di Tony Damascelli
C’è una piattaforma che non esplode mai. Non ho paura soltanto dell’onda nera, di petrolio e affini. Quella inquina, è manifesta, si rende visibile, uccide anche, lentamente ma non è un inganno, è vera, purtroppo, reale ma, infine, può essere ridotta, arginata. Ho paura di Facebook, la piattaforma sociale che non ha confine, è l’isola di un finto tesoro, la cuccia (...)
(...) velenosa, mortale, ha sostituito la caramella dei maniaci, sorride ma può essere un ghigno. Facebook è la trappola romantica che attira, coinvolge, ipnotizza. Offre amicizia, presenta visi sconosciuti, illustra figure sfocate e primi piani impersonali, corredati da particolari intimi e ambigui, gli hobbies, la squadra per la quale fa il tifo, la band musicale preferita.
Sara Scazzi ha quindici anni, per lei uso il tempo presente. È scomparsa di colpo, nel nulla, dal ventisei di agosto. Alla ragazza di Avetrana, terra di sole, di mare e di vento, non bastava il suo magico Salento, aveva voglia di altro, di conoscere il mistero. Il computer è la scatola magica, questo garantisce, basta accenderlo e insieme con la musica, uguale, dovunque, incomincia il viaggio, il sogno. Facebook è l’approdo per chi si sente solo, pensa di esserlo. Facebook è l’autobus a bordo del quale si può andare lontano, conoscere il mondo, i suoi abitanti. Basta scrivere qualche riga, basta aggiungere una fotografia, quell’immagine non può essere cancellata, da nessuno, esce dal tuo portatile, vola altrove, non si sa dove, arriva lontanissima, il sorriso diventa un’arma a doppio taglio. L’esistenza virtuale ha preso il sopravvento sulla vita reale, l’amore non nasce più soltanto da uno sguardo di occhi lucidi e romantici, da un sussurro, la web cam è più veloce e comoda, rende tutti uguali, vicini e contenti, internet è un treno con fermate facoltative. Sara aveva il suo profilo nascosto su Facebook, aveva scelto il nome di un ammazzavampiri “Buffy”, Sara cercava amicizie, dialogava con sconosciuti improvvisamente fedeli, sodali, complici, chissà da quale terra, da quale casa, da quale buio. Di colpo Sara non c’è più, il computer si è spento, lo schermo è buio, nessuna voce, soltanto l’angoscia del silenzio e, insieme, di mille voci che si rincorrono.
C’è un’altra storia di una ragazza precipitata nella realtà criminale, stavolta del nord, a Varedo, una fetta di Lombardia tra Monza e Seveso. Lei aveva trovato un amico, sembrava l’inizio di un amore, forse quello vero, quello giusto, a ventuno anni non c’è il tempo di pensare al dopo, nemmeno al passato, life is now dice la pubblicità spicciola. La fotografia in rete, un numero di telefono, l’indirizzo, l’appuntamento. L’infame, definito «amico» dal linguaggio povero di sentimenti, è stato conosciuto in rete; finito il corteggiamento virtuale, si è presentato, senza un mazzo di fiori ma in compagnia dei complici, il vigliacco ha bisogno di una copertura, il delinquente vive nel branco, se violenta vuole ghignare con i suoi complici. Dunque lo stupro, la fuga, la fine del sogno, l’inizio dell’incubo.
Facebook non è una piattaforma sociale, è la piatta forma della nostra società, è uno strumento utile se viene usato con intelligenza, responsabilità, discrezione ma è, al tempo stesso, una strada pericolosa, accessibile a chiunque, con una popolazione enorme di viaggiatori, di frequentatori che hanno a disposizione informazioni private, intime anche, video, fotografie, su queste costruiscono il loro progetto, il loro crimine.
Che vita è quella che nasce e si alimenta su un computer? Che amore può essere quello che si muove al buio, che non sente un respiro, il pulsare del cuore, una gota avvampata di emozione ma soltanto il battito secco della tastiera, la luce fredda dello schermo? Perché cercare un’amicizia navigando nella rete velenosa invece di dialogare con chi ci sta veramente vicino e possiamo vedere, toccare, sentire? Ci sono persone che contano ottocento amici ma non conoscono bene i propri fratelli, nulla sanno dei cugini, ignorano di avere degli zii ma sono fieri di essere parenti della rete.
