01 giugno 2010

Processo a Gesù: errore necessario?

Anche gli studiosi ebrei ammettono che la procedura seguita dal Sinedrio non fu corretta; eppure... L’analisi del giurista Weiler
di Joseph H. H. Weiler
«Cristo non fu incolpato di bestemmia: le sue risposte a Caifa infatti non rientrano nella definizione biblica di tale trasgressione» «Di certo il Nazareno è innocente: obbedisce agli ordini di Dio Ma pure il tribunale ebraico sta eseguendo la Legge mosaica...»
Quale problema solleva oggi il processo a Gesù? La redenzione e il motivo della morte di Gesù trova compi­mento solo se l’agnello sacrificale/ pasquale muore senza colpa (blameless), innocente, puro e senza macchia (blemish). Il processo invece non ha semplicemente pro­vocato la morte di Gesù. Il proces­so, nel dichiararlo colpevole, ha minato la sua purezza. È da questo elemento che è scaturita, nei secoli, una sterminata letteratura, volta a sostenere la grossolana ingiustizia del processo. Gran parte di que­sta letteratura si concentra sugli aspetti procedurali del processo più che sull’accusa sostanziale di bla­sfemia, forse perché nel rispondere a Caifa Gesù afferma di essere il fi­glio del Signore, affermazione che, almeno all’orecchio di noi contem­poranei, rende la critica all’accusa molto più complessa. Così la lette­ratura si concentra sulla procedura come elemento cruciale dell’ingiu­stizia perpetrata. È interessante notare come la gran parte delle cri­tiche non discutono l’aver messo sotto processo Gesù, quanto piut­tosto il modo con il quale viene condotto il processo e il suo esito finale. Mettendo insieme le riserve, espresse nei Vangeli, sulla corret­tezza procedurale con le raffinate procedure seguite invece per i pro­cessi penali nel Sanhedrin Tractate della Mishnah, gli studiosi hanno dimostrato – con differenti livelli di indignazione, sdegno e tristezza – gli svariati motivi per i quali il pro­cesso a Gesù abbia violato queste procedure. I tempi, la collocazione, il modo in cui fu condotto l’inter­rogatorio dei testimoni e dello stes­so Gesù, l’unanimità del verdetto – la lista è lunga e la maggior parte delle violazioni sembra molto se­ria. In un linguaggio moderno di­remmo che non fu un errore di po­co conto, ma un colossale diniego di giusto processo. (...) A parte le questioni di procedura, di che cosa è stato incolpato Gesù? E per che cosa è stato condannato? La do­manda che dobbiamo porci è se le pretese di Gesù, pronunciate in ri­sposta a Caifa, che egli era senz’al­tro il Messia, il Figlio dell’Altissimo, destinato a sedere alla destra del Padre, non equivalessero di per se stesse a una bestemmia? Sembre­rebbe di no. Non c’è nessuna cer­tezza sul significato in ebraico della parola greca «bestemmia», e le ri­sposte di Gesù non rientrano né nella definizione biblica di bestem­mia né in quella della Mishna, che potrebbero costituire il termine e­quivalente. Quando il Talmud parla del processo, 400 anni dopo – of­frendo una versione in cui non ci sono i romani e Gesù è condanna­to e messo a morte dalle autorità e­bree – egli non è accusato di be­stemmia ma di provocazione. Naturalmente i saggi del Talmud non sono una fonte storica affidabile, ma essi conoscevano un pochino la legge ebraica, e indicano qualco­sa di diverso dalla classica interpre­tazione della bestemmia biblica e talmudica. Analogamente accade nei Vangeli – dato che nella storia della guarigione del paralitico, in cui Gesù perdona i peccati, egli è considerato dai farisei colpevole di aver bestemmiato, facendo qual­cosa che solo Dio può fare – di nuovo alludendo a qualcosa di di­verso dalle definizioni di «bestem­mia » più specifiche e tecniche. Di tutte le teorie che sono state avan­zate per spiegare l’accusa e la con­danna per bestemmia, trovo che la più plausibile sia quella che consi­dera l’uso della parola bestemmia non come termine tecnico-giuridi­co ma come generica allusione a qualche peccato contro Dio, la cui espressione pratica non è specifi­cata dai narratori non giuristi.
Dunque, quale potrebbe essere stata l’accusa? Qui si insinua una sfida teologica. Da un lato Gesù sembra essere, come richiesto dal punto di vista teologico, innocente e senza peccato, l’Agnello Pasqua­le.
L’intera testimonianza dei Van­geli racconta di Gesù che ama e cerca di seguire quello che egli comprende essere il suo dovere nei confronti di Dio. Non c’è, a prima vista, quella vena di arroganza che notiamo in altri contesti quando si parla di bestemmia nella Bibbia.
Così non solo dal punto di vista procedurale, ma anche da quello sostanziale il processo sembra es­sere stato un caso di errore giudi­ziario. Certamente Gesù avrebbe dovuto essere scagionato. (...) Gesù è completamente innocente e sen­za colpa – sta eseguendo gli ordini di Dio e lo sta facendo oggettiva­mente, come si vede dal fatto che gli permette di fare prodigi e mira­coli a conferma di ciò. Nello stesso tempo, tuttavia, condannandolo il Sinedrio avrebbe eseguito la vo­lontà di Dio, in quanto il Deutero­nomio li aveva avvisati che un messaggero avrebbe interferito con la Legge eterna e che sarebbe dovuto morire, anche se si fosse mostrato facendo prodigi e mira­coli. In altri termini, non è stato messo alla prova – processato – so­lo Gesù, ma anche coloro che lo hanno processato, per verificare la loro lealtà alla parola vivente di Dio come espressa nella Legge mosai­ca. Dal punto di vista cristiano, il Sinedrio adempiva la volontà di Dio attraverso la condanna di Ge­sù, mentre, pur senza saperlo, sta­va adempiendo anche un’altra par­te del piano di Dio ponendo la cro­cifissione come redenzione per tutti gli altri. Non sarebbe possibi­le, allora, secondo questa lettura, che in questo doppio processo­prova – quello di Gesù e quello de­gli ebrei – ognuno dei due stesse seguendo il cammino di Dio?
«Avvenire» del 1 giugno 2010

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