Recensire la riunione on line di Rep. (con l’aiuto di un libro)
di Stefano Di Michele
Al contrario della “Pupa e il secchione”, lì a Largo Fochetti, a occhio e croce, sembrano tutti secchioni. L’innovativa rubrica “Repubblica domani”, che permette (attraverso Repubblica.it) di farsi un’idea di come Ezio Mauro e i suoi lavorino quotidianamente per la Repubblica cartacea non meno che per la democrazia repubblicana, ha momenti fortemente illuminanti. Un cenacolo, più che una riunione di redazione. Ciò che più impressiona è l’arrivo del direttore stesso. Che tende sempre e soltanto la mano – tale e quale i direttori d’orchestra col primo violino – a un tizio che siede di fronte a lui (da intendersi quale caporedattore centrale o chi ne fa le veci) e manco un mezzo saluto a tutti gli altri: fatti, mica strette di mano, richiede la risaputa sobrietà torinese.
I quali altri, da parte loro, a ben guardare le immagini, stanno tutti allertati e composti. “Politica!”, scandisce Mauro – e il capo della politica parte in quarta. “Esteri!”, intima il direttore – e chi deve dire dice. “Economia!” – neanche bisogna finire di chiedere. “Sport!” – pronto. In una settimana di attenta visione dell’adunata largofochettiana, non un collega un secondo distratto, nemmeno un dito nel naso, neanche una penna caduta sotto il tavolo, una copia del Corriere sbadatamente lasciata in primo piano, raramente si è vista una cravatta deplorevolmente allentata, sempre un opportuno filo di perle s’intravede, c’è il sospetto che addirittura nessuno osi portare il proprio cagnetto o la propria cagnetta alla riunione mattutina. Una meravigliosa macchina redazionale, un perfetto ingranaggio, un meccanismo prodigioso attorno al tavolo lungo e stretto (compreso qualche opportuno benché raro suggerimento del direttore Mauro, “bisogna tenere gli occhi bene aperti, qui”, ci fosse in giro un principio di appisolamento). La domanda del direttore, la risposta del redattore, tutto chiaro e tutto lineare, con stile da architettura umbertina: largo e scorrevole, si potrebbe dire.
Il pregevole servizio fornito quotidianamente da Repubblica.it a questo punto passa alla fase due. E qui, smontato il precedente assembramento, tutto ricade sulle spalle di Gianluca Luzi. Al bravo collega, notista politico di lungo corso, di raro equilibrio e di riconosciuta eleganza, tocca mantenere la scena fino in fondo. In camicia chiara (perfettamente stirata) e con cravatta scura (perfettamente tesa), tanto da configurarsi come e meglio di un Gianni Riotta stanziale tra la Cristoforo Colombo e il lungomare di Ostia, bussa a ogni porta, alza ogni cornetta di telefono, piantona ogni corridoio. Così da dare, ai lettori del giorno dopo, l’esatto evolversi della composizione del mirabile manufatto. A volte, Luzi si trova seduto, faccia a faccia, con qualche redattore che illumina su come sta procedendo una tale faccenda, a volte, confidenzialmente, i due stanno in piedi, e amabilmente di qualche altro fatto discutono e rendono partecipi i prossimi lettori.
Ma spesso – essendo Repubblica vasto giornale e disponendo di molteplici inviati – Luzi si fa sorprendere al telefono, con l’aria appena un po’ più accorata di quando ha l’interlocutore in carne e ossa davanti, e chiede lumi su come vanno le cose in Louisiana o di come buttano i fatti intorno al Partenone. Cronista avvertito, Luzi sa già tutto; inviato avvisato, quello in linea conferma. Per Repubblica si tratta comunque di una coraggiosa iniziativa, giustamente annunciata con una musica che pare, cinematograficamente parlando, l’arrivo dei nostri o la consegna delle tavole sul monte Sinai: suggestiva certo, esagerata forse. Giustificata, a dirla tutta, solo per la prima puntata, quando il breve servizio (sei minuti in tutto, ogni giorno, secondo più secondo meno) si concludeva con il dovuto omaggio – tra la stretta di mano del direttore e la prontezza di riflessi di tutti i suoi redattori – al fondatore: e infatti, ecco apparire Eugenio Scalfari, su essenziale fondo scuro, durante una conferenza. Come sempre, diceva cose opportune e intelligenti, così che la prima pubblica adunata del giornale da lui fondato pareva dalla sua stessa figura sovrastata: ragazzi, in campana che vi tengo d’occhio…
Del resto, da Repubblica c’è sempre da imparare e su Repubblica c’è sempre da sapere. Così, mentre va in scena su Internet va pure in libreria. Maurizio Stefanini – che se Luzi volesse sapere della Louisiana prima della Louisiana stessa potrebbe agevolmente chiamare al telefono – ha scritto un apposito volume, “Il partito ‘Repubblica’” (Boroli Editore), per spiegare come abbia imposto “cervello e ideologia, al nuovo corpo che a mo’ di mostro di Frankenstein nasceva dal progressivo amalgamarsi dei pezzi di partito sopravvissuti alla Prima Repubblica”, fino al “singolare bipolarismo mediatico con qualche asimmetria” con Mediaset. Roba da software e da hardware – pare. Ma nessuno stamattina si faccia beccare da Ezio Mauro con il libro sul tavolo durante la riunione. Primo, potrebbe non avere mai una stretta di mano; secondo, potrebbe dover rispondere a due domande.
