di Augusto Del Noce
Non c’è giudizio morale oggi più corrente, e più passivamente accettato, di quello secondo cui si dovrebbe prender coscienza, come di realtà irreversibile, che il comune sentimento del pudore si è notevolmente modificato negli ultimi anni; così che oggi l’uomo medio, ossia normale (cioè non nostalgico e non nevrotico) accetterebbe, senza reazioni morali, manifestazioni di sessualità, alcuni anni addietro neppure concepibili. Onde l’istanza che i codici si adeguino ai nuovi costumi, dato che è cangiata la nozione stessa di oscenità: chi può contestare che i costumi, le fogge di vestire, le mode cangino, anche se la nozione formale di moralità resta immutata? A condividere questo punto di vista ci sono anche molti cattolici, persuasi che in un tempo in cui l’uomo è riuscito a dominare e a utilizzare a proprio vantaggio le forze della natura, e in cui i miracoli tecnologici permettono un benessere sempre più largo e diffuso, l’antico ideale di condotta ascetico e mortificante debba essere pensato irrevocabilmente perento. E questa è una semplice, anche se non piacevole, constatazione.
Mi capita spesso di invidiare i non credenti: quanti argomenti non possono venir tratti dalla storia di oggi per convincersi che i cattolici sono una specie mentalmente inferiore? Impressionante è la loro corsa per adeguarsi al giudizio che i laici razionalisti portano sul cattolicesimo. Pure, non c’è giudizio che possegga, come l’anzidetto, i titoli per meritare il gran premio della banalità.
Basta, infatti, la riflessione più elementare per intendere che oggi si tratta di tutt’altro che non di variazioni nei riguardi di ciò che si riteneva offendere il sentimento del pudore. Quando — ed è il dato di fatto corrente — si asserisce che non c’è parola del vocabolario che non possa venire pronunciata, e, correlativamente, parte del corpo che non possa essere esposta al pubblico, purché non urti la sensibilità estetica (e in ciò il nudismo di oggi manifesta il suo carattere che è ben diverso dall’igienico, e in fondo abbastanza ingenuo naturismo), non c’è soltanto variazione nel comune senso del pudore; c’è una condanna, a suo modo morale, del pudore come anormale. Si parla infatti di rivoluzione sessuale; che non è affatto espressione esagerata e troppo ardita per designare qualcosa di più moderato e di più semplice: quell’"integrazione piena del sesso nella vita umana", di cui parlano, in termini del resto assai mal definiti e imprecisi, vari teologi; confondendo, con questa benevola interpretazione, le carte e le teste.
La maggior minaccia per l’intelligenza è rappresentata oggi dall’inflazione di carta stampata. I libri non si leggono, al più si scorrono, e poi si ripongono negli scaffali. Ora, tutto l’essenziale sulla rivoluzione sessuale è stato detto, quarant’anni fa, dal dottor Wilhelm Reich, in un libro che porta appunto questo titolo1; basta un giorno per leggerlo attentamente. E, quando lo si sia fatto, non ci si stupisce più dei costumi presenti nel regno di Danimarca, perché ne sono la piena attuazione; non ci si stupisce più delle proposte più avanzate, sino a quella del matrimonio degli omosessuali. Non si vanno più a cercare, o a discutere, le sentenze di Moravia sulla pornografia come fenomeno connesso a una società puritana: se non ci fossero puritani, non ci sarebbero neanche pornografi; se qualsiasi espressione erotica è "normale", ne viene che l’esistenza del pornografo è relativa a quella dell’anormale puritano; non c’è pornografo se non agli occhi del puritano; gran scoperta! Non ci si informa più attraverso le conferenze che vanno portando in giro gli Enzo Siciliano. E ciò non per avversione, psicologica o morale, ma per la semplice, doverosa cura di regolare il proprio tempo. La lettura del libro di Reich costringe infatti a situare gli scritti — abbiano la forma di romanzo o di saggio — di questi autori e dei tanti altri che è superfluo nominare, come lavori letterari (lavori, cioè, appartenenti a quel genere che è l’industria culturale), o come illustrazioni — alla lettera — delle opere dell’eterodosso, rispetto all’indirizzo psicanalitico ufficiale, psicologo austriaco. Chi correda di illustrazioni e di esempi sensibili le opere altrui, non discute, e perciò non merita di essere discusso. Può benissimo darsi che le idee le abbia trovate da sé, o colte nell’aria; ma l’attenzione deve essere rivolta a chi le ha enunciate per primo, e soprattutto lo ha fatto in forma organica e coerente.
Il Reich, morto quasi del tutto dimenticato in un penitenziario americano nel 1957, allora condannato dall’ancor morale America, poi riscoperto dai vari movimenti beat e hippy, appartiene a quello che negli anni tra il ’20 e il ’30 si autodefinì come movimento di liberazione europea, sorto in dipendenza della rivoluzione russa; ma alle categorie della borghesia e del proletariato, sostituì quelle degli assertori della morale repressiva (l’uso della parola repressione, nel complessivo significato che ora le si annette, ha in lui le sue origini) e degli assertori della libertà sessuale; solo questa sostituzione e il conseguimento della felicità sessuale avrebbero portato alla scomparsa dello spirito autoritario e a un internazionalismo senza compromessi.
Gli insegnamenti che possiamo trarre dalla sua rivoluzione sessuale sono molti ed estremamente importanti.
Merita di essere osservato, anzitutto, come le idee per l’assoluta libertà sessuale fossero state già compiutamente formulate negli anni tra il ’20 e il ’30. Non ebbero fortuna nel decennio successivo: da una parte, per motivi che ora è inutile indagare, trovarono opposizione nei regimi totalitari, nel fascismo come nel nazismo, come nello stalinismo; dall’altra non potevano trovare udienza nell’antifascismo, inteso allora a opporre i valori spirituali all’esaltazione degli elementi vitali e tellurici. Ebbero una ripresa, pressoché inosservata agli inizi, ma continua e progressiva, dopo il ’45; esplosero, dopo il ’60 nella forma e con l’intensità che sappiamo; non certo per influenza diretta del pensiero del Reich, che fu soltanto riscoperto, ma per le ragioni che si diranno.
La rigorosa coerenza del libro mostra come non siano possibili compromessi tra la morale tradizionale, intesa nella sua integralità e senza alterazioni, — con riconoscimento pieno, cioè, delle sue premesse prime, e proprio per questo senza unilaterali accentuazioni di certi aspetti — e la liberalizzazione sessuale. Dobbiamo perciò dire che, a parte la forma espressiva e il giudizio valutativo, che per me naturalmente è l’opposto, il Reich ha piena ragione nello scrivere che "la concezione del desiderio sessuale inteso al servizio della procreazione è un mezzo di repressione della sessuologia conservatrice. È una concezione finalistica e dunque idealistica. Presuppone dei fini che devono essere necessariamente di origine sovrannaturale. Reintroduce un principio metafisico e perciò tradisce un pregiudizio religioso o mistico". Possiamo tradurre, in termini appena diversi: ci sono nella storia, come costanti, due strutture tipiche in eterno conflitto: la morale, che in ultima analisi suppone un fondamento metafisico-trascendente, anzi soprannaturale; la libertina, che, negati questi fondamenti, deve vedere la piena esplicazione della vita nella "felicità sessuale", posta come fine a se stessa, e quindi liberata dall’idea di riproduzione. Se si vuol parlare di un merito del Reich è di aver portato il giudizio pratico di tipo libertino alle sue conseguenze ultime.
Premessa infatti del pensiero del Reich, naturalmente data come incontestabile senza il minimo accenno di prova, è che non esiste nessun ordine di fini, nessuna autorità metempirica di valori. Ogni traccia, nonché di cristianesimo, di "idealismo", nel più largo dei significati, o di fondamento dei valori di una realtà obiettiva, quale sarebbe per Marx la storia, è cancellata. A che cosa si riduce, dunque, l’uomo, se non a un insieme di bisogni fisici? Quando essi siano soddisfatti — quando, insomma, sarà rimossa ogni repressione — egli sarà felice. Viene in mente la frase di Nietzsche sui socialisti: "ammiccano perché hanno inventato la felicità". In pochi scrittori come nel Reich è tipico il carattere dell’"inventore della felicità".
Tolto ogni ordine di fini e cancellata ogni autorità di valori non resta che l’energia vitale identificabile, già secondo un’antica e del resto difficilmente contestabile asserzione, con la sessualità. Dunque, nucleo della vita sarà la felicità sessuale; poiché il pieno appaiamento sessuale è possibile, la felicità è dunque raggiungibile. Attraverso l’assoluta, illimitata libertà sessuale, l’uomo si libererà dalle nevrosi e diventerà pienamente capace di lavoro e di iniziativa. La sua struttura psichica sarà mutata e sarà reso altresì libero dalle tendenze militari e aggressive e dalle fantasie sadiche, tipiche — come l’esempio dello stesso Sade dimostrerebbe — dei repressi.
Ma qual è l’istituto sociale repressivo per eccellenza? Per il Reich la famiglia monogamica tradizionale; e, dal suo punto di vista, non si può certo dire abbia torto. L’idea di famiglia è infatti inseparabile dall’idea di tradizione, da un patrimonio di verità da tradere, da consegnare. L’abolizione di ogni ordine metempirico di verità importa quindi che la famiglia venga dissolta; nessuna considerazione meramente sociologica può autorizzare il suo mantenimento.
Di qui le conseguenze che non potrebbero, nel suo libro, esser dettate a lettere più chiare. Il rovesciamento di quella "struttura umana che esiste sotto forma di quella che è chiamata tradizione" non potrebbe essere più completo; forse un lontano analogo si può trovare nelle utopie di uno degli scrittori più rappresentativi del libertinismo seicentesco, Cyrano de Bergerac. Una ragazza che a diciottanni sia ancora vergine deve essere condannata alla vergogna. Ciò di cui una ragazza adolescente ha bisogno è "di una camera tranquilla, di antifecondativi adatti, e di un amico capace di fare all’amore, che abbia cioè una struttura sessuo-affermativa; di genitori comprensivi e di un ambiente sociale affermatore del sesso"2. La nudità totale deve essere incondizionatamente accettata e favorita; la pubblicità degli accoppiamenti sessuali deve essere permessa. Non si ha diritto di proibire al proprio partner altre relazioni sessuali durevoli: principio che oggi vien detto "piena libertà di scambio fra coppie di coniugi" e "libertà totale per le esperienze sessuali di gruppo". Nulla permette di criticare le unioni omosessuali. L’educazione sessuale deve essere intesa come rimozione di tutti quei complessi atavici che portano a vedere nell’astinenza un valore, ecc.
Domandiamoci, ora: che cosa c’è di nuovo, nel riguardo di queste idee, in quella che si suol chiamare morale scandinava? Che cosa c’è di nuovo in certe manifestazioni della contestazione giovanile (non in tutte, neanche nelle forme più eversive; perché certamente Mao non è Reich, e non lo è neanche Marcuse), in cui gli studenti (e, per quel che ho letto, anche quelli di una facoltà tedesca di teologia protestante) chiedevano il permesso di ricevere le loro compagne nelle stanze personali dei loro collegi? O, addirittura, (come a Nanterre nel famoso maggio) dell’accoppiamento libero nei corridoi; domanda che non poteva non ricevere l’appoggio di un molto conformista professore, che per piena coerenza al conformismo, nell’attesa di conformarsi alla parte vincente, decise di firmare il suo scritto con uno pseudonimo.
