17 giugno 2010

«È la legge naturale il vero fondamento dei diritti universali»

La catechesi di Benedetto XVI dedicata a Tommaso d’Aquino: la dignità umana, valore non negoziabile dalle maggioranze
di Benedetto XVI
Cari fratelli e sorelle, oggi vorrei continuare la presentazione di san Tommaso d’Aquino, un teo­logo di tale valore che lo studio del suo pensiero è stato esplicitamente racco­mandato dal Concilio Vaticano II in due documenti, il decreto Optatam totius, sulla formazione al sacerdozio, e la di­chiarazione Gravissimum educationis, che tratta dell’educazione cristiana. Del resto, già nel 1880 il Papa Leone XIII, suo grande estimatore e promotore di studi tomistici, volle dichiarare san Tommaso patrono delle scuole e delle università cattoliche.
Il motivo principale di questo ap­prezzamento risiede non solo nel contenuto del suo insegnamento, ma anche nel metodo da lui adottato, soprattutto la sua nuova sintesi e di­stinzione tra filosofia e teologia. I Padri della Chiesa si trovavano confrontati con diverse filosofie di tipo platonico, nelle quali si presentava una visione completa del mondo e della vita, in­cludendo la questione di Dio e della re­ligione. Nel confronto con queste filo­sofie, loro stessi avevano elaborato u­na visione completa della realtà, par­tendo dalla fede e usando elementi del platonismo, per rispondere alle que­stioni essenziali degli uomini. Questa visione, basata sulla rivelazione bibli­ca ed elaborata con un platonismo cor­retto alla luce della fede, es­si la chiamavano la «filosofia nostra». La parola «filosofia» non era quindi espressione di un sistema puramente ra­zionale e, come tale, distin­to dalla fede, ma indicava u­na visione complessiva del­la realtà, costruita nella luce della fede, ma fatta propria e pensata dalla ragione; una visione che, certo, andava oltre le ca­pacità proprie della ragione, ma che, come tale, era anche soddisfacente per essa. Per san Tommaso l’incontro con la filosofia pre-cristiana di Aristotele (morto circa nel 322 a.C.) apriva una prospettiva nuova. La filosofia aristo­telica era, ovviamente, una filosofia e­laborata senza conoscenza dell’Antico e del Nuovo Testamento, una spiega­zione del mondo senza rivelazione, per la sola ragione. E questa razionalità conseguente era convincente. Così la vecchia forma della «filosofia nostra» dei Padri non funzionava più. La rela­zione tra filosofia e teologia, tra fede e ragione, era da ripensare. Esisteva una «filosofia» completa e convincente in se stessa, una razionalità precedente la fede, e poi la «teologia», un pensare con la fede e nella fede. La questione pres­sante era questa: il mondo della razio­nalità, la filosofia pensata senza Cristo, e il mondo della fede sono compatibi­li? Oppure si escludono? Non manca­vano elementi che affermavano l’in­compatibilità tra i due mondi, ma san Tommaso era fermamente convinto della loro compatibilità – anzi che la fi­losofia elaborata senza conoscenza di Cristo quasi aspettava la luce di Gesù per essere completa. Questa è stata la grande «sorpresa» di san Tommaso, che ha determinato il suo cammino di pen­satore. Mostrare questa indipendenza di filosofia e teologia e, nello stesso tem­po, la loro reciproca relazionalità è sta­ta la missione storica del grande mae­stro. E così si capisce che, nel XIX secolo, quando si dichiarava fortemente l’in­compatibilità tra ragione moderna e fe­de, Papa Leone XIII indicò san Tom­maso come guida nel dialogo tra l’una e l’altra. Nel suo lavoro teologico, san Tommaso suppone e concretizza que­sta relazionalità. La fede consolida, in­tegra e illumina il patrimonio di verità che la ragione umana acquisisce. La fi­ducia che san Tommaso accorda a que­sti due strumenti della conoscenza – la fede e la ragione – può essere ricon­dotta alla convinzione che entrambe provengono dall’unica sorgente di o­gni verità, il Logos divino, che opera sia nell’ambito della creazione, sia in quel­lo della redenzione.
Insieme con l’accordo tra ragione e fede, si deve riconoscere, d’altra parte, che esse si avvalgono di pro­cedimenti conoscitivi differenti. La ra­gione accoglie una verità in forza del­la sua evidenza intrinseca, mediata o immediata; la fede, invece, accetta u­na verità in base all’autorità della Pa­rola di Dio che si rivela. Scrive san Tommaso al principio della sua Sum­ma Theologiae: «Duplice è l’ordine del­le scienze; alcune procedono da prin­cipi conosciuti mediante il lume na­turale della ragione, come la matema­tica, la geometria e simili; altre proce­dono da principi conosciuti median­te una scienza superiore: come la pro­spettiva procede da principi cono­sciuti mediante la geometria e la mu­sica da principi conosciuti mediante la matematica. E in questo modo la sa­cra dottrina (cioè la teologia) è scien­za perché procede dai principi cono­sciuti attraverso il lume di una scien­za superiore, cioè la scienza di Dio e dei santi» (I, q. 1, a. 2).