La rete che ti avvolge, ti rapisce, ti stupra.
Facebook è il libro delle facce. Di alcune dobbiamo avere paura.
(...) velenosa, mortale, ha sostituito la caramella dei maniaci, sorride ma può essere un ghigno. Facebook è la trappola romantica che attira, coinvolge, ipnotizza. Offre amicizia, presenta visi sconosciuti, illustra figure sfocate e primi piani impersonali, corredati da particolari intimi e ambigui, gli hobbies, la squadra per la quale fa il tifo, la band musicale preferita.
Sara Scazzi ha quindici anni, per lei uso il tempo presente. È scomparsa di colpo, nel nulla, dal ventisei di agosto. Alla ragazza di Avetrana, terra di sole, di mare e di vento, non bastava il suo magico Salento, aveva voglia di altro, di conoscere il mistero. Il computer è la scatola magica, questo garantisce, basta accenderlo e insieme con la musica, uguale, dovunque, incomincia il viaggio, il sogno. Facebook è l’approdo per chi si sente solo, pensa di esserlo. Facebook è l’autobus a bordo del quale si può andare lontano, conoscere il mondo, i suoi abitanti. Basta scrivere qualche riga, basta aggiungere una fotografia, quell’immagine non può essere cancellata, da nessuno, esce dal tuo portatile, vola altrove, non si sa dove, arriva lontanissima, il sorriso diventa un’arma a doppio taglio. L’esistenza virtuale ha preso il sopravvento sulla vita reale, l’amore non nasce più soltanto da uno sguardo di occhi lucidi e romantici, da un sussurro, la web cam è più veloce e comoda, rende tutti uguali, vicini e contenti, internet è un treno con fermate facoltative. Sara aveva il suo profilo nascosto su Facebook, aveva scelto il nome di un ammazzavampiri “Buffy”, Sara cercava amicizie, dialogava con sconosciuti improvvisamente fedeli, sodali, complici, chissà da quale terra, da quale casa, da quale buio. Di colpo Sara non c’è più, il computer si è spento, lo schermo è buio, nessuna voce, soltanto l’angoscia del silenzio e, insieme, di mille voci che si rincorrono.
C’è un’altra storia di una ragazza precipitata nella realtà criminale, stavolta del nord, a Varedo, una fetta di Lombardia tra Monza e Seveso. Lei aveva trovato un amico, sembrava l’inizio di un amore, forse quello vero, quello giusto, a ventuno anni non c’è il tempo di pensare al dopo, nemmeno al passato, life is now dice la pubblicità spicciola. La fotografia in rete, un numero di telefono, l’indirizzo, l’appuntamento. L’infame, definito «amico» dal linguaggio povero di sentimenti, è stato conosciuto in rete; finito il corteggiamento virtuale, si è presentato, senza un mazzo di fiori ma in compagnia dei complici, il vigliacco ha bisogno di una copertura, il delinquente vive nel branco, se violenta vuole ghignare con i suoi complici. Dunque lo stupro, la fuga, la fine del sogno, l’inizio dell’incubo.
Facebook non è una piattaforma sociale, è la piatta forma della nostra società, è uno strumento utile se viene usato con intelligenza, responsabilità, discrezione ma è, al tempo stesso, una strada pericolosa, accessibile a chiunque, con una popolazione enorme di viaggiatori, di frequentatori che hanno a disposizione informazioni private, intime anche, video, fotografie, su queste costruiscono il loro progetto, il loro crimine.
Che vita è quella che nasce e si alimenta su un computer? Che amore può essere quello che si muove al buio, che non sente un respiro, il pulsare del cuore, una gota avvampata di emozione ma soltanto il battito secco della tastiera, la luce fredda dello schermo? Perché cercare un’amicizia navigando nella rete velenosa invece di dialogare con chi ci sta veramente vicino e possiamo vedere, toccare, sentire? Ci sono persone che contano ottocento amici ma non conoscono bene i propri fratelli, nulla sanno dei cugini, ignorano di avere degli zii ma sono fieri di essere parenti della rete.
La rete che ti avvolge, ti rapisce, ti stupra.
Facebook è il libro delle facce. Di alcune dobbiamo avere paura.
«Il Giornale» del 3 settembre 2010
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