riuscito, di ristabilire una connessione con il mondo maschile da parte di una persona che se ne sente esclusa. Prima di lui sono parecchi e autorevoli i clinici che hanno accostato i meccanismi riparativi kleiniani all’omosessualità. Sandor Rado teorizza, infatti, un’"omosessualità ripartiva »; Mayerson e Lief parlano esplicitamente di "terapia di riparazione e terapia ricostruttiva (analisi)" riferendosi a pazienti con tendenze omosessuali.
Irving Bieber è ancora più esplicito quando afferma che "l’attrazione dell’omosessuale verso le qualità maschili può rappresentare, almeno in parte, un tentativo riparativo e di auto-protezione teso ad allacciare un rapporto con un maschio forte che sia capace di difenderlo contro il potere della madre — a differenza del padre che non lo faceva".
Non possiamo qui dilungarci oltre sulle basi teoriche e cliniche della terapia riparativa. Ciò che Nicolosi propone consiste, in buona sostanza, nell’ascolto empatico e nell’utilizzo di tecniche diffuse e consolidate con persone che vivono un orientamento sessuale indesiderato.
I suoi detrattori ricorrono spesso a banalizzazioni o evocano luoghi comuni.
Le battute beffarde di coloro che, per partito preso, discreditano la terapia riparativa dicendo che pretende di "riparare" gli omosessuali sono lontani da una dimensione teorica e clinica. Sono critiche che provengono dall’ideologia gay, e in particolare da quell’ideologia di genere che propugna, in nome di un adeguamento al modernismo, l’uguaglianza e quindi l’indifferenziazione tra i sessi, che fa coincidere il sesso con il genere, cancellando quel complesso percorso psichico che struttura le identificazioni e le idealizzazioni attraverso le quali un soggetto assume una propria identità sessuale.
Le implicazioni dell’ideologia di genere sono ampie, coinvolgono aspetti sociali, giuridici, istituzionali, etici, morali. Lo scientismo ha aperto le porte, soprattutto negli Stati Uniti, agli "studi sul genere". Ma pochi si sono accorti di quanto l’ideologia di genere sia un prodotto dello scientismo, risulti funzionale all’uso incondizionato delle biotecnologie, fino a sostenere tacitamente la fantasia onnipotente secondo cui "tutto è possibile".
Il mondo scientifico sembra aver dimenticato il suo compito fondamentale — descrivere la realtà — ed aver assunto un compito prettamente ideologico: piegare la realtà ai propri desideri; tutto ciò che contrasta questi desideri viene censurato, stigmatizzato, vietato. La scienza tollera malamente le imposizioni ideologiche, la censura, i tabù; essa vive e si nutre di continua ricerca, approfondimento; anche — forse soprattutto — quando si tratta di mettere in dubbio assiomi della mentalità dominante.
L’origine di questo contesto poco rassicurante può essere facilmente rintracciata nell’ideologia del "politicamente corretto", definita causticamente da Robert Hughes "La cultura del piagnisteo"; quella cultura, cioè, che riconosce come fondamento del diritto non la realtà, ma il desiderio, e considera una prevaricazione la mancata realizzazione del desiderio.
Quello che tuttavia è caratteristico del "politicamente corretto" è la tendenza a combattere i divieti con i divieti, le persecuzioni con le persecuzioni, le discriminazioni con le discriminazioni, fino ad instaurare la cosiddetta «dittatura del relativismo". La psicologia non sembra immune da questo pericolo. Due eminenti psichiatri, Rogers Wright e Nicholas Cummings (quest’ultimo, addirittura, presidente emerito dell’American Psychiatric Association), hanno dedicato a questo tema un approfondito saggio che documenta come, in merito a diversi argomenti, tra i quali l’omosessualità, la psichiatria abbia abbandonato la scienza per l’ideologia politicamente corretta, con l’ovvia conseguente perdita di credibilità.
Speriamo che questo libro aiuti a dissipare i tabù che circondano l’omosessualità e, cosa ben più importante, contribuisca ad alleviare le sofferenze di coloro che provano un’attrazione omosessuale indesiderata.
Postato il 14 giugno 2010
Nessun commento:
Posta un commento