Studio Usa sugli internet-dipendenti
di Simona Marchetti
E, soprattutto, la ricerca dimostra che il cervello dei giovani non è capace di fare più cose allo stesso tempo
Tenere aperto Facebook mentre si studia e buttargli un occhio anche solo saltuariamente avrebbe una pessima influenza sulle performance scolastiche, con punteggi significativamente più bassi del 20% rispetto a quelli raggiunti dagli studenti-modello che evitano distrazioni di ogni sorta. A dirlo, uno studio su 219 studenti americani condotto da un team di psicologi dell’olandese Open University e pubblicato sulla rivista Computers in Human Behaviour che pare scardinare la teoria secondo la quale il cervello dei giovani sia più abile nel multitasking (ovvero, fare più cose contemporaneamente) evidenziando, in realtà, che coloro che sono soliti usare i social network mentre sono impegnati sui libri ottengono un punteggio medio (calcolato da 0 a 4) di molto inferiore a quello di chi studia e basta: siamo, infatti, nell’ordine del 3.06 contro il 3.82. Ma se tre quarti dei Facebook-dipendenti dice di non credere affatto che passare del tempo sui social network pregiudichi i loro voti scolastici (anche se il restante quarto ammette l’effetto negativo di tale comportamento), quelli che preferiscono anteporre lo studio alle chat online assicurano che la mancanza di distrazioni si traduce in un +88% di tempo medio passato sui libri.
«Il problema – ha spiegato il professor Paul Kirschner, autore dello studio, al londinese Daily Mail - è che molti tengono costantemente aperti Facebook o altri social network, ma anche i programmi di posta e le chat, mentre sono impegnati a fare altro, convinti così di riuscire a fare più cose in meno tempo. In realtà, la nostra indagine, come pure ricerche precedenti, ha dimostrato che, al contrario, agendo in questo modo si allunga il tempo necessario a portare a termine il nostro compito e aumentano anche gli errori. E ci aspettiamo di vedere risultati simili anche in studenti più giovani del campione testato, a conferma che l’idea che i ragazzi possano fare più cose contemporaneamente e che si debbano adeguare i nostri sistemi educativi per stare al passo coi tempi sia solo una convinzione oggi di moda». Nel maggio scorso un sondaggio online della rivista dell’Università di Cambridge, The Tab, aveva evidenziato come il 56,5% degli studenti passasse più tempo sul web che sui libri, con addirittura il 63,9% dedito a Facebook e simili. E se il 57,4% si era detto convinto che tale pratica alla lunga pregiudicasse i voti finali e l’80,56 aveva pure ammesso la possibile esistenza di una «dipendenza da internet», per il 53,7% degli intervistati tale comportamento non poteva essere considerato patologico bensì figlio dei tempi.
«Il problema – ha spiegato il professor Paul Kirschner, autore dello studio, al londinese Daily Mail - è che molti tengono costantemente aperti Facebook o altri social network, ma anche i programmi di posta e le chat, mentre sono impegnati a fare altro, convinti così di riuscire a fare più cose in meno tempo. In realtà, la nostra indagine, come pure ricerche precedenti, ha dimostrato che, al contrario, agendo in questo modo si allunga il tempo necessario a portare a termine il nostro compito e aumentano anche gli errori. E ci aspettiamo di vedere risultati simili anche in studenti più giovani del campione testato, a conferma che l’idea che i ragazzi possano fare più cose contemporaneamente e che si debbano adeguare i nostri sistemi educativi per stare al passo coi tempi sia solo una convinzione oggi di moda». Nel maggio scorso un sondaggio online della rivista dell’Università di Cambridge, The Tab, aveva evidenziato come il 56,5% degli studenti passasse più tempo sul web che sui libri, con addirittura il 63,9% dedito a Facebook e simili. E se il 57,4% si era detto convinto che tale pratica alla lunga pregiudicasse i voti finali e l’80,56 aveva pure ammesso la possibile esistenza di una «dipendenza da internet», per il 53,7% degli intervistati tale comportamento non poteva essere considerato patologico bensì figlio dei tempi.
«Corriere della Sera» del agosto 2010
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