di Franco Cardini
Cominciamo con il sottolineare che quest’articolo non ha nulla di polemico: non, quanto meno, nei confronti di colui che ne è il protagonista. Parlo di un grande storico, Jacques Le Goff, e della sua intervista raccolta da Nuccio Ordine e pubblicata sul «Corriere della Sera» del 29 maggio scorso. Sono ormai passati alcuni giorni: perché tornarci sopra?
Per due ragioni: anzitutto perché si tratta di un’intervista importante, e non solo perché è importante lo studioso che l’ha rilasciata; e poi perché il modo equivoco scelto per presentarla ha provocato, nel mondo degli studiosi cattolici – ce ne sono, sapete… – una ridda di malumori, di recriminazioni, forse anche di malintesi che tuttavia non hanno trovato espressione pubblica, mentre meritano al contrario di essere espressi.
Jacques le Goff, nato a Tolone nel 1924, esponente di punta fin dagli Anni Sessanta della «Scuola delle Annales», è anzitutto il grande medievista che ci ha insegnato a guardare a un "lungo medioevo", e un "medioevo profondo" dei sentimenti e degli atteggiamenti mentali, costantemente riletto alla luce del rapporto fra storia e scienze umane: non a caso ha lavorato fianco a fianco con Fernand Braudel e con Claude Lévi-Strauss. Chi ha letto la sua biografia di san Luigi non dimenticherà mai che cosa la Francia cristiana abbia significato per l’Europa e per la stessa chiesa cattolica. Dal canto mio, poi, io debbo personalmente a lui in gran parte se ho potuto percorrere una decente carriera accademica.
Quando verso la fine degli Anni Settanta il mio caro vecchio Maestro Ernesto Sestan si tirò da parte per raggiunti limiti d’età, come medievalista, mi trovai praticamente «fuori dal giro». Debbo a Jacques Le Goff, ad Alberto Tenenti e a Jean-Claude Schmitt, che allora e più tardi, nei primi Anni Novanta, mi accolsero nell’Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales, se riuscii ad attirare l’attenzione dei miei colleghi e se alcuni miei libri furono tradotti in francese. Con Le Goff, laico e socialista, io cattolico e "reazionario" mi sono sempre potuto esprimere con la massima libertà e mi sono sempre trovato a mio agio. Ho ritrovato quindi con piacere e con commozione, pur non condividendola del tutto, questa sua passione laica nell’intervista del «Corriere»: sono perfettamente d’accordo anche con molte sue riserve sulla storia della Chiesa e dei suoi errori. Il mistero divino della sua elezione, per me credente, permane: ma non può cancellare le responsabilità, gli errori e nemmeno i delitti. Che i cattolici debbono imparare ad affrontare e a discutere, non lasciarsi tentare a nascondere.
Tuttavia, mi ha lasciato un po’ perplesso il titolo dell’intervista, Le Goff: questa mia Europa laica (so che per lui essa è molto di più), e mi ha fatto sobbalzare il sottotitolo, L’amo profondamente ma nego che le sue radici siano cristiane. Qui, nella legnosa durezza di quest’affermazione, stento a riconoscere il "mio" Le Goff, sempre così attento alle articolazioni e alle sfumature, all’et-et contrapposto all’<+corsivo>aut-aut<+tondo>. Ma ho pluridecennale esperienza di giornali quotidiani, e so che i titoli degli articoli non li sceglie l’autore: li fa la redazione, non sempre in perfetta buonafede.
Ho quindi cercato, nell’intervista, qualche riga che sia pur alla lontana potesse giustificare il titolo. Ed ecco: «Il cristianesimo – osserva con voce animata – ha avuto una grande importanza nella formazione dell’Europa. Ma l’Europa, non bisogna dimenticarlo, è anteriore al cristianesimo: per questo è necessario negare nettamente che le radici dell’Europa siano cristiane. L’Europa attuale non può non essere un’Europa laica».
La chiave di questa frase – se è stata correttamente registrata e tradotta – sta nella "voce appassionata". Jacques Le Goff, in marcia verso i novant’anni, non ha ancora perduto la capacità di commuoversi, di entusiasmarsi, d’indignarsi. Dio lo benedica per questo. Ma quando si parla correntemente – egli è Maestro anche in ciò – non sempre si riesce a pesare i termini come quando si scrive. Per questo, in quella frase compendiosa e stringata, non ho ritrovato in tutto il Le Goff dei suoi grandi libri e nemmeno della sua ultima sintesi, Il medioevo europeo.