Ancora: "la religione non sarebbe combattuta, ma non si tollererebbero interferenze con il diritto di trasmettere alle masse le scoperte delle scienze naturali e con i tentativi per assicurare la felicità sessuale. Allora si vedrebbe ben presto se la Chiesa ha ragione o meno di sostenere l’origine soprannaturale dei sentimenti religiosi". Che cosa propone oggi il fondatore di un Deutsche Sex Partei (il giornalista amburghese Driessen) se non la "verifica della legittimità costituzionale della Chiesa cattolica in merito ai limiti che pone alle libertà sessuali"? Si noti: la Chiesa è tollerata soltanto nei limiti in cui non si pronuncia nel riguardo delle tesi morali derivate da una scienza intesa come l’unica forma valida di conoscenza! Deve assistere, senza avere neppure il diritto di deplorarla, a una nuova morale sessuale prescritta dalla scienza (e per la verità, da uno scienziato, perché il Reich ammette la sua posizione come affatto isolata tra i sessuologi del tempo), che, per un processo che va dalla pratica alla teoria, ne scardina completamente i princìpi. Perfettamente ha scritto di recente un valentissimo e troppo poco noto filosofo francese, Jean Brun, che "il grande Inquisitore, di cui Dostoevskij ci ha lasciato un mirabile ritratto, non è più un fanatico religioso, ma uno scienziato che possiede l’esclusiva della verità, di fronte a cui gli uomini debbono inginocchiarsi per non essere più gli schiavi dell’errore"3. Se anche lasciamo da parte la tesi del maggiore filosofo dell’emigrazione russa, Leone Chestov, secondo cui il tipo del grande Inquisitore dipenderebbe unicamente dall’essenza dello scientismo, anche se può avere storicamente assunto veste religiosa per l’intrusione della mentalità scientista nel campo della fede, resta sempre che esso è essenziale allo scientismo, e che le minacce, oggi del suo dominio, vengono dallo scientismo.
Ma c’è dell’altro. Se non vado errato, il Reich fu il primo a parlare di un nesso tra repressività sessuale e fascismo. Anche questa idea ha avuto fortuna: ho letto infatti tempo fa nella coperta del libro di tal Alberto Ellis, capo dei servizi di psicologia dello Stato del New-Jersey, che "i fascisti sessuali tendono ad essere altrettanto predominanti nei gruppi politicamente ed economicamente liberali, che tra i bigotti e i reazionari sociali". Se l’espressione non ha avuto sinora troppa circolazione — i sessuologi scientisti dovrebbero affrontare al proposito il dibattito con gli storici, ed è dibattito a cui sono poco attrezzati — ciò non toglie che l’idea sottenda molti giudizi correnti; è facile rintracciare al fondo di molti discorsi la persuasione della corrispondenza tra società democratica e completa libertà sessuale. Non è certo un caso che i più avanzati sostenitori, tra di noi, della "sessualizzazione dei costumi" affermino che si tratta di liberare l’Italia da quei livelli di oscurantismo, che porterebbero i rappresentanti dei paesi più civili ad accostarla a Spagna, Portogallo e Grecia, e che sono al fondo dei permanenti pericoli di involuzione; e che di recente siano scattati in nome di "un comitato rivoluzionario contro la repressione" esattamente i tre più noti rappresentanti italiani della lotta per la liberazione dai tabù sessuali, Moravia, Maraini, Pasolini.
Da quel che sinora si è visto, il Reich non è affatto un propagandista del libero amore e dell’igiene sessuale come tesi isolata; è invece un pensatore che coglie esattamente tutte le implicazioni delle tesi della libertà sessuale, e definisce con precisione tutte le negazioni che essa comporta nel campo metafisico-religioso. Non arriva a scrivere, nonostante tutto il suo antinazismo, che "il misticismo nazista del montare del sangue, e della fedeltà al sangue e alla terra", benché sia stato soffocato nella mistificazione e in una politica reazionaria, "fu un progresso in paragone del concetto cristiano del peccato originale" e che l’avversione al nazismo non deve portare a preferire l’insegnamento della teoria del peccato originale a quella del "montare del sangue" che dovrà essere guidata "verso altri, positivi canali"?4. La sequenza: famiglia-tradizione-ordine oggettivo di valori e di fini, è stata da lui colta perfettamente. E se si oppongono rigorosamente le idee di "tradizione" e di "rivoluzione", non c’è dubbio che mai questa opposizione sia stata portata così avanti come da lui e che abbia ragione nello scrivere che non soltanto la rivoluzione comporta un mutamento nella considerazione dei rapporti sessuali, ma che sia anzitutto "rivoluzione sessuale".
È strano come le idee dell’inventore scientista della felicità abbiano oggi trionfato, senza sua diretta influenza, non soltanto nel costume, ma in una larghissima parte dell’opinione politica occidentale. Consideriamo, infatti, quanto egli scriveva nella prefazione alla terza edizione della Rivoluzione sessuale, 1944, dopo la sua delusione nei riguardi del comunismo russo: "Non è questione di lotta di classe fra proletariato e borghesia come vorrebbe farci credere una meccanicistica sociologia teoretica. No: singoli lavoratori con una struttura caratteriale capace di libertà lottano contro singoli lavoratori con una struttura autoritaria; membri degli strati sociali più elevati con una struttura capace di libertà si battono per i diritti di tutti i lavoratori contro i dittatori che, sia detto per inciso, provengono dal proletariato. La Russia sovietica, che deve la sua esistenza a una rivoluzione proletaria, è oggi, nel 1944, reazionaria in fatto di politica sessuale, mentre l’America, con il suo background di rivoluzione borghese, segue una politica sessuale per lo meno progressista. Le concezioni sessuali del XIX secolo, con le loro definizioni puramente economiche non si applicano più alla stratificazione ideologica che noi osserviamo nelle lotte culturali del XX secolo. Le lotte sociali di oggi, per ridurle alla formula più semplice, si verificano tra interessi che salvaguardano e affermano la vita da un lato, e interessi che la distruggono e la reprimono dall’altro"5. È chiaro che quella che oggi si chiama sinistra si batte sempre meno in termini di lotta di classe, e sempre più in termini di "lotta contro la repressione", pretendendo includere la lotta per la causa del progresso economico delle classi meno abbienti in questa lotta più generale, come se fossero indissolubili.
Sarebbe tema da trattare se per questa via postcomunista sia possibile sfuggire alle proposte del Reich; uno sguardo alle idee dei suoi intellettuali laici sembra disporre a una risposta negativa; ma anche per i cattolici, la posizione di sinistra e l’abbandono, o la limitazione enunciata in termini che non possono essere sostanzialmente contraddittori, delle antiquate posizioni rispetto al sesso sembrano coincidere.
Un comunismo rigorosamente ortodosso continuerebbe certo a vedere, come nel periodo staliniano, nelle idee del Reich e nelle sue attuazioni, un fenomeno di borghesia decadente; tuttavia, i partiti comunisti occidentali non sono affatto entrati in guerra contro la nuova morale sessuale, e hanno anzi tenuto a distinguersi nella lotta contro ogni forma di censura. Non soltanto la nuova sinistra si è sessualizzata, ma i partiti comunisti occidentali le si sono, sotto questo riguardo, subordinati. Come questo sia avvenuto per una profonda motivazione ideale, sarebbe argomento di estrema importanza, ma la via per trattarlo troppo lunga.
* * *
Siamo arrivati alla conclusione, solo in apparenza paradossale, che il precursore degli aspetti deteriori e più pericolosi così del costume come della politica di oggi fu il dottor Reich. Si tratta di un paradosso solo apparente perché il suo fu il primo tentativo coerente di una psicanalisi rivoluzionaria, e Freud e Marx continuano a essere i numi tutelari della situazione presente; e la sinistra attuale è precisamente caratterizzata dal non voler rifiutare né Freud né Marx.
Negli anni intorno al Trenta le sue idee furono però respinte così dagli psicanalisti come dai marxisti. Per Freud era incontestabile che la civiltà poteva esistere solo grazie alla repressione e alla rinuncia agli istinti. Da vecchio positivista egli continuava a pensare che la morale corrente nel periodo tra il 1870 e il 1915 rappresentava il grado più alto dell’evoluzione; e che si trattava di rafforzarla, non di distruggerla. La psicanalisi — sono parole sue, citate dal Reich stesso — non significa affatto, per lui, cura della nevrosi attraverso il libero sfogo della sessualità; al contrario, la presa di coscienza dei desideri sessuali repressi, permettendone il controllo, è destinata "a liberare il nevrotico dai ceppi della sua sessualità". Ciò significava a giudizio del Reich che allo scienziato si era sovrapposto in Freud il filosofo borghese, e che ciò aveva alterato il senso della sua scoperta; e questa era una prospettiva che Freud non poteva chiaramente ammettere. Dal marxismo, poi, era separato da un vero e proprio abisso ideale. Per il marxismo c’è un fine che si deduce dal divenire storico; Marx, da hegeliano, pensava che l’assoluto non è al principio della storia, ma ne è il risultato. Per Reich, invece, c’è una primitività da cui ci si è allontanati attraverso la morale sessuofobica e a cui bisogna tornare reinserendo la civiltà nella natura. Ci sono già nella sua opera tutti gli elementi della recente rinnovata edizione del mito del buon selvaggio.
Tuttavia egli sperò di trovare un punto di concordanza col marxismo nella critica della famiglia. Nella fase precapitalistica, la famiglia aveva una radice economica. Con lo sviluppo dei mezzi di produzione si è verificato un mutamento nella sua funzione; la sua base economica fu sostituita dalla funzione politica; diventò così il pilastro delle strutture conservarne!. Tutti gli interessi autoritari e reazionari si coagulerebbero nella sua difesa. Solo diventando rivoluzione sessuale la rivoluzione marxista diventerebbe veramente rivoluzione totale.
Si sbagliava però completamente nella valutazione del marxismo teorico; come si è già detto, la tesi del fondamento oggettivo dei valori vieta al marxismo, almeno nella sua versione rivoluzionaria, di presentarsi come dottrina vitalistica dell’illimitata libertà sessuale; al contrario, è portato a vedere in questa libertà l’estremo momento dissolutivo e degenerativo della società borghese.
Questo carattere dovette poi accentuarsi a mano a mano che prendeva la fisionomia di rivoluzione russa, e che il carattere russo si sostituiva al marxista. Un tale processo importava quel momento di conciliazione con la tradizione, che permette alle rivoluzioni di riuscire e di non risolversi in processi dissolutivi. Di qui quel ritorno inevitabile, accentuato nel periodo staliniano, all’etica che il Reich chiama sessuofobica; ritorno che egli interpretò erratamente come richiesta di riabilitazione del comunismo nel giudizio del mondo morale. Di qui le sue speranze nell’America, dichiarate nella prefazione alla quarta edizione del suo libro, marzo 1949: "Assicuro il lettore che mi rendo anche pienamente conto delle tendenze reazionarie esistenti negli Stati Uniti. Ma qui, come in nessun altro posto è possibile battersi per la felicità e i diritti della vita" (sottolineatura sua). Purtroppo non si sbagliava, anche se la sua avventura americana finì col carcere.