Q uesta distinzione assicura l’au­tonomia tanto delle scienze u­mane, quanto delle scienze teo­logiche. Essa però non equiva­le a separazione, ma implica piuttosto una reciproca e vantaggiosa collabora­zione. La fede, infatti, protegge la ra­gione da ogni tentazione di sfiducia nel­le proprie capacità, la stimola ad aprir­si a orizzonti sempre più vasti, tiene vi­va in essa la ricerca dei fondamenti e, quando la ragione stessa si applica al­la sfera soprannaturale del rapporto tra Dio e uomo, arricchisce il suo lavoro. Secondo san Tommaso, per esempio, la ragione umana può senz’altro giun­gere all’affermazione dell’esistenza di un unico Dio, ma solo la fede, che ac­coglie la Rivelazione divina, è in grado di attingere al mistero dell’Amore di Dio Uno e Trino. D’altra parte, non è soltanto la fede che aiuta la ragione. An­che la ragione, con i suoi mezzi, può fare qualcosa di importan­te per la fede, rendendole un triplice servizio che san Tommaso riassume nel proemio del suo commento al De Tri­nitate di Boezio: «Dimostrare i fonda­menti della fede; spiegare mediante si­militudini le verità della fede; respin­gere le obiezioni che si sollevano con­tro la fede» (q. 2, a. 2). Tutta la storia del­la teologia è, in fondo, l’esercizio di que­sto impegno dell’intelligenza, che mo­stra l’intelligibilità della fede, la sua ar­ticolazione e armonia interna, la sua ragionevolezza e la sua capacità di pro­muovere il bene dell’uomo. La corret­tezza dei ragionamenti teologici e il lo­ro reale significato conoscitivo si ba­sano sul valore del linguaggio teologi­co, che è, secondo san Tom­maso, principalmente un lin­guaggio analogico. La distan­za tra Dio, il Creatore, e l’es­sere delle sue creature è infi­nita; la dissimilitudine è sem­pre più grande che la simili­tudine (cfr DS 806). Cionono­stante, in tutta la differenza tra Creatore e creatura, esiste un’analogia tra l’essere crea­to e l’essere del Creatore, che ci per­mette di parlare con parole umane su Dio. S an Tommaso ha fondato la dottri­na dell’analogia, oltre che su argo­mentazioni squisitamente filosofi­che, anche sul fatto che con la Rivela­zione Dio stesso ci ha parlato e ci ha, dunque, autorizzato a parlare di lui. Ri­tengo importante richiamare questa dottrina. Essa, infatti, ci aiuta a supera­re alcune obiezioni dell’ateismo con­temporaneo, il quale nega che il lin­guaggio religioso sia fornito di un signi­ficato oggettivo, e sostiene invece che abbia solo un valore soggettivo o sem­plicemente emotivo. Questa obiezione risulta dal fatto che il pensiero positivi­stico è convinto che l’uomo non cono­sce l’essere, ma solo le funzioni speri­mentabili della realtà. Con san Tomma­so e con la grande tradizione filosofica noi siamo convinti, che, in realtà, l’uo­mo non conosce solo le funzioni, ogget­to delle scienze naturali, ma conosce qualcosa dell’essere stesso – per esem­pio conosce la persona, il Tu dell’altro, e non solo l’aspetto fisico e biologico del suo essere. A lla luce di questo insegnamen­to di san Tommaso, la teologia afferma che, per quanto limi­tato, il linguaggio religioso è dotato di senso – perché tocchiamo l’essere –, come una freccia che si dirige verso la realtà che significa. Questo accordo fondamentale tra ragione umana e fe­de cristiana è ravvisato in un altro prin­cipio basilare del pensiero dell’Aqui­nate: la Grazia divina non annulla, ma suppone e perfeziona la natura uma­na. Quest’ultima, infatti, anche dopo il peccato, non è completamente cor­rotta, ma ferita e indebolita. La Grazia, elargita da Dio e comunica­ta attraverso il Mistero del Verbo incarnato, è un dono assolutamente gratuito con cui la natura viene guarita, potenziata e aiutata a per­seguire il desiderio innato nel cuore di ogni uomo e di ogni donna: la felicità. Tutte le facoltà dell’essere umano vengono purificate, trasfor­mate ed elevate dalla Grazia divina.
