di Davide Rondoni
C'è un fatto strano, non mi capacito. Davvero. Un fatto che sinceramente mi affligge più che preoccuparmi. Una specie di dolore. Purissimo e perciò forte. Esiste un grande fatto culturale che le migliori firme della cosiddetta cultura di sinistra in Italia non riescono o non vogliono comprendere. Mi riferisco a quanto emerge al Meeting di Rimini, un luogo di dibattito culturale su temi che raccolgono l'interesse di scienziati, studiosi, scrittori, giuristi di varie parti del mondo e di diverso orientamento culturale e politico. Eppure negli articoli ad esso dedicati da persone che stimo per intelligenza e acume (come Gad Lerner e Michele Serra) il tono, lo stile direi l'atteggiamento è di irridente sufficienza. Mentre uomini di prestigio culturale sociale indiscusso - basta scorrere il programma del Meeting - vengono da ogni parte del mondo a confrontarsi con un tema dal taglio esistenziale (quest'anno: il desiderio del cuore di cose grandi) a questi osservatori sembra interessare invece una polemica irridente o una faziosa ricostruzione dell'evento quasi esclusivamente in funzione di una polemica di taglio politico.
Ripeto questo fatto mi colpisce quasi con dolore. Non mi aspetto certo che i Serra e i Lerner condividano le conclusioni di uno Scola o di un Cesana o quel che emerge al Meeting magari nel confronto con intellettuali egiziani, con scienziati come Rizzolatti, con Marchionne o con scrittori americani. Ma il divario di atteggiamento che registro tra questi commenti e quello di tanti uomini di cultura venuti a Rimini (e allo stesso modo distanti dalle posizioni politiche o culturali espresse da noi che il Meeting lo facciamo) mi pare segnali un problema. Per la cultura di sinistra italiana, non per il Meeting. Una specie di disistima preventiva. Di occlusione per motivi politici. Ma come: vedi migliaia di giovani che si trovano a discutere di cosa è il desiderio, di cosa è il cuore e ti sforzi di irridere tutto questo? O di ridurre tutto questo a polemica politica?
Certo nel Meeting c'è pure la politica, perché nella vita - e chi più della cultura di sinistra lo sa - esiste anche la passione e la necessità politica. Ma non è tutto, e se non è sostenuta da una riflessione esistenziale si riduce a robetta. E al Meeting questo va in scena in modo eclatante. Lo capiscono professori ebrei delle migliori università americane, giuristi egiziani, alcuni intellettuali e scrittori italiani e invece alcune delle firme più ascoltate del giornalismo culturale nostrano no? Perché un atteggiamento di irrisione o di superiorità furbastra?
Hanno dedicato al Meeting uno schizzetto di fango o una articolessa un po' malmostosa, non so se per invidia o per risentimento. Ma insisto, mi interesserebbe comprendere perché non prendere di più sul serio un mondo dove soprattutto giovani si interrogano radunandosi a migliaia sul desiderio e su una posizione costruttiva nella vita. Sorprendendo innanzitutto chi li convoca. Ecco, un po' più di capacità di sorpresa forse farebbe bene anche alla cultura di sinistra. Perché senza più sorpresa non c'è più conoscenza.
Ripeto questo fatto mi colpisce quasi con dolore. Non mi aspetto certo che i Serra e i Lerner condividano le conclusioni di uno Scola o di un Cesana o quel che emerge al Meeting magari nel confronto con intellettuali egiziani, con scienziati come Rizzolatti, con Marchionne o con scrittori americani. Ma il divario di atteggiamento che registro tra questi commenti e quello di tanti uomini di cultura venuti a Rimini (e allo stesso modo distanti dalle posizioni politiche o culturali espresse da noi che il Meeting lo facciamo) mi pare segnali un problema. Per la cultura di sinistra italiana, non per il Meeting. Una specie di disistima preventiva. Di occlusione per motivi politici. Ma come: vedi migliaia di giovani che si trovano a discutere di cosa è il desiderio, di cosa è il cuore e ti sforzi di irridere tutto questo? O di ridurre tutto questo a polemica politica?
Certo nel Meeting c'è pure la politica, perché nella vita - e chi più della cultura di sinistra lo sa - esiste anche la passione e la necessità politica. Ma non è tutto, e se non è sostenuta da una riflessione esistenziale si riduce a robetta. E al Meeting questo va in scena in modo eclatante. Lo capiscono professori ebrei delle migliori università americane, giuristi egiziani, alcuni intellettuali e scrittori italiani e invece alcune delle firme più ascoltate del giornalismo culturale nostrano no? Perché un atteggiamento di irrisione o di superiorità furbastra?
Hanno dedicato al Meeting uno schizzetto di fango o una articolessa un po' malmostosa, non so se per invidia o per risentimento. Ma insisto, mi interesserebbe comprendere perché non prendere di più sul serio un mondo dove soprattutto giovani si interrogano radunandosi a migliaia sul desiderio e su una posizione costruttiva nella vita. Sorprendendo innanzitutto chi li convoca. Ecco, un po' più di capacità di sorpresa forse farebbe bene anche alla cultura di sinistra. Perché senza più sorpresa non c'è più conoscenza.
«Il Sole 24 Ore» del 29 agosto 2010
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