Come le sue idee, indipendentemente da una diretta influenza (che continuò a essere scarsa, anche dopo la sua riscoperta; ho l’impressione che La rivoluzione sessuale sia un libro poco letto) hanno potuto avere un così spettacolare successo nell’ultimo decennio? Gli anni Sessanta si sono chiusi in Europa con le note manifestazioni di massa: maggio francese ’68, raduni dello scorso agosto e dello scorso dicembre, mostre danesi, invasione sempre maggiore della letteratura erotica in Germania, e anche in Italia films cosiddetti spinti, e riviste pornografiche che non sono però soltanto riviste pornografiche nel senso antico. I tempi in cui la contestazione del pudore era giudicata pornografia, nei cui riguardi si poneva il problema dei limiti della tollerabilità, sembrano ora lontanissimi. Oggi è invece il pudore che viene al più tollerato in persone inibite o legate a pregiudizi ancestrali; è qualcosa di cui ci si deve scusare in larga parte di quella società che suoi essere detta "bene". Chi dirà: "sono rimasto attaccato a una certa forma di morale tradizionale", potrà pensare di venir scusato perché si limita a constatare un fatto; ma guai se pretende elevare questo fatto a valore! Sarebbe interessante seguire la storia recente di questa "larghezza di vedute" nell’accettazione del vizio a partire dalla descrizione che Proust fa del Faubourg Saint-Germain. Si vedrebbe quanto siamo andati avanti in questo processo evolutivo. Ormai "lo scandalo" è condannato senza remissione. Naturalmente si trovano dei cattolici (non pochi) per cui questa condanna è segno di progresso nella carità; sempre il demoniaco si insinua contrapponendo delle verità e delle virtù che, scisse, diventano errori: in questo caso, la carità e il rispetto dell’ordine oggettivo dell’essere.
Per riassumere il già detto in formula complessiva, l’erotismo contemporaneo corrisponde a un’interpretazione della psicanalisi in forma di rivoluzione morale (trasformazione della _struttura psichica), assommante in sé il positivo delle precedenti rivoluzioni, la marxista inclusa. Ma come questa interpretazione già proposta e fallita nel primo dopoguerra, riuscì nel secondo? Una risposta esaustiva importerebbe l’analisi della situazione spirituale dal ’45 in poi, considerata negli aspetti che allora meno si imponevano all’attenzione e che si sono rivelati successivamente come i più profondi. Delineiamone le tracce essenziali.
Si dice comunemente che i primi anni del dopoguerra furono caratterizzati, nell’Europa occidentale, dalla glande paura del comunismo. Ciò è verissimo, ma non bisogna dimenticare che ad essa si accompagnava, meno espressa, un’altra grande paura, quella di un risveglio religioso. Certo, nulla di più diffuso, allora, della persuasione che "l’Islam del XX secolo" non potesse essere fermato senza il contributo decisivo delle forze religiose, in particolare cattoliche. Ma, d’altra parte, questa considerazione politica non si accompagnava affatto a un movimento ampio di conversione religiosa. Sorgeva perciò, in strati sociali vasti, il problema di trovare la forza capace di bilanciare nella società civile l’accresciuto potere politico dei cattolici.
Si aggiungeva a questo un altro fenomeno: l’idea che con la crisi segnata dal successo del fascismo e del nazismo nel continente europeo si fosse definitivamente consunta la vecchia Europa, nella sua stessa tradizione ideale rivelatasi ormai insufficiente rispetto alla realtà effettuale, in quanto incapace di opporre un valido argine all’incalzare della barbarie. Si formò, in altri termini, quell’atteggiamento che altrove ho chiamato di "millenarismo negativistico". Atteggiamento nuovo, perché le forme sinora conosciute di millenarismo, se dichiaravano la fine di un mondo ridotto a Babilonia, contenevano pure una promessa che si lasciava definire in termini sufficientemente precisi; mentre la recente non sapeva e non sa oltrepassare l’affermazione vaga del radicalmente nuovo, e anche quando cerca di enunciare positivamente degli ideali, sembra che li veda piuttosto come strumenti per negare che come valori da affermare.
Tale disposizione era naturalmente portata a una diffusione sempre più vasta a mano a mano che la nuova generazione succedeva alla vecchia, e che scomparivano gli uomini del mondo di ieri; sino a che, oggi, appare pensiero naturale e pressoché indiscusso. Il pensiero che la crisi segnata dalle guerre mondiali coinvolgesse non la tradizione, ma la forma che essa aveva assunto nel periodo laico-liberale, tra il 1870 e il 1914, restava bloccato dal corrente schema progressista, secondo cui nella storia nulla può essere stato perduto, e nulla di ciò che è stato considerato superato può essere riaffermato; e continua a essere bloccato, se anche qualche voce in contrario riesce oggi a farsi sentire.
Se consideriamo questi due atteggiamenti, così nell’eco che avevano e nelle forze che mobilitavano come nel loro comporsi, troveremo le ragioni del successo della rivoluzione sessuale.
Consideriamo anzitutto la posizione che dovevano assumere gli intellettuali più avversi al pensiero cristiano; e partiamo dai movimenti che, con termine generico, si soglion dire di avanguardia letteraria e artistica, e particolarmente da quello che ne rappresenta nei suoi manifesti la coscienza filosofica: il surrealismo.
Sarebbe errato considerare il surrealismo come un fenomeno meramente artistico, anziché come un atteggiamento totale di vita, diretto a rappresentare la pienezza dell’idea rivoluzionaria, nel suo aspetto primo, per cui vuol essere frattura radicale col passato e cominciamento di una nuova storia. Definita perciò dall’intenzione della creazione di una nuova realtà, in cui l’umanità, recuperando quel che aveva proiettato fuori di sé nella creazione di Dio (quei poteri da cui era alienata, per usare un linguaggio ormai abituale anche nei fogli più provinciali) raggiungerebbe la pienezza del suo potere; onde la stessa fraseologia che a tale forma di pensiero è abituale, uomo totale, surrealtà, superumanità, ecc.
Sotto questo riguardo il programma del surrealismo e quello del marxismo coincidono. La divergenza si stabilisce su questo punto, che mentre per il marxismo il cangiamento dell’uomo sarà il riflesso della rivoluzione sociale e politica, per il surrealismo si tratta invece anzitutto di "rifare l’intelletto umano", in conseguenza del qual cangiamento si avrà, alla fine, la società degli uomini liberi. La storia del surrealismo, sotto il riguardo etico-politico, è storia di questa affinità e di questa divergenza. Dalla prima adesione al comunismo che porta, nel ’30, a mutare il titolo della rivista La Révolution surrealiste in quello di Le surréalisme au service de la révolution, si passa al dissenso con lo stalinismo e alla ricerca dell’accordo con Trotzki; per concludere poi, nel ’47 a una separazione conseguente alla presa di coscienza del diverso carattere delle due posizioni rivoluzionarie. Ora, la dichiarazione di rottura è estremamente importante per l’accentuazione data, nel processo rivoluzionario, al momento sessuale.
È contenuta nel manifesto collettivo Rupture inaugurale, "dichiarazione adottata il 21 giugno 1947 dal gruppo in Francia per definire il proprio atteggiamento pregiudiziale nei confronti di qualsiasi politica partigiana", pubblicato in occasione della mostra internazionale del surrealismo, Parigi, 1947; è bene integrarne la lettura con quella del lavoro preparatorio di Henri Pastoureau Pour une offensive de grande style contre la civilisation chrétienne (il titolo è un bel documento della "grande paura" di una rinascita religiosa!), in cui le stesse tesi vengono dette in forma più articolata.
L’avversario secolare a cui la pienezza della rivoluzione copernicana dovrebbe dare oggi il colpo di grazia è il sistema cristiano che si sarebbe costituito intorno all’anno mille "quando gli elementi che sopravvivevano dell’insegnamento greco-latino, delle tradizioni celtiche e franche, degli apporti in Occidente degli arabi e degli ebrei, della riflessione dei dottori della chiesa primitiva e degli eresiarchi dei primi secoli e di un’iniziazione esoterica la cui origine è più lontana di quella della storia, si fusero in una lega abbastanza malleabile, perché S. Tommaso d’Aquino, modellandola un po’ più tardi, potesse farne l’espressione più perfetta della dottrina allora e poi universale"6.
Sinora questo vecchio quadro cristiano-tomista ha saputo trasformarsi infinite volte, così da sopravvivere alla successiva scomparsa delle varie classi sfruttatrici. Non può essere rovesciato dal mutamento dei rapporti economici. La rivoluzione borghese e il capitalismo hanno finito con l’accomodarsi in questa preesistente civiltà, non domandando alle istituzioni più antiche che di adattarsi alle nuove esigenze economiche senza per questo sparire. Il pericolo di subire la stessa sorte pende oggi sul marxismo; non vi si sottrae neppure la sua direzione più rivoluzionaria, la trotzkista. Se, infatti, leggiamo uno degli ultimi scritti di Trotzki, La loro morale e la nostra, vediamo come egli sia rimasto fedele alla tesi di Lenin secondo cui non ci sarebbe alcun limite morale per l’azione rivoluzionaria; non c’è separazione di fini e di mezzi, questi secondi essendo organicamente subordinati al fine che si deduce dal divenire storico; quindi ogni violenza, ogni stratagemma, ogni procedimento illegale, ogni dissimulazione e ogni inganno diventano leciti se pensati necessari al fine. È la tesi classica del marxleninismo, quella secondo cui la politica risolve in sé la morale; e sembrerebbe non poterci essere in sé negazione più radicale del codice morale tradizionale. I surrealisti osservano però che si pone la questione se questo amoralismo non possa consentire anche delle "pratiche regressive". È certo che la liceità comunista di trasgredire alla legge morale attuale debba sempre agire "nel senso del progresso"? Non può invece giustificare anche la collaborazione del partito comunista alla direzione dello stato borghese? Il gruppo surrealista guarda alla posizione che il partito comunista francese aveva nel 1947; certamente se avesse scritto il suo manifesto in Italia, avrebbe visto nel partito di Togliatti il modello insuperabile di questa deviazione. "Il termine finale dell’evoluzione storica, quello che segnerà la fine delle infelicità dello spirito, infine vittorioso sul suo passato, giustifica da solo gli atti degli uomini. Questo termine può giustificare solo dei mezzi che non compromettano l’evoluzione della legge morale, ed è proprio perché non crediamo alla fissità di questa legge — altrettanto assurda che la fissità della storia — che non accettiamo di lasciarci costringere a pratiche regressive, di cui la collaborazione politica col nemico di classe non è che l’aspetto generale, dietro il pretesto di preparare la rivoluzione proletaria.