Un’importante applicazione di questa relazione tra la natura e la Grazia si ravvisa nella teolo­gia morale di san Tommaso d’Aquino, che risulta di grande attualità. Al cen­tro del suo insegnamento in questo campo, egli pone la legge nuova, che è la legge dello Spirito Santo. Con uno sguardo profondamente evangelico, insiste sul fatto che questa legge è la Grazia dello Spirito Santo data a tutti coloro che credono in Cristo. A tale Grazia si unisce l’insegnamento scrit­to e orale delle verità dottrinali e mo­rali, trasmesso dalla Chiesa. San Tom­maso, sottolineando il ruolo fonda­mentale, nella vita morale, dell’azione dello Spirito Santo, della Grazia, da cui scaturiscono le virtù teologali e mora­li, fa comprendere che ogni cristiano può raggiungere le alte prospettive del «Sermone della montagna» se vive un rapporto autentico di fede in Cristo, se si apre all’azione del suo Santo Spirito. Però – aggiunge l’Aquinate – «anche se la grazia è più efficace della natura, tut­tavia la natura è più essenziale per l’uo­mo » (Summa Theologiae , Ia, q. 29, a. 3), per cui, nella prospettiva morale cri­stiana, c’è un posto per la ragione, la quale è capace di discernere la legge morale naturale. La ragione può rico­noscerla considerando ciò che è bene fare e ciò che è bene evitare per il con­seguimento di quella felicità che sta a cuore a ciascuno, e che impone anche una responsabilità verso gli altri, e, dunque, la ricerca del bene comune. In altre parole, le virtù dell’uomo, teo­logali e morali, sono radicate nella na­tura umana. La Grazia divina accom­pagna, sostiene e spinge l’impegno e­tico ma, di per sé, secondo san Tom­maso, tutti gli uomini, credenti e non credenti, sono chiamati a riconoscere le esigenze della natura umana e­spresse nella legge naturale e ad ispi­rarsi ad essa nella formulazione delle leggi positive, quelle cioè emanate dal­le autorità civili e politiche per regola­re la convivenza umana. Q uando la legge naturale e la re­sponsabilità che essa implica sono negate, si apre drammati­camente la via al relativismo e­tico sul piano individuale e al totalita­rismo dello Stato sul piano politico. La difesa dei diritti universali dell’uomo e l’affermazione del valore assoluto del­la dignità della persona postulano un fondamento. Non è proprio la legge na­turale questo fondamento, con i valori non negoziabili che essa indica? Il ve­nerabile Giovanni Paolo II scriveva nel­la sua enciclica « Evangelium vitae » pa­role che rimangono di grande attualità: «Urge dunque, per l’avvenire della so­cietà e lo sviluppo di una sana demo­crazia, riscoprire l’esistenza di valori u­mani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’es­sere umano, ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertan­to, che nessun individuo, nessuna mag­gioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere» (n. 71). I n conclusione, Tommaso ci propo­ne un concetto della ragione uma­na largo e fiducioso: largo perché non è limitato agli spazi della cosid­detta ragione empirico-scientifica, ma aperto a tutto l’essere e quindi anche al­le questioni fondamentali e irrinun­ciabili del vivere umano; e fiducioso perché la ragione umana, soprattutto se accoglie le ispirazioni della fede cri­stiana, è promotrice di una ci­viltà che riconosce la dignità della persona, l’intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi doveri. Non sorprende che la dottrina circa la dignità della persona, fondamentale per il riconoscimento dell’in­violabilità dei diritti dell’uo­mo, sia maturata in ambienti di pensiero che hanno raccol­to l’eredità di san Tommaso d’Aquino, il quale aveva un concetto altissimo del­la creatura umana. La definì, con il suo linguaggio rigorosamente filosofico, co­me «ciò che di più perfetto si trova in tutta la natura, cioè un soggetto sussi­stente in una natura razionale» (Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 3).
La profondità del pensiero di san Tommaso d’Aquino sgorga – non dimentichiamolo mai – dalla sua fede viva e dalla sua pietà fervorosa, che esprimeva in preghiere ispirate, co­me questa in cui chiede a Dio: «Con­cedimi, ti prego, una volontà che ti cer­chi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti».

«La ragione può riconoscere ciò che è bene fare per il conseguimento di quella felicità che sta a cuore a ciascuno, e che impone anche una responsabilità verso gli altri, e, dunque, la ricerca del bene comune» «Quando la legge naturale e la responsabilità che essa implica sono negate, si apre drammaticamente la via al relativismo etico sul piano individuale e al totalitarismo dello Stato sul piano politico»
«Avvenire» del 16 giugno 2010

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