I quali altri, da parte loro, a ben guardare le immagini, stanno tutti allertati e composti. “Politica!”, scandisce Mauro – e il capo della politica parte in quarta. “Esteri!”, intima il direttore – e chi deve dire dice. “Economia!” – neanche bisogna finire di chiedere. “Sport!” – pronto. In una settimana di attenta visione dell’adunata largofochettiana, non un collega un secondo distratto, nemmeno un dito nel naso, neanche una penna caduta sotto il tavolo, una copia del Corriere sbadatamente lasciata in primo piano, raramente si è vista una cravatta deplorevolmente allentata, sempre un opportuno filo di perle s’intravede, c’è il sospetto che addirittura nessuno osi portare il proprio cagnetto o la propria cagnetta alla riunione mattutina. Una meravigliosa macchina redazionale, un perfetto ingranaggio, un meccanismo prodigioso attorno al tavolo lungo e stretto (compreso qualche opportuno benché raro suggerimento del direttore Mauro, “bisogna tenere gli occhi bene aperti, qui”, ci fosse in giro un principio di appisolamento). La domanda del direttore, la risposta del redattore, tutto chiaro e tutto lineare, con stile da architettura umbertina: largo e scorrevole, si potrebbe dire.
Il pregevole servizio fornito quotidianamente da Repubblica.it a questo punto passa alla fase due. E qui, smontato il precedente assembramento, tutto ricade sulle spalle di Gianluca Luzi. Al bravo collega, notista politico di lungo corso, di raro equilibrio e di riconosciuta eleganza, tocca mantenere la scena fino in fondo. In camicia chiara (perfettamente stirata) e con cravatta scura (perfettamente tesa), tanto da configurarsi come e meglio di un Gianni Riotta stanziale tra la Cristoforo Colombo e il lungomare di Ostia, bussa a ogni porta, alza ogni cornetta di telefono, piantona ogni corridoio. Così da dare, ai lettori del giorno dopo, l’esatto evolversi della composizione del mirabile manufatto. A volte, Luzi si trova seduto, faccia a faccia, con qualche redattore che illumina su come sta procedendo una tale faccenda, a volte, confidenzialmente, i due stanno in piedi, e amabilmente di qualche altro fatto discutono e rendono partecipi i prossimi lettori.
Ma spesso – essendo Repubblica vasto giornale e disponendo di molteplici inviati – Luzi si fa sorprendere al telefono, con l’aria appena un po’ più accorata di quando ha l’interlocutore in carne e ossa davanti, e chiede lumi su come vanno le cose in Louisiana o di come buttano i fatti intorno al Partenone. Cronista avvertito, Luzi sa già tutto; inviato avvisato, quello in linea conferma. Per Repubblica si tratta comunque di una coraggiosa iniziativa, giustamente annunciata con una musica che pare, cinematograficamente parlando, l’arrivo dei nostri o la consegna delle tavole sul monte Sinai: suggestiva certo, esagerata forse. Giustificata, a dirla tutta, solo per la prima puntata, quando il breve servizio (sei minuti in tutto, ogni giorno, secondo più secondo meno) si concludeva con il dovuto omaggio – tra la stretta di mano del direttore e la prontezza di riflessi di tutti i suoi redattori – al fondatore: e infatti, ecco apparire Eugenio Scalfari, su essenziale fondo scuro, durante una conferenza. Come sempre, diceva cose opportune e intelligenti, così che la prima pubblica adunata del giornale da lui fondato pareva dalla sua stessa figura sovrastata: ragazzi, in campana che vi tengo d’occhio…
Del resto, da Repubblica c’è sempre da imparare e su Repubblica c’è sempre da sapere. Così, mentre va in scena su Internet va pure in libreria. Maurizio Stefanini – che se Luzi volesse sapere della Louisiana prima della Louisiana stessa potrebbe agevolmente chiamare al telefono – ha scritto un apposito volume, “Il partito ‘Repubblica’” (Boroli Editore), per spiegare come abbia imposto “cervello e ideologia, al nuovo corpo che a mo’ di mostro di Frankenstein nasceva dal progressivo amalgamarsi dei pezzi di partito sopravvissuti alla Prima Repubblica”, fino al “singolare bipolarismo mediatico con qualche asimmetria” con Mediaset. Roba da software e da hardware – pare. Ma nessuno stamattina si faccia beccare da Ezio Mauro con il libro sul tavolo durante la riunione. Primo, potrebbe non avere mai una stretta di mano; secondo, potrebbe dover rispondere a due domande.
«Il Foglio» del 4 maggio 2010
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