In altri termini, accetteremo sempre di trasgredire la legge morale attuale, ma solo in direzione del progresso"7. Non si tratta certo di dichiarazioni occasionali se il pensiero del maggior teorico del surrealismo, André Breton, poteva, ancora alla vigilia della morte, venir riassunto nel programma che segue: "Rovinare definitivamente l’abominevole nozione cristiana del peccato, della caduta originale, dell’amore redentore, per sostituirgli con tutta certezza quella dell’unione divina dell’uomo e della donna... Una morale basata sull’esaltazione del piacere spazzerà presto o tardi l’ignobile morale della sofferenza e della rassegnazione, mantenuta dagli imperialismi sociali e dalla Chiesa. Alla tirannia dell’uomo dovrà sostituirsi... un regno della donna..."8.
La risposta dei marxisti di allora era che si trattava di una collaborazione provvisoria, allo scopo di rendere possibile la rivoluzione economica. Facilmente rispondevano i surrealisti che non vi era alcuna certezza del decisivo contraccolpo morale della rivoluzione economica; niente garantiva, anzi tutto portava a escludere che il debellamento dell’ordine cristiano ne sarebbe stato il risultato automatico. La storia insegna piuttosto che i costumi mutano con estremo ritardo rispetto alle trasformazioni economiche e che il processo di sviluppo morale non comporta soltanto termini economici: "La dottrina morale del cristianesimo sancita in tutti i paesi civili da un comune e costante diritto profano, si esprime nel Decalogo, che resta l’essenza della rivelazione mosaica; i marxisti dovrebbero dedurne nel campo dell’economia da quando Mosè è stato chiamato sulla vetta del Sinai".
Coerentemente il manifesto conclude: "ritorniamo ai costumi, oggetto delle nostre preoccupazioni più costanti; sarebbe assurdo contare solo sulla rivoluzione politica per mutarli... Questi teorici (i successori di Marx) non hanno mai denunciato la morale attuale se non quando, nel farlo, intravedevano un vantaggio politico immediato. Sade e Freud, al contrario, hanno aperto la strada. Qualunque sia la dottrina che deve succedere al cristianesimo, vediamo in Sade e in Freud i precursori designati della sua etica"9.
Questo documento ormai lontano rappresenta il passaggio del surrealismo — e possiamo dire dell’avanguardia in genere — all’anticomunismo? Così fu interpretato allora dalla maggior parte dei non molti che se occuparono.
In realtà, nulla di più inesatto. In esso l’avanguardia prendeva coscienza di quella che doveva essere la sua vera posizione nei riguardi della politica per conformità alla natura della sua idea rivoluzionaria; e neppure giudicava errata la proposta comunista, ma soltanto inadeguata; il marxismo doveva essere completato moralmente con Sade e con Freud e su questa morale si sarebbe dovuto essere intransigenti, anche a costo di sacrificare l’efficienza politica. Nello scritto di Pastoureau è detto perché i surrealisti devono anche rifiutare di partecipare all’opposizione di sinistra al partito comunista, necessariamente destinata alla sconfitta perché non contesta il rapporto di politica e di morale, così come affermato da chi intende criticare, ma soltanto rifiuta di spingere alle conseguenze ultime la politica di astuzia e di stratagemma che deve risultarne. Perciò "i loro sforzi tenderanno a far riuscire le stesse rivendicazioni e ad accelerare la liberazione dell’uomo, ma attraverso altri mezzi".
Si può dire che oggettivamente questa separazione aveva di fatto il risultato di stabilire le condizioni di una collaborazione possibile per quel che riguarda l’azione comunista nel mondo occidentale attraverso la divisione dei compiti. L’avanguardia avrebbe agito sui "costumi" e scardinato nella coscienza dei borghesi quei principi sui cui era costituita la famosa "diga" (così si diceva allora; oggi si tende a dimenticare persino il termine) contro il comunismo. Il comunismo avrebbe seguito la sua via di ricerca di potere, liberato dal problema arduo di pronunciarsi nei riguardi della morale tradizionale. Non è però questo il punto essenziale. Ciò che ora importa è sottolineare come partito da Sade, il surrealismo (e l’avanguardia in genere) ritrovasse, per un processo autonomo, l’idea del Reich sulla necessità di completare il marxismo con la nuova morale sessuale, al fine del successo della rivoluzione totale; e si riservasse come proprio compito quest’azione sui costumi attraverso l’arte. Questo compito è stato puntualmente eseguito: rispetto all’arte di avanguardia del primo dopoguerra qualche dubbio poteva sorgere (e trovò espressione anche in opere notevoli) sul suo carattere ateo o, anche se inconsapevolmente, mistico; ma è indubbio che, dopo il suo sviluppo nel secondo dopoguerra, non trova più alcuna ragione di essere.
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Si può certamente osservare che il campo d’azione dell’arte di avanguardia è limitato e non può aver avuto un’azione decisiva nella rivoluzione di massa dei costumi. Ma passiamo a considerare l’aspetto per cui si ebbe l’impressione di una tradizione ormai definitivamente esaurita, consueta a quell’atmosfera millenaristica di cui si è detto. Il millenarismo imponeva l’obbligazione di una letteratura e di un cinema impegnati. Il negativismo ne determina il contenuto: quello di demitizzare, di lacerare le maschere, di demistificare, di denunciare l’alienazione; ed è persino inutile aggiungere qualsiasi eccetera, perché il programma non andava oltre queste quattro parole. Per confezionare prodotti rispondenti, nulla si presentava più adatto del materiale fornito dalla psicanalisi, visto nel suo aspetto dissacrante.
Il contrabbando dell’erotismo avveniva così all’insegna morale del demistificante e del "disalienante". Il fatto nuovo dell’"industria culturale" assimilava le opere letterarie a "prodotti" destinati al "consumo"; conformi perciò al gusto che già un certo diffuso giudizio storico-politico, subìto piuttosto che pensato, predeterminava. Ma perché la tradizione su cui l’Europa si era formata era quella di un ordine oggettivo dei fini e dell’autorità metempirica dei valori, questa letteratura progressiva demistificante portava esattamente, per l’atteggiamento che assumeva rispetto ai valori tradizionali, alla nuova morale sessuale, per quel processo che già si è illustrato.
Passiamo ora alle forme più elevate della cultura laica. All’insegna della politica della cultura si costituì, in contrapposto alla repubblica politica, una repubblica delle lettere — per usare il linguaggio illuminista — con ben più gravi e pesanti interdetti. Il programma era quello di una continuità illuministica tra liberalismo e comunismo, esigente una reciproca riforma. Ora, tale riforma importava che il liberalismo, per cessare di essere borghese, nel senso corrente, ritrovasse l’antitradizionalismo illuminista, accentuandolo in modo da evitare quegli aspetti per cui l’illuminismo aveva ceduto al romanticismo; ma in tale accentuazione era inevitabilmente inclusa l’abolizione dei divieti, o come oggi si usa dire, con espressione talmente abusata che non si vorrebbe ripeterla, tabù sessuali, quando anche i loro promotori non se lo proponessero. Se Gramsci pensava di procedere da Croce a Marx, la nuova borghesia illuminata intendeva invece andare da Marx a Diderot; ma ci si può fermare a Diderot, o non si deve invece, imboccata questa via, procedere verso Sade?
Così nel campo dell’intellettualità laica, l’arte di avanguardia, l’industria culturale, e la politica della cultura dei filosofi e degli storici giungevano, intenzionalmente o meno, consapevolmente o no, a unirsi nel riproporre i temi della nuova morale sessuale. Rispetto all’intenzione e al grado di consapevolezza, certamente la minore era quella dei filosofi e degli storici, anche se alcuni di essi abbiano certamente avvertito il pericolo, e tentato di fermarsi, e anche detto cose acute; ma, fermarsi, in che maniera?
Consideriamo i fatti. Nell’accettato crollo della tradizione metafisico-religiosa, restava, àncora di salvezza dell’umanità, simbolo della modernità e pilastro della civiltà nuova, soltanto la scienza. Ma la scienza, almeno nella sua accezione moderna, studia il reale come sistema di forze, non di valori; fornisce strumenti, non determina fini. Nella prospettiva secondo cui la scienza è l’unica forma di conoscenza valida, l’unico fine di cui si possa parlare, è l’incremento della vitalità. Dispiace citare ancora una volta il dottor Reich, la cui tesi veniva ancora una volta riscoperta: non è certo un gran pensatore, ma ha il merito dei consequenziari, di coloro che accettano uno sbocco aberrante, ma inevitabile, a cui studiosi più ricchi di umanità cercano invano di sottrarsi. La rivoluzione sessuale è effettivamente il punto d’arrivo dello "scientismo".
La storia non è certo soltanto storia degli intellettuali, ma la nuova borghesia per le sue stesse origini recenti, per i traffici da cui era emersa, generalmente indipendenti o contrari ai valori tradizionali, per la mentalità radico-massonica a cui era legata sin dagli inizi del suo predominio, era esposta alla grande paura della rinascita religiosa. Raramente era avvenuto che essa si sentisse così solidale con le proposte degli intellettuali. Facilmente ravvisò nel sesso l’arma che poteva essere usata, per arginare il predominio cattolico. Il sesso presentava infatti allora delle garanzie contro l’accusa in cui, a quel tempo, tutte sembravano assommarsi; la moralità tendeva infatti a confondersi in quegli anni lontani con l’antifascismo, come se nel fascismo, e particolarmente nel nazismo, si fosse condensato tutto il male; e nel riguardo dell’etica sessuale i fascismi si erano in generale presentati come difensori delle vedute tradizionali.
Ancora più propenso all’accettazione della nuova etica si dimostrava il neocapitalismo, che nella largo-diffusa felicità sessuale poteva vedere un validissimo argine contro i pericoli rivoluzionari; o anzi contro ogni forma eversiva di destra come di sinistra. Ricordiamo ancora la sostituzione, affermata dal Reich, della "lotta contro la repressione" alla lotta di classe. Nel novembre 1944 gli accadde, nel chiarire il suo pensiero al riguardo, di scrivere: "La questione fondamentale sociale non è più: sei ricco o povero; ma, sei per la difesa e la maggior libertà possibile della vita umana, e combatti per esse? Fai, praticamente, tutto quanto è in tuo potere affinché le masse dei lavoratori raggiungano una tale indipendenza di pensiero, di azione, e di vita da rendere del tutto naturale, e in un futuro non troppo lontano, la completa autoregolazione della vita umana"?10. Ciò praticamente significa che nella società successiva alla rivoluzione sessuale, le disuguaglianze economiche, pur nel benessere universale, possono continuare a sussistere; su questo punto la rivoluzione sessuale può benissimo accordarsi con le idee dei teorici della società del benessere. È noto come il vecchio radicalismo, espressione politica della vecchia borghesia, contrapponesse all’avanzata socialista il diversivo anticlericale; con perfetta analogia il nuovo radicalismo, espressione della borghesia nuova, è portato a contrapporre all’avanzata comunista il diversivo sessuale. A ben guardare c’è una continuità nella storia del radicalismo, dall’anticlericalismo all’anticristianesimo.
Resta da vedere come il progresso della rivoluzione sessuale abbia coinciso con quello della socialdemocrazia. I paesi scandinavi sono quelli in cui la socialdemocrazia è al governo da più lungo tempo; la scomparsa di ogni traccia della mentalità vittoriana ha coinciso in Inghilterra col successo del laburismo; l’avanzata dell’erotismo in Germania è in rapporto diretto col progresso socialdemocratico. Dobbiamo pensare, per spiegare questo, alle due anime compresenti nella socialdemocrazia, la moralistico-kantiana e la scientistico-positivistica. All’eclissi della morale kantiana soprattutto in quella forma di morale autonoma, cara a una notevole parte degli intellettuali socialdemocratici, non poteva perciò non conseguire il sopravvento dello scientismo; e, in effetti, i paesi ricordati sono pure quelli in cui il nuovo scientismo ha oggi maggior diffusione. Non si vuol con ciò dire che vi sia un vincolo necessario tra socialdemocrazia e liberalizzazione sessuale; ma che la socialdemocrazia non ha ancora compiuto quella revisione ideale qual pure le si presenterebbe come necessaria, e che, per la verità, non sembra molto incline a compiere.
Quanto all’atteggiamento che doveva essere assunto dai comunisti, la risposta è facile: hanno favorito la sessualizzazione dei costumi nell’Occidente nell’esatta misura in cui le sono stati contrari nei loro paesi. Un altro luogo comune dei giorni di oggi parla della fine del moralismo e dell’imperialismo vittoriano. Sarebbe più esatto parlare del loro trasferimento. La posizione comunista nel riguardo dell’Europa o dell’Occidente in genere ripete quella dell’Inghilterra ottocentesca nei riguardi dell’Asia (è facile pensare all’esempio della guerra dell’oppio). E qui, per riconoscere anche ai comunisti quella parte di ragione che possono avere, dobbiamo pensare alla distinzione tra il periodo ascensivo dell’industrializzazione che attualmente si compie nei paesi comunisti e quella del tardo capitalismo. Perciò anche i letterati distruttori del "moralismo ipocrita" e rivendicatori della "normalità" dell’attività sessuale libera, sono di fatto prigionieri del giuoco comunista. Pende su di loro la possibilità dell’accusa, realmente verissima e incontestabile dal punto di vista sociologico, di rappresentanti della borghesia decadente. Per altro verso la loro sicurezza e prosperità sono garantite dai servizi che rendono così alla nuova borghesia — lo si è già visto — come al comunismo. "Utili idioti" sono stati spesso detti; direi piuttosto "servi non sciocchi", pur sottolineando servi; per il modo in cui mostrano di saper attendere ai loro interessi. Si sa infatti quanto poco la Russia gradisca che partiti comunisti, in altri paesi, assumano il potere per propria forza rivoluzionaria. Gli esempi dei loro rapporti con la nazione primogenita non sono incoraggianti. Assai meglio una situazione in cui la disgregazione di tutti i principi etici e religiosi capaci di fondare una resistenza valida sia tale da non rendere possibile sul piano politico che un governo fantoccio, subordinato di fatto. I compagni di strada, addetti alla disgregazione, hanno saputo provvedere bene anche alle forme assicurative per il loro futuro.
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In questo esame, necessariamente sommario, ma tuttavia, per quel che mi pare, abbastanza preciso, delle motivazioni intellettuali e politiche che hanno favorito il successo di un’offensiva erotica, già teorizzata ma fallita nel primo dopoguerra, ho creduto di dover dare particolare rilievo a un pressoché ignorato documento surrealista. Ciò perché sono stati i surrealisti quasi i soli ad avere inteso questa verità fondamentale che la battaglia decisiva contro il cristianesimo non poteva essere condotta che sul piano della rivoluzione sessuale; che perciò il problema della sessualità e dell’erotismo è oggi dal punto di vista morale, il problema fondamentale.
Possiamo a questo punto render ragione di alcuni mostruosi errori, che portano a far pensare alla presente esplosione erotica come a un fatto irreversibile.
Il primo è quello secondo cui l’erotismo sarebbe un aspetto essenziale e ineliminabile della società tecnologica, o opulenta, caratterizzata come essa è dall’incremento, attraverso il sempre progrediente dominio della natura, della vitalità. Si passa di qua al giudizio, purtroppo diffuso in non trascurabili ambienti religiosi, che il cristianesimo deve riformarsi per adeguarsi al nuovo tipo di società; o addirittura che l’elemento ascetico era estraneo al cristianesimo primitivo, ma gli provenne dal contagio gnostico; dal che è facile passare, giocando sui termini, che gli era estranea la "negazione del sesso" (il che può anche esser vero, ma se inteso in un determinato senso), per cui sarebbe conciliabilissimo con la rivendicazione presente della sessualità; che bisogna metter da parte, sempre come aggiunta gnostica, il dogma del peccato originale, ecc.
Ora, è verissimo che l’erotismo è essenziale alla società opulenta, in quanto essa è misurata idealmente dallo scientismo; ma non è stato il progresso della tecnica a determinare per sé i caratteri della società che si suol chiamare tecnologica. Essi dipendono invece da quell’interpretazione della storia contemporanea che si è tracciata, secondo cui tutti i valori tradizionali sarebbero definitivamente tramontati: interpretazione affatto aprioristica, e che sempre meno resiste alla critica.
Da questo, che possiamo dire giudizio "colto", passiamo a un altro che appartiene al tipo delle banalità convenzionali, purtroppo diffuse e presentate come evidenze incontestabili. Lo riporto nei termini in cui l’ho letto in un articolo di giornale11, dedicato a una manifestazione contro l’erotismo avvenuta a Parigi: la reazione antierotica sarebbe "un movimento impetuoso quanto ingenuo che accettando la società dei consumi, pretende di proibire in nome della morale un oggetto di consumo corrente come il sesso commercializzato in film, spettacoli teatrali, pubblicazioni, libri e dischi". Qui si pretende che l’ondata erotica sia semplicemente una diffusione quantitativamente maggiore della pornografia: in tutti i campi si consuma di più, dunque... No: quel che è cambiato è il giudizio di valore; con l’erotismo è affermato come valore quel che fino a ieri era tenuto per disvalore.
C’è poi un giudizio pronunciato da alcuni intellettuali in cui par di sentire un’eco (quanto alterata!) del pensiero crociano. Col comportamento odierno si sarebbe segnato un progresso perché la sessualità sarebbe stata definitivamente riportata sul piano, moralmente neutrale, dell’economico e del vitale; in modo che di morale si dovrebbe parlare solo per compiti più alti.
Si può commettere un più grave errore di fatto? È dell’essenza dell’erotismo il non riconoscere un posto del "morale" al di là del "vitale", o di riassorbire totalmente il "morale" nel "vitale".
Ma quale fu l’atteggiamento dei "custodi" della tradizione; intendendo per tradizione non già la conservazione di un passato, ma il riconoscimento di un ordine di valori eterni e metafisici, tali perciò che debbano essere consegnati e trasmessi di generazione in generazione? Dunque, dei rappresentanti del pensiero religioso, e in particolare della Chiesa cattolica? È necessario riconoscere che l’avvertimento dell’importanza e della novità del fenomeno fu piuttosto tardo e che anche oggi c’è molta confusione.
Si pensi quel che si vuole di J. De Maistre. La mia idea è che nelle sue tesi ci sia sempre un elemento di verità, quando esse vengano interpretate secundum quid: è questo secundum quid che nelle sue affermazioni costantemente manca e che dà loro l’aspetto di paradosso reazionario. Si consideri, ad es., questo suo passo: "Basta spegnere, o anche solo indebolire in una certa misura in un paese cristiano l’influsso della legge divina, lasciando sussistere la libertà che ne è derivata alla donna, e si vedrà presto degenerare quella libertà in se stessa nobile e commovente, in svergognata licenza. Le donne diventerebbero i funesti strumenti di una generale decadenza, che intaccherebbe in breve tempo le parti vitali dello stato. Questo andrebbe in cancrena e spargerebbe, nella sua dissoluzione, ignominia e terrore"12. Nell’aspetto in cui sembra sancire l’inferiorità della donna è certamente urtante. Ma se l’emancipazione della donna viene fatta coincidere con l’assoluta libertà sessuale, come oggi, è invece pieno di verità. La potenza della campagna di scristianizzazione attraverso l’erotismo, è dunque tanto maggiore in quanto fa leva sull’irreligione femminile ed è il mezzo più atto a provocarla.
Dire che il carattere di offensiva in grande stile contro la morale cattolica non fu percepito adeguatamente neppure nelle alte sfere religiose, è probabilmente essere nel vero. Forse perché intese, negli anni tra il ’45 e il ’60, soprattutto alla resistenza contro il comunismo, non avvertirono esse l’importanza dell’avanguardia letteraria e di tutta la filosofia soggiacente al processo da Sade al surrealismo (ed è anche vero che allora questo capitolo non appariva in nessuna storia della filosofia); e videro nelle manifestazioni che essa aveva nel romanzo e nello spettacolo, soprattutto un fatto di cattivo gusto o di commercio: ravvisarono la pornografia, laddove si trattava invece dell’erotismo.
Non vorrei parlare di quei cattolici nei cui occhi passa una luce d’estasi quando sentono pronunziare la parola "mondo", pronti come essi sono a giustificare ogni aberrazione, come protesta a un cattolicesimo di ascesi e di mortificazione; sicché qualsiasi aberrazione ha bisogno, per costoro, soltanto di essere consacrata e benedetta.
Alcune osservazioni sono necessarie. Una certa trascuranza in alcune zone del clero rispetto ai problemi dell’etica sessuale ebbe inizio col periodo della Resistenza. Alle virtù politiche veniva conferita una priorità totale rispetto alle private; e la castità e la purezza venivano spesso collocate dai nuovi cattolici tra quelle virtù private di minor conto su cui dalla Controriforma — solito oggetto d’accusa — in poi, si sarebbe troppo insistito. Che ciò avvenisse era in certo senso naturale e inevitabile; ci si metteva però su una via assai pericolosa, quella della divisione tra le virtù, a cui si è già accennato.
Il fenomeno restava allora limitato; ma si sa l’ampiezza che ha successivamente raggiunto. Tra coloro che si muovono nel suo orizzonte bisogna distinguere. Alcuni pensano a una nuova unificazione delle virtù che il processo storico avrebbe dissociato, attraverso una conciliazione tra cattolicesimo e comunismo, vista come unica via per guarire dai mali del secolo. Non è ora il caso di ripetere quanto questa prospettiva sia, a mio giudizio almeno, pericolosa e illusoria. Quel che ci importa dire qui è che essa porta a una veduta errata anche nel riguardo dell’erotismo presente. Secondo essa, il mondo non comunista (cioè, per tale giudizio, il mondo occidentale borghese di cui il cristianesimo sarebbe prigioniero) altro non offrirebbe oggi, né saprebbe offrire, che l’esperienza del vuoto; onde sesso e droga si offrirebbero ai giovani di oggi come le uniche vie per il recupero della vitalità. Tesi pericolosa, perché se ne potrebbe dedurre che ogni protesta contro l’ondata erotica è vana e inutile nella situazione presente; arrivando altresì a un atteggiamento di benevola indulgenza verso i suoi protagonisti, in quanto rappresenterebbero pur sempre una vitalità che potrebbe esser materia per un successivo impegno religioso e politico, mentre dall’altra parte militerebbero in generale anime fiacche o vanamente nostalgiche, o coprenti con l’insegna della moralità le loro inibizioni; materia predestinata per un regime di colonnelli. Ma soprattutto bisogna avvertire che si tratta di una tesi falsa: ho mostrato come la rivoluzione sessuale avvenga non già perché i giovani di oggi siano "vuoti", ma al contrario perché "pieni" di quei motivi ideologici che si son detti.
C’è però, ed è purtroppo più diffusa, una posizione assai peggiore, tale che con essa nessuna discussione è possibile: quella dei cattolici che pensano non già a una nuova conciliazione di virtù considerate sinora come essenziali, ma alla sostituzione delle une con le altre. Al cristianesimo ascetico, proprio di età definitivamente sorpassate, dovrebbe oggi sostituirsi un cristianesimo "secolarizzato", in cui la compiutezza delle virtù destinate al progresso della condizione umana abolirebbe ogni traccia delle virtù rassegnate e mortificanti (pensate di fatto, anche se non si osa dirlo esplicitamente, come "repressive"). Sempre sulla Stampa del 28 gennaio leggo che al comizio antipornografico di Parigi furono distribuiti, in polemica contro gli oratori, manifesti dei cattolici di sinistra di Témoignage Chrétien: "Perché non protestate contro la dignità umiliata dei vietnamiti, dei negri americani, dei torturati greci, degli scioperanti arrestati? Perché vi occupate soltanto di battaglie inutili?" È un testo estremamente significativo. Infatti: 1) dire che la battaglia contro pornografia ed erotismo è inutile, significa ammettere che non sono censurabili moralmente; il che importa che al cattolicesimo di oggi si imponga una "nuova considerazione della sessualità"; ma questa nuova considerazione non potrebbe non coincidere, come si è visto, con la liberalizzazione totale, dunque con l’esatto rovesciamento della tradizionale posizione cattolica; 2) la battaglia per i poveri e per i perseguitati e quella contro l’erotismo sono messe in alternativa, in modo che la seconda appaia soltanto come un diversivo conservatore, ciò in perfetta coerenza, e come conferma della discriminazione tra le virtù; 3) ora, curiosamente avviene, e quasi come auto-confutazione e pena di questa discriminazione tra le virtù, che ad essa segua la discriminazione tra gli stessi poveri e perseguitati: perché nessun accenno, infatti, ai cecoslovacchi, ai vietnamiti del sud, certamente minacciati di macello, ai tibetani, agli stessi biafrani, alla Chiesa del Silenzio? Evidentemente, per questi cattolici, i poveri e perseguitati tradizionalisti, e comunque non cari alle sinistre, cessano automaticamente di essere poveri e perseguitati. Si è tanto parlato della "falsa coscienza" delle destre; ora il discorso è esaurito, e si dovrebbe parlare della "falsa coscienza" di certe sinistre.
Una parola ancora su quella parte del laicato cattolico, che attende alle cose temporali e a cui si chiede la salvaguardia, nella democrazia, dei valori religiosi, e altresì — c’è bisogno di dirlo, tanto la parola è dissueta — della patria. Il fatto dell’avanzata pressoché senza ostacoli dell’erotismo, mostra quanto il cosiddetto realismo dei politici (soprattutto diffuso nel partito dei cattolici per un’abitudine secondo cui il politico dovrebbe occuparsi soltanto del benessere temporale ed essere esperto pressoché soltanto nelle arti della prudenza) si è dimostrato come non mai astratto e falso, e ciò perché mai nella storia hanno agito come oggi dei fattori che non sono economici, ma ideali.
Mi capita spesso di invidiare i non credenti: quanti argomenti non possono venir tratti dalla storia di oggi per convincersi che i cattolici sono una specie mentalmente inferiore? Impressionante è la loro corsa per adeguarsi al giudizio che i laici razionalisti portano sul cattolicesimo. Pure, non c’è giudizio che possegga, come l’anzidetto, i titoli per meritare il gran premio della banalità.
Basta, infatti, la riflessione più elementare per intendere che oggi si tratta di tutt’altro che non di variazioni nei riguardi di ciò che si riteneva offendere il sentimento del pudore. Quando — ed è il dato di fatto corrente — si asserisce che non c’è parola del vocabolario che non possa venire pronunciata, e, correlativamente, parte del corpo che non possa essere esposta al pubblico, purché non urti la sensibilità estetica (e in ciò il nudismo di oggi manifesta il suo carattere che è ben diverso dall’igienico, e in fondo abbastanza ingenuo naturismo), non c’è soltanto variazione nel comune senso del pudore; c’è una condanna, a suo modo morale, del pudore come anormale. Si parla infatti di rivoluzione sessuale; che non è affatto espressione esagerata e troppo ardita per designare qualcosa di più moderato e di più semplice: quell’"integrazione piena del sesso nella vita umana", di cui parlano, in termini del resto assai mal definiti e imprecisi, vari teologi; confondendo, con questa benevola interpretazione, le carte e le teste.
La maggior minaccia per l’intelligenza è rappresentata oggi dall’inflazione di carta stampata. I libri non si leggono, al più si scorrono, e poi si ripongono negli scaffali. Ora, tutto l’essenziale sulla rivoluzione sessuale è stato detto, quarant’anni fa, dal dottor Wilhelm Reich, in un libro che porta appunto questo titolo1; basta un giorno per leggerlo attentamente. E, quando lo si sia fatto, non ci si stupisce più dei costumi presenti nel regno di Danimarca, perché ne sono la piena attuazione; non ci si stupisce più delle proposte più avanzate, sino a quella del matrimonio degli omosessuali. Non si vanno più a cercare, o a discutere, le sentenze di Moravia sulla pornografia come fenomeno connesso a una società puritana: se non ci fossero puritani, non ci sarebbero neanche pornografi; se qualsiasi espressione erotica è "normale", ne viene che l’esistenza del pornografo è relativa a quella dell’anormale puritano; non c’è pornografo se non agli occhi del puritano; gran scoperta! Non ci si informa più attraverso le conferenze che vanno portando in giro gli Enzo Siciliano. E ciò non per avversione, psicologica o morale, ma per la semplice, doverosa cura di regolare il proprio tempo. La lettura del libro di Reich costringe infatti a situare gli scritti — abbiano la forma di romanzo o di saggio — di questi autori e dei tanti altri che è superfluo nominare, come lavori letterari (lavori, cioè, appartenenti a quel genere che è l’industria culturale), o come illustrazioni — alla lettera — delle opere dell’eterodosso, rispetto all’indirizzo psicanalitico ufficiale, psicologo austriaco. Chi correda di illustrazioni e di esempi sensibili le opere altrui, non discute, e perciò non merita di essere discusso. Può benissimo darsi che le idee le abbia trovate da sé, o colte nell’aria; ma l’attenzione deve essere rivolta a chi le ha enunciate per primo, e soprattutto lo ha fatto in forma organica e coerente.
Il Reich, morto quasi del tutto dimenticato in un penitenziario americano nel 1957, allora condannato dall’ancor morale America, poi riscoperto dai vari movimenti beat e hippy, appartiene a quello che negli anni tra il ’20 e il ’30 si autodefinì come movimento di liberazione europea, sorto in dipendenza della rivoluzione russa; ma alle categorie della borghesia e del proletariato, sostituì quelle degli assertori della morale repressiva (l’uso della parola repressione, nel complessivo significato che ora le si annette, ha in lui le sue origini) e degli assertori della libertà sessuale; solo questa sostituzione e il conseguimento della felicità sessuale avrebbero portato alla scomparsa dello spirito autoritario e a un internazionalismo senza compromessi.
Gli insegnamenti che possiamo trarre dalla sua rivoluzione sessuale sono molti ed estremamente importanti.
Merita di essere osservato, anzitutto, come le idee per l’assoluta libertà sessuale fossero state già compiutamente formulate negli anni tra il ’20 e il ’30. Non ebbero fortuna nel decennio successivo: da una parte, per motivi che ora è inutile indagare, trovarono opposizione nei regimi totalitari, nel fascismo come nel nazismo, come nello stalinismo; dall’altra non potevano trovare udienza nell’antifascismo, inteso allora a opporre i valori spirituali all’esaltazione degli elementi vitali e tellurici. Ebbero una ripresa, pressoché inosservata agli inizi, ma continua e progressiva, dopo il ’45; esplosero, dopo il ’60 nella forma e con l’intensità che sappiamo; non certo per influenza diretta del pensiero del Reich, che fu soltanto riscoperto, ma per le ragioni che si diranno.
La rigorosa coerenza del libro mostra come non siano possibili compromessi tra la morale tradizionale, intesa nella sua integralità e senza alterazioni, — con riconoscimento pieno, cioè, delle sue premesse prime, e proprio per questo senza unilaterali accentuazioni di certi aspetti — e la liberalizzazione sessuale. Dobbiamo perciò dire che, a parte la forma espressiva e il giudizio valutativo, che per me naturalmente è l’opposto, il Reich ha piena ragione nello scrivere che "la concezione del desiderio sessuale inteso al servizio della procreazione è un mezzo di repressione della sessuologia conservatrice. È una concezione finalistica e dunque idealistica. Presuppone dei fini che devono essere necessariamente di origine sovrannaturale. Reintroduce un principio metafisico e perciò tradisce un pregiudizio religioso o mistico". Possiamo tradurre, in termini appena diversi: ci sono nella storia, come costanti, due strutture tipiche in eterno conflitto: la morale, che in ultima analisi suppone un fondamento metafisico-trascendente, anzi soprannaturale; la libertina, che, negati questi fondamenti, deve vedere la piena esplicazione della vita nella "felicità sessuale", posta come fine a se stessa, e quindi liberata dall’idea di riproduzione. Se si vuol parlare di un merito del Reich è di aver portato il giudizio pratico di tipo libertino alle sue conseguenze ultime.
Premessa infatti del pensiero del Reich, naturalmente data come incontestabile senza il minimo accenno di prova, è che non esiste nessun ordine di fini, nessuna autorità metempirica di valori. Ogni traccia, nonché di cristianesimo, di "idealismo", nel più largo dei significati, o di fondamento dei valori di una realtà obiettiva, quale sarebbe per Marx la storia, è cancellata. A che cosa si riduce, dunque, l’uomo, se non a un insieme di bisogni fisici? Quando essi siano soddisfatti — quando, insomma, sarà rimossa ogni repressione — egli sarà felice. Viene in mente la frase di Nietzsche sui socialisti: "ammiccano perché hanno inventato la felicità". In pochi scrittori come nel Reich è tipico il carattere dell’"inventore della felicità".
Tolto ogni ordine di fini e cancellata ogni autorità di valori non resta che l’energia vitale identificabile, già secondo un’antica e del resto difficilmente contestabile asserzione, con la sessualità. Dunque, nucleo della vita sarà la felicità sessuale; poiché il pieno appaiamento sessuale è possibile, la felicità è dunque raggiungibile. Attraverso l’assoluta, illimitata libertà sessuale, l’uomo si libererà dalle nevrosi e diventerà pienamente capace di lavoro e di iniziativa. La sua struttura psichica sarà mutata e sarà reso altresì libero dalle tendenze militari e aggressive e dalle fantasie sadiche, tipiche — come l’esempio dello stesso Sade dimostrerebbe — dei repressi.
Ma qual è l’istituto sociale repressivo per eccellenza? Per il Reich la famiglia monogamica tradizionale; e, dal suo punto di vista, non si può certo dire abbia torto. L’idea di famiglia è infatti inseparabile dall’idea di tradizione, da un patrimonio di verità da tradere, da consegnare. L’abolizione di ogni ordine metempirico di verità importa quindi che la famiglia venga dissolta; nessuna considerazione meramente sociologica può autorizzare il suo mantenimento.
Di qui le conseguenze che non potrebbero, nel suo libro, esser dettate a lettere più chiare. Il rovesciamento di quella "struttura umana che esiste sotto forma di quella che è chiamata tradizione" non potrebbe essere più completo; forse un lontano analogo si può trovare nelle utopie di uno degli scrittori più rappresentativi del libertinismo seicentesco, Cyrano de Bergerac. Una ragazza che a diciottanni sia ancora vergine deve essere condannata alla vergogna. Ciò di cui una ragazza adolescente ha bisogno è "di una camera tranquilla, di antifecondativi adatti, e di un amico capace di fare all’amore, che abbia cioè una struttura sessuo-affermativa; di genitori comprensivi e di un ambiente sociale affermatore del sesso"2. La nudità totale deve essere incondizionatamente accettata e favorita; la pubblicità degli accoppiamenti sessuali deve essere permessa. Non si ha diritto di proibire al proprio partner altre relazioni sessuali durevoli: principio che oggi vien detto "piena libertà di scambio fra coppie di coniugi" e "libertà totale per le esperienze sessuali di gruppo". Nulla permette di criticare le unioni omosessuali. L’educazione sessuale deve essere intesa come rimozione di tutti quei complessi atavici che portano a vedere nell’astinenza un valore, ecc.
Domandiamoci, ora: che cosa c’è di nuovo, nel riguardo di queste idee, in quella che si suol chiamare morale scandinava? Che cosa c’è di nuovo in certe manifestazioni della contestazione giovanile (non in tutte, neanche nelle forme più eversive; perché certamente Mao non è Reich, e non lo è neanche Marcuse), in cui gli studenti (e, per quel che ho letto, anche quelli di una facoltà tedesca di teologia protestante) chiedevano il permesso di ricevere le loro compagne nelle stanze personali dei loro collegi? O, addirittura, (come a Nanterre nel famoso maggio) dell’accoppiamento libero nei corridoi; domanda che non poteva non ricevere l’appoggio di un molto conformista professore, che per piena coerenza al conformismo, nell’attesa di conformarsi alla parte vincente, decise di firmare il suo scritto con uno pseudonimo.
Ancora: "la religione non sarebbe combattuta, ma non si tollererebbero interferenze con il diritto di trasmettere alle masse le scoperte delle scienze naturali e con i tentativi per assicurare la felicità sessuale. Allora si vedrebbe ben presto se la Chiesa ha ragione o meno di sostenere l’origine soprannaturale dei sentimenti religiosi". Che cosa propone oggi il fondatore di un Deutsche Sex Partei (il giornalista amburghese Driessen) se non la "verifica della legittimità costituzionale della Chiesa cattolica in merito ai limiti che pone alle libertà sessuali"? Si noti: la Chiesa è tollerata soltanto nei limiti in cui non si pronuncia nel riguardo delle tesi morali derivate da una scienza intesa come l’unica forma valida di conoscenza! Deve assistere, senza avere neppure il diritto di deplorarla, a una nuova morale sessuale prescritta dalla scienza (e per la verità, da uno scienziato, perché il Reich ammette la sua posizione come affatto isolata tra i sessuologi del tempo), che, per un processo che va dalla pratica alla teoria, ne scardina completamente i princìpi. Perfettamente ha scritto di recente un valentissimo e troppo poco noto filosofo francese, Jean Brun, che "il grande Inquisitore, di cui Dostoevskij ci ha lasciato un mirabile ritratto, non è più un fanatico religioso, ma uno scienziato che possiede l’esclusiva della verità, di fronte a cui gli uomini debbono inginocchiarsi per non essere più gli schiavi dell’errore"3. Se anche lasciamo da parte la tesi del maggiore filosofo dell’emigrazione russa, Leone Chestov, secondo cui il tipo del grande Inquisitore dipenderebbe unicamente dall’essenza dello scientismo, anche se può avere storicamente assunto veste religiosa per l’intrusione della mentalità scientista nel campo della fede, resta sempre che esso è essenziale allo scientismo, e che le minacce, oggi del suo dominio, vengono dallo scientismo.
Ma c’è dell’altro. Se non vado errato, il Reich fu il primo a parlare di un nesso tra repressività sessuale e fascismo. Anche questa idea ha avuto fortuna: ho letto infatti tempo fa nella coperta del libro di tal Alberto Ellis, capo dei servizi di psicologia dello Stato del New-Jersey, che "i fascisti sessuali tendono ad essere altrettanto predominanti nei gruppi politicamente ed economicamente liberali, che tra i bigotti e i reazionari sociali". Se l’espressione non ha avuto sinora troppa circolazione — i sessuologi scientisti dovrebbero affrontare al proposito il dibattito con gli storici, ed è dibattito a cui sono poco attrezzati — ciò non toglie che l’idea sottenda molti giudizi correnti; è facile rintracciare al fondo di molti discorsi la persuasione della corrispondenza tra società democratica e completa libertà sessuale. Non è certo un caso che i più avanzati sostenitori, tra di noi, della "sessualizzazione dei costumi" affermino che si tratta di liberare l’Italia da quei livelli di oscurantismo, che porterebbero i rappresentanti dei paesi più civili ad accostarla a Spagna, Portogallo e Grecia, e che sono al fondo dei permanenti pericoli di involuzione; e che di recente siano scattati in nome di "un comitato rivoluzionario contro la repressione" esattamente i tre più noti rappresentanti italiani della lotta per la liberazione dai tabù sessuali, Moravia, Maraini, Pasolini.
Da quel che sinora si è visto, il Reich non è affatto un propagandista del libero amore e dell’igiene sessuale come tesi isolata; è invece un pensatore che coglie esattamente tutte le implicazioni delle tesi della libertà sessuale, e definisce con precisione tutte le negazioni che essa comporta nel campo metafisico-religioso. Non arriva a scrivere, nonostante tutto il suo antinazismo, che "il misticismo nazista del montare del sangue, e della fedeltà al sangue e alla terra", benché sia stato soffocato nella mistificazione e in una politica reazionaria, "fu un progresso in paragone del concetto cristiano del peccato originale" e che l’avversione al nazismo non deve portare a preferire l’insegnamento della teoria del peccato originale a quella del "montare del sangue" che dovrà essere guidata "verso altri, positivi canali"?4. La sequenza: famiglia-tradizione-ordine oggettivo di valori e di fini, è stata da lui colta perfettamente. E se si oppongono rigorosamente le idee di "tradizione" e di "rivoluzione", non c’è dubbio che mai questa opposizione sia stata portata così avanti come da lui e che abbia ragione nello scrivere che non soltanto la rivoluzione comporta un mutamento nella considerazione dei rapporti sessuali, ma che sia anzitutto "rivoluzione sessuale".
È strano come le idee dell’inventore scientista della felicità abbiano oggi trionfato, senza sua diretta influenza, non soltanto nel costume, ma in una larghissima parte dell’opinione politica occidentale. Consideriamo, infatti, quanto egli scriveva nella prefazione alla terza edizione della Rivoluzione sessuale, 1944, dopo la sua delusione nei riguardi del comunismo russo: "Non è questione di lotta di classe fra proletariato e borghesia come vorrebbe farci credere una meccanicistica sociologia teoretica. No: singoli lavoratori con una struttura caratteriale capace di libertà lottano contro singoli lavoratori con una struttura autoritaria; membri degli strati sociali più elevati con una struttura capace di libertà si battono per i diritti di tutti i lavoratori contro i dittatori che, sia detto per inciso, provengono dal proletariato. La Russia sovietica, che deve la sua esistenza a una rivoluzione proletaria, è oggi, nel 1944, reazionaria in fatto di politica sessuale, mentre l’America, con il suo background di rivoluzione borghese, segue una politica sessuale per lo meno progressista. Le concezioni sessuali del XIX secolo, con le loro definizioni puramente economiche non si applicano più alla stratificazione ideologica che noi osserviamo nelle lotte culturali del XX secolo. Le lotte sociali di oggi, per ridurle alla formula più semplice, si verificano tra interessi che salvaguardano e affermano la vita da un lato, e interessi che la distruggono e la reprimono dall’altro"5. È chiaro che quella che oggi si chiama sinistra si batte sempre meno in termini di lotta di classe, e sempre più in termini di "lotta contro la repressione", pretendendo includere la lotta per la causa del progresso economico delle classi meno abbienti in questa lotta più generale, come se fossero indissolubili.
Sarebbe tema da trattare se per questa via postcomunista sia possibile sfuggire alle proposte del Reich; uno sguardo alle idee dei suoi intellettuali laici sembra disporre a una risposta negativa; ma anche per i cattolici, la posizione di sinistra e l’abbandono, o la limitazione enunciata in termini che non possono essere sostanzialmente contraddittori, delle antiquate posizioni rispetto al sesso sembrano coincidere.
Un comunismo rigorosamente ortodosso continuerebbe certo a vedere, come nel periodo staliniano, nelle idee del Reich e nelle sue attuazioni, un fenomeno di borghesia decadente; tuttavia, i partiti comunisti occidentali non sono affatto entrati in guerra contro la nuova morale sessuale, e hanno anzi tenuto a distinguersi nella lotta contro ogni forma di censura. Non soltanto la nuova sinistra si è sessualizzata, ma i partiti comunisti occidentali le si sono, sotto questo riguardo, subordinati. Come questo sia avvenuto per una profonda motivazione ideale, sarebbe argomento di estrema importanza, ma la via per trattarlo troppo lunga.
* * *
Siamo arrivati alla conclusione, solo in apparenza paradossale, che il precursore degli aspetti deteriori e più pericolosi così del costume come della politica di oggi fu il dottor Reich. Si tratta di un paradosso solo apparente perché il suo fu il primo tentativo coerente di una psicanalisi rivoluzionaria, e Freud e Marx continuano a essere i numi tutelari della situazione presente; e la sinistra attuale è precisamente caratterizzata dal non voler rifiutare né Freud né Marx.
Negli anni intorno al Trenta le sue idee furono però respinte così dagli psicanalisti come dai marxisti. Per Freud era incontestabile che la civiltà poteva esistere solo grazie alla repressione e alla rinuncia agli istinti. Da vecchio positivista egli continuava a pensare che la morale corrente nel periodo tra il 1870 e il 1915 rappresentava il grado più alto dell’evoluzione; e che si trattava di rafforzarla, non di distruggerla. La psicanalisi — sono parole sue, citate dal Reich stesso — non significa affatto, per lui, cura della nevrosi attraverso il libero sfogo della sessualità; al contrario, la presa di coscienza dei desideri sessuali repressi, permettendone il controllo, è destinata "a liberare il nevrotico dai ceppi della sua sessualità". Ciò significava a giudizio del Reich che allo scienziato si era sovrapposto in Freud il filosofo borghese, e che ciò aveva alterato il senso della sua scoperta; e questa era una prospettiva che Freud non poteva chiaramente ammettere. Dal marxismo, poi, era separato da un vero e proprio abisso ideale. Per il marxismo c’è un fine che si deduce dal divenire storico; Marx, da hegeliano, pensava che l’assoluto non è al principio della storia, ma ne è il risultato. Per Reich, invece, c’è una primitività da cui ci si è allontanati attraverso la morale sessuofobica e a cui bisogna tornare reinserendo la civiltà nella natura. Ci sono già nella sua opera tutti gli elementi della recente rinnovata edizione del mito del buon selvaggio.
Tuttavia egli sperò di trovare un punto di concordanza col marxismo nella critica della famiglia. Nella fase precapitalistica, la famiglia aveva una radice economica. Con lo sviluppo dei mezzi di produzione si è verificato un mutamento nella sua funzione; la sua base economica fu sostituita dalla funzione politica; diventò così il pilastro delle strutture conservarne!. Tutti gli interessi autoritari e reazionari si coagulerebbero nella sua difesa. Solo diventando rivoluzione sessuale la rivoluzione marxista diventerebbe veramente rivoluzione totale.
Si sbagliava però completamente nella valutazione del marxismo teorico; come si è già detto, la tesi del fondamento oggettivo dei valori vieta al marxismo, almeno nella sua versione rivoluzionaria, di presentarsi come dottrina vitalistica dell’illimitata libertà sessuale; al contrario, è portato a vedere in questa libertà l’estremo momento dissolutivo e degenerativo della società borghese.
Questo carattere dovette poi accentuarsi a mano a mano che prendeva la fisionomia di rivoluzione russa, e che il carattere russo si sostituiva al marxista. Un tale processo importava quel momento di conciliazione con la tradizione, che permette alle rivoluzioni di riuscire e di non risolversi in processi dissolutivi. Di qui quel ritorno inevitabile, accentuato nel periodo staliniano, all’etica che il Reich chiama sessuofobica; ritorno che egli interpretò erratamente come richiesta di riabilitazione del comunismo nel giudizio del mondo morale. Di qui le sue speranze nell’America, dichiarate nella prefazione alla quarta edizione del suo libro, marzo 1949: "Assicuro il lettore che mi rendo anche pienamente conto delle tendenze reazionarie esistenti negli Stati Uniti. Ma qui, come in nessun altro posto è possibile battersi per la felicità e i diritti della vita" (sottolineatura sua). Purtroppo non si sbagliava, anche se la sua avventura americana finì col carcere.
Come le sue idee, indipendentemente da una diretta influenza (che continuò a essere scarsa, anche dopo la sua riscoperta; ho l’impressione che La rivoluzione sessuale sia un libro poco letto) hanno potuto avere un così spettacolare successo nell’ultimo decennio? Gli anni Sessanta si sono chiusi in Europa con le note manifestazioni di massa: maggio francese ’68, raduni dello scorso agosto e dello scorso dicembre, mostre danesi, invasione sempre maggiore della letteratura erotica in Germania, e anche in Italia films cosiddetti spinti, e riviste pornografiche che non sono però soltanto riviste pornografiche nel senso antico. I tempi in cui la contestazione del pudore era giudicata pornografia, nei cui riguardi si poneva il problema dei limiti della tollerabilità, sembrano ora lontanissimi. Oggi è invece il pudore che viene al più tollerato in persone inibite o legate a pregiudizi ancestrali; è qualcosa di cui ci si deve scusare in larga parte di quella società che suoi essere detta "bene". Chi dirà: "sono rimasto attaccato a una certa forma di morale tradizionale", potrà pensare di venir scusato perché si limita a constatare un fatto; ma guai se pretende elevare questo fatto a valore! Sarebbe interessante seguire la storia recente di questa "larghezza di vedute" nell’accettazione del vizio a partire dalla descrizione che Proust fa del Faubourg Saint-Germain. Si vedrebbe quanto siamo andati avanti in questo processo evolutivo. Ormai "lo scandalo" è condannato senza remissione. Naturalmente si trovano dei cattolici (non pochi) per cui questa condanna è segno di progresso nella carità; sempre il demoniaco si insinua contrapponendo delle verità e delle virtù che, scisse, diventano errori: in questo caso, la carità e il rispetto dell’ordine oggettivo dell’essere.
Per riassumere il già detto in formula complessiva, l’erotismo contemporaneo corrisponde a un’interpretazione della psicanalisi in forma di rivoluzione morale (trasformazione della _struttura psichica), assommante in sé il positivo delle precedenti rivoluzioni, la marxista inclusa. Ma come questa interpretazione già proposta e fallita nel primo dopoguerra, riuscì nel secondo? Una risposta esaustiva importerebbe l’analisi della situazione spirituale dal ’45 in poi, considerata negli aspetti che allora meno si imponevano all’attenzione e che si sono rivelati successivamente come i più profondi. Delineiamone le tracce essenziali.
Si dice comunemente che i primi anni del dopoguerra furono caratterizzati, nell’Europa occidentale, dalla glande paura del comunismo. Ciò è verissimo, ma non bisogna dimenticare che ad essa si accompagnava, meno espressa, un’altra grande paura, quella di un risveglio religioso. Certo, nulla di più diffuso, allora, della persuasione che "l’Islam del XX secolo" non potesse essere fermato senza il contributo decisivo delle forze religiose, in particolare cattoliche. Ma, d’altra parte, questa considerazione politica non si accompagnava affatto a un movimento ampio di conversione religiosa. Sorgeva perciò, in strati sociali vasti, il problema di trovare la forza capace di bilanciare nella società civile l’accresciuto potere politico dei cattolici.
Si aggiungeva a questo un altro fenomeno: l’idea che con la crisi segnata dal successo del fascismo e del nazismo nel continente europeo si fosse definitivamente consunta la vecchia Europa, nella sua stessa tradizione ideale rivelatasi ormai insufficiente rispetto alla realtà effettuale, in quanto incapace di opporre un valido argine all’incalzare della barbarie. Si formò, in altri termini, quell’atteggiamento che altrove ho chiamato di "millenarismo negativistico". Atteggiamento nuovo, perché le forme sinora conosciute di millenarismo, se dichiaravano la fine di un mondo ridotto a Babilonia, contenevano pure una promessa che si lasciava definire in termini sufficientemente precisi; mentre la recente non sapeva e non sa oltrepassare l’affermazione vaga del radicalmente nuovo, e anche quando cerca di enunciare positivamente degli ideali, sembra che li veda piuttosto come strumenti per negare che come valori da affermare.
Tale disposizione era naturalmente portata a una diffusione sempre più vasta a mano a mano che la nuova generazione succedeva alla vecchia, e che scomparivano gli uomini del mondo di ieri; sino a che, oggi, appare pensiero naturale e pressoché indiscusso. Il pensiero che la crisi segnata dalle guerre mondiali coinvolgesse non la tradizione, ma la forma che essa aveva assunto nel periodo laico-liberale, tra il 1870 e il 1914, restava bloccato dal corrente schema progressista, secondo cui nella storia nulla può essere stato perduto, e nulla di ciò che è stato considerato superato può essere riaffermato; e continua a essere bloccato, se anche qualche voce in contrario riesce oggi a farsi sentire.
Se consideriamo questi due atteggiamenti, così nell’eco che avevano e nelle forze che mobilitavano come nel loro comporsi, troveremo le ragioni del successo della rivoluzione sessuale.
Consideriamo anzitutto la posizione che dovevano assumere gli intellettuali più avversi al pensiero cristiano; e partiamo dai movimenti che, con termine generico, si soglion dire di avanguardia letteraria e artistica, e particolarmente da quello che ne rappresenta nei suoi manifesti la coscienza filosofica: il surrealismo.
Sarebbe errato considerare il surrealismo come un fenomeno meramente artistico, anziché come un atteggiamento totale di vita, diretto a rappresentare la pienezza dell’idea rivoluzionaria, nel suo aspetto primo, per cui vuol essere frattura radicale col passato e cominciamento di una nuova storia. Definita perciò dall’intenzione della creazione di una nuova realtà, in cui l’umanità, recuperando quel che aveva proiettato fuori di sé nella creazione di Dio (quei poteri da cui era alienata, per usare un linguaggio ormai abituale anche nei fogli più provinciali) raggiungerebbe la pienezza del suo potere; onde la stessa fraseologia che a tale forma di pensiero è abituale, uomo totale, surrealtà, superumanità, ecc.
Sotto questo riguardo il programma del surrealismo e quello del marxismo coincidono. La divergenza si stabilisce su questo punto, che mentre per il marxismo il cangiamento dell’uomo sarà il riflesso della rivoluzione sociale e politica, per il surrealismo si tratta invece anzitutto di "rifare l’intelletto umano", in conseguenza del qual cangiamento si avrà, alla fine, la società degli uomini liberi. La storia del surrealismo, sotto il riguardo etico-politico, è storia di questa affinità e di questa divergenza. Dalla prima adesione al comunismo che porta, nel ’30, a mutare il titolo della rivista La Révolution surrealiste in quello di Le surréalisme au service de la révolution, si passa al dissenso con lo stalinismo e alla ricerca dell’accordo con Trotzki; per concludere poi, nel ’47 a una separazione conseguente alla presa di coscienza del diverso carattere delle due posizioni rivoluzionarie. Ora, la dichiarazione di rottura è estremamente importante per l’accentuazione data, nel processo rivoluzionario, al momento sessuale.
È contenuta nel manifesto collettivo Rupture inaugurale, "dichiarazione adottata il 21 giugno 1947 dal gruppo in Francia per definire il proprio atteggiamento pregiudiziale nei confronti di qualsiasi politica partigiana", pubblicato in occasione della mostra internazionale del surrealismo, Parigi, 1947; è bene integrarne la lettura con quella del lavoro preparatorio di Henri Pastoureau Pour une offensive de grande style contre la civilisation chrétienne (il titolo è un bel documento della "grande paura" di una rinascita religiosa!), in cui le stesse tesi vengono dette in forma più articolata.
L’avversario secolare a cui la pienezza della rivoluzione copernicana dovrebbe dare oggi il colpo di grazia è il sistema cristiano che si sarebbe costituito intorno all’anno mille "quando gli elementi che sopravvivevano dell’insegnamento greco-latino, delle tradizioni celtiche e franche, degli apporti in Occidente degli arabi e degli ebrei, della riflessione dei dottori della chiesa primitiva e degli eresiarchi dei primi secoli e di un’iniziazione esoterica la cui origine è più lontana di quella della storia, si fusero in una lega abbastanza malleabile, perché S. Tommaso d’Aquino, modellandola un po’ più tardi, potesse farne l’espressione più perfetta della dottrina allora e poi universale"6.
Sinora questo vecchio quadro cristiano-tomista ha saputo trasformarsi infinite volte, così da sopravvivere alla successiva scomparsa delle varie classi sfruttatrici. Non può essere rovesciato dal mutamento dei rapporti economici. La rivoluzione borghese e il capitalismo hanno finito con l’accomodarsi in questa preesistente civiltà, non domandando alle istituzioni più antiche che di adattarsi alle nuove esigenze economiche senza per questo sparire. Il pericolo di