È stato proprio Le Goff a dimostrare come l’Europa premedievale – e precristiana – fosse soltanto un’espressione geografica indicante una delle tre parti nelle quali già il mondo greco aveva distinto l’ecumène. L’impero romano era circummediterraneo, non europeo. L’Europa come realtà unitaria – il Le Goff studioso del pellegrinaggio di Santiago e della fioritura delle cattedrali e delle università tra XI e XIV secolo – è nata dall’affermazione, dall’espansione e dalla conquista cristiana (spesso cruenta: non dimentichiamolo).
L’idea di Europa si è progressivamente affermata nella storia concreta della Cristianità latina, di fronte a Bisanzio, all’islam e all’ebraismo ai quali pur tanto deve: le istituzioni cristiano-latine e la lingua comune latina ne sono state il lievito. Mi sembra pertanto che nella frase-chiave dell’intervista il mio caro, grande Maestro abbia soltanto dimenticato un avverbio. Mi permetterei di correggerla semplicemente così: «È necessario negare nettamente che le radici dell’Europa siano soltanto cristiane». Se l’Albero Europeo ha fronde, fiori e frutti "laici" (e nessuno si sogna di negare l’eredità storica della Riforma protestante e della stessa Rivoluzione francese), le sue radici sono greche, romane, ebraiche, anche barbariche e musulmane: ma soprattutto cristiane, eredi della possente sintesi di cui il cristianesimo ha saputo informare il mondo medievale. A questa realtà, diciamo pure a questo primato, i cristiani non possono e non debbono rinunciare.
Per due ragioni: anzitutto perché si tratta di un’intervista importante, e non solo perché è importante lo studioso che l’ha rilasciata; e poi perché il modo equivoco scelto per presentarla ha provocato, nel mondo degli studiosi cattolici – ce ne sono, sapete… – una ridda di malumori, di recriminazioni, forse anche di malintesi che tuttavia non hanno trovato espressione pubblica, mentre meritano al contrario di essere espressi.
Jacques le Goff, nato a Tolone nel 1924, esponente di punta fin dagli Anni Sessanta della «Scuola delle Annales», è anzitutto il grande medievista che ci ha insegnato a guardare a un "lungo medioevo", e un "medioevo profondo" dei sentimenti e degli atteggiamenti mentali, costantemente riletto alla luce del rapporto fra storia e scienze umane: non a caso ha lavorato fianco a fianco con Fernand Braudel e con Claude Lévi-Strauss. Chi ha letto la sua biografia di san Luigi non dimenticherà mai che cosa la Francia cristiana abbia significato per l’Europa e per la stessa chiesa cattolica. Dal canto mio, poi, io debbo personalmente a lui in gran parte se ho potuto percorrere una decente carriera accademica.
Quando verso la fine degli Anni Settanta il mio caro vecchio Maestro Ernesto Sestan si tirò da parte per raggiunti limiti d’età, come medievalista, mi trovai praticamente «fuori dal giro». Debbo a Jacques Le Goff, ad Alberto Tenenti e a Jean-Claude Schmitt, che allora e più tardi, nei primi Anni Novanta, mi accolsero nell’Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales, se riuscii ad attirare l’attenzione dei miei colleghi e se alcuni miei libri furono tradotti in francese. Con Le Goff, laico e socialista, io cattolico e "reazionario" mi sono sempre potuto esprimere con la massima libertà e mi sono sempre trovato a mio agio. Ho ritrovato quindi con piacere e con commozione, pur non condividendola del tutto, questa sua passione laica nell’intervista del «Corriere»: sono perfettamente d’accordo anche con molte sue riserve sulla storia della Chiesa e dei suoi errori. Il mistero divino della sua elezione, per me credente, permane: ma non può cancellare le responsabilità, gli errori e nemmeno i delitti. Che i cattolici debbono imparare ad affrontare e a discutere, non lasciarsi tentare a nascondere.
Tuttavia, mi ha lasciato un po’ perplesso il titolo dell’intervista, Le Goff: questa mia Europa laica (so che per lui essa è molto di più), e mi ha fatto sobbalzare il sottotitolo, L’amo profondamente ma nego che le sue radici siano cristiane. Qui, nella legnosa durezza di quest’affermazione, stento a riconoscere il "mio" Le Goff, sempre così attento alle articolazioni e alle sfumature, all’et-et contrapposto all’<+corsivo>aut-aut<+tondo>. Ma ho pluridecennale esperienza di giornali quotidiani, e so che i titoli degli articoli non li sceglie l’autore: li fa la redazione, non sempre in perfetta buonafede.
Ho quindi cercato, nell’intervista, qualche riga che sia pur alla lontana potesse giustificare il titolo. Ed ecco: «Il cristianesimo – osserva con voce animata – ha avuto una grande importanza nella formazione dell’Europa. Ma l’Europa, non bisogna dimenticarlo, è anteriore al cristianesimo: per questo è necessario negare nettamente che le radici dell’Europa siano cristiane. L’Europa attuale non può non essere un’Europa laica».
La chiave di questa frase – se è stata correttamente registrata e tradotta – sta nella "voce appassionata". Jacques Le Goff, in marcia verso i novant’anni, non ha ancora perduto la capacità di commuoversi, di entusiasmarsi, d’indignarsi. Dio lo benedica per questo. Ma quando si parla correntemente – egli è Maestro anche in ciò – non sempre si riesce a pesare i termini come quando si scrive. Per questo, in quella frase compendiosa e stringata, non ho ritrovato in tutto il Le Goff dei suoi grandi libri e nemmeno della sua ultima sintesi, Il medioevo europeo.
È stato proprio Le Goff a dimostrare come l’Europa premedievale – e precristiana – fosse soltanto un’espressione geografica indicante una delle tre parti nelle quali già il mondo greco aveva distinto l’ecumène. L’impero romano era circummediterraneo, non europeo. L’Europa come realtà unitaria – il Le Goff studioso del pellegrinaggio di Santiago e della fioritura delle cattedrali e delle università tra XI e XIV secolo – è nata dall’affermazione, dall’espansione e dalla conquista cristiana (spesso cruenta: non dimentichiamolo).
L’idea di Europa si è progressivamente affermata nella storia concreta della Cristianità latina, di fronte a Bisanzio, all’islam e all’ebraismo ai quali pur tanto deve: le istituzioni cristiano-latine e la lingua comune latina ne sono state il lievito. Mi sembra pertanto che nella frase-chiave dell’intervista il mio caro, grande Maestro abbia soltanto dimenticato un avverbio. Mi permetterei di correggerla semplicemente così: «È necessario negare nettamente che le radici dell’Europa siano soltanto cristiane». Se l’Albero Europeo ha fronde, fiori e frutti "laici" (e nessuno si sogna di negare l’eredità storica della Riforma protestante e della stessa Rivoluzione francese), le sue radici sono greche, romane, ebraiche, anche barbariche e musulmane: ma soprattutto cristiane, eredi della possente sintesi di cui il cristianesimo ha saputo informare il mondo medievale. A questa realtà, diciamo pure a questo primato, i cristiani non possono e non debbono rinunciare.
«Avvenire» del 5 giugno 2010
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Il celebre storico del Medioevo parla della sua formazione. E del rapporto con i valori di oggi
Le Goff: questa mia Europa laica
di Nuccio Ordine
«L'amo profondamente ma nego che le sue radici siano cristiane»
di Nuccio Ordine
«L'amo profondamente ma nego che le sue radici siano cristiane»
«Ho iniziato ad amare il Medioevo a dodici anni grazie alla lettura di un romanzo affascinante: Ivanhoe di Walter Scott. Poi l'incontro con il mio professore di liceo, Henri Michel, è stato decisivo. Ascoltando le sue splendide lezioni ho capito che lo studio della storia avrebbe segnato la mia vita»: Jacques Le Goff, nonostante i suoi 86 anni e una malattia che gli impedisce di camminare bene, ci accoglie con affabilità ed entusiasmo nel luminoso appartamento di rue de Thionville, a Parigi, XIX arrondissement. Storico di fama internazionale, successore di Fernand Braudel a l'«École des Hautes Etudes en Sciences Sociales», colonna della scuola delle Annales, membro di diverse accademie e istituti di ricerca, onorato con premi e lauree honoris causa, Le Goff ha conquistato un posto di grande prestigio nell' ambito degli studi medievali. Sulla sua scrivania campeggiano le prime copie del nuovo libro uscito dall'editore Perrin (Il Medioevo e i soldi) e la traduzione italiana di Con Hanka, appena pubblicato da Laterza in cui lo storico ripercorre oltre quarant'anni di matrimonio tracciando una tenera biografia della moglie, improvvisamente scomparsa nel 2004. «La perdita di Hanka - dice con voce sommessa - ha radicalmente cambiato la mia esistenza. La nostra storia d'amore è stata per me vitale. Ma noi eravamo una coppia molto particolare: abbiamo conciliato un'intensa fusione con un profondo rispetto dell'altro. La discrezione ci ha spinti a non farci mai confidenze, eppure abbiamo avuto sempre coscienza della nostra profonda intimità, del nostro essere uno». Le Goff si commuove e il suo silenzio spinge a cambiare argomento. Lentamente la conversazione ritorna agli anni della formazione. «Ho vissuto in una famiglia di insegnanti - aggiunge - e questo ha certamente influito sulle mie scelte. Mio padre era professore di inglese in un liceo e mia madre maestra di piano. Ma dopo le entusiasmanti lezioni di storia medievale di Henri Michel, l'impatto con i professori della Sorbona fu deludente. E la mia vocazione di storico, minacciata in maniera preoccupante, fu rianimata più tardi dall' incontro con Maurice Lombard, che all' epoca preparava gli studenti al concorso di agrégation». Furono anni decisivi per Le Goff, soprattutto per l'acquisizione di un metodo. «Lombard - continua sul filo del ricordo - era uno specialista dell'Islam. E nonostante io mi occupassi del Medioevo europeo e della cristianità, per me fu un maestro incomparabile. Mi fece capire che la storia non può essere disgiunta dalla geografia, perché gli avvenimenti sono sempre legati a luoghi. Le distanze, gli ambienti, il tempo, la natura di ciò che sta intorno, la società svolgono un ruolo importantissimo nella ricostruzione della storia». Per Le Goff, insomma, un libro di storia non può ignorare la geografia. «Se ricevo un saggio di storia - sottolinea sorridendo - la prima cosa che guardo sono le carte. Un libro di storia senza carte non può essere un buon libro. E lo stesso vale per le immagini. Le immagini non hanno una funzione illustrativa, decorativa. L'immagine è in se stessa un oggetto, una creazione, una testimonianza. Uno dei miei allievi, Jean-Claude Schmitt, si è consacrato allo studio delle immagini. E in Italia ha scritto libri importanti Chiara Frugoni, di cui ho ricevuto La voce delle immagini, appena uscito da Einaudi». Lo storico francese ci tiene a sottolineare che nella sua carriera scientifica hanno svolto un ruolo importante tre diverse nazioni: l'Inghilterra, la Cecoslovacchia e l'Italia. «Mi recai a Oxford con una borsa del governo francese. Devo ammettere che non ho mai potuto sopportare il modo di vivere britannico, soprattutto quello oxoniense. Però ebbi la fortuna di frequentare la Bodleian Library, biblioteca ricca di manoscritti straordinari. Poi andai, sempre da borsista, a Praga. Qui studiavo la storia delle università, una delle più grandi creazioni medievali. Nel circuito europeo dei primi atenei (Bologna, Parigi, Oxford, Salamanca) è possibile ritrovare già una configurazione dell'Europa...». E così Le Goff diventa testimone del «colpo di Praga» nel 1948. «Ricordo come fosse oggi - continua lo storico - l'annuncio che la Cecoslovacchia sarebbe diventata un satellite dell'Urss. Quell'esperienza non riuscì a scalfire le mie convinzioni di sinistra. Ma capii immediatamente che il comunismo dell'Est era una dittatura spaventosa, che in nessun modo poteva essere considerata di sinistra. Fui criticato per le mie posizioni da qualche compagno dell'École Normale Supérieure: alcuni di loro, però, mi diedero ragione all'indomani dei fatti d'Ungheria del 1956». Dopo Oxford e Praga arrivano i soggiorni in Italia. «Ho avuto - sottolinea compiaciuto Le Goff - tre patrie: la Francia, la Polonia (dove ho conosciuto mia moglie) e l'Italia, che ha occupato sempre un posto particolare nel mio cuore. Approdai a Roma, meraviglia delle meraviglie. In quanto membro dell'École française ho abitato prima a Palazzo Farnese e dopo a piazza Navona: come essere in Paradiso. Successivamente ho avuto modo di conoscere Napoli, dove ho tenuto lezioni nell'Istituto italiano per gli studi filosofici, del cui comitato scientifico faccio parte. Un mare e un cielo sempre splendidi e soprattutto un fascino culturale: qui ho respirato lo spirito dei Lumi che avevano reso celebre questa città in Europa». Il ruolo della cristianità nella cultura europea è stato uno dei nuclei centrali della riflessione di Le Goff. «Il Cristianesimo - osserva con voce animata - ha avuto una grande importanza nella formazione dell'Europa. Ma l'Europa, non bisogna dimenticarlo, è anteriore al Cristianesimo: per questo è necessario negare nettamente che le radici dell'Europa siano cristiane. L' Europa attuale non può non essere un'Europa laica». Le autorità ecclesiastiche, per lo storico francese, non possono imporre il loro punto di vista. «Personalmente, rifiuto l'insegnamento della Chiesa in molti ambiti. Credo che i Papi - siano reazionari (come Benedetto XVI) o un po' più aperti (come Giovanni Paolo II) - debbano soprattutto occuparsi della Chiesa e hanno già tanto da fare con i problemi interni in Irlanda e altrove. Il Cristianesimo autentico ha sempre riconosciuto l' indipendenza dei laici e l'autonomia di Cesare». Anche la cultura islamica ha dato il suo notevole contributo alla costruzione di un sapere europeo. Negare questo apporto - come ha recentemente fatto Sylvain Gouguenheim in Aristotele contro Averroè (Rizzoli) - significa ignorare la storia. «Credo che Gouguenheim - sottolinea Le Goff - abbia scritto buoni saggi e non condivido i toni esagerati con cui talvolta è stato attaccato. Ma devo riconoscere che quest' opera tanto discussa è veramente un cattivo libro. Da una parte non dimostra sufficientemente l'esistenza della scuola che Giacomo da Venezia avrebbe creato a Mont Saint-Michel, e dall'altra, nel quinto capitolo, avanza tesi sulla Francia islamica che non sono per niente sostenibili». Le accuse di islamofobia, lanciate da alcuni storici francesi nei confronti di Gouguenheim, fanno scivolare il discorso verso la realtà italiana. Le Goff segue con attenzione gli avvenimenti politici che si svolgono al di là delle Alpi. E non molto tempo fa ha firmato - con Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky e tanti altri intellettuali - un appello per la libertà di stampa in Italia. «Devo confessare però - osserva preoccupato prima dei saluti - che c' è un fenomeno italiano che mi allarma. Ho paura della Lega e delle sue perniciose forme di razzismo e di localismo che potrebbero infiammare anche altri Paesi europei. L'Italia e gli italiani, che io amo profondamente, non dovrebbero sottovalutare questo pericolo...».
Jacques Le Goff è nato a Tolone, in Francia, nel 1924. Dopo aver insegnato a Lilla e a Parigi, in quest' ultima città ha diretto dal 1962 l' «École pratique des hautes études». Fra le sue opere più famose: «La nascita del Purgatorio» (1982); «Il Medioevo, alle origini dell' identità europea» (1996); «La borsa e la vita: dall' usuraio al banchiere» (2003).
Jacques Le Goff è nato a Tolone, in Francia, nel 1924. Dopo aver insegnato a Lilla e a Parigi, in quest' ultima città ha diretto dal 1962 l' «École pratique des hautes études». Fra le sue opere più famose: «La nascita del Purgatorio» (1982); «Il Medioevo, alle origini dell' identità europea» (1996); «La borsa e la vita: dall' usuraio al banchiere» (2003).
«Corriere della Sera» del 29 maggio 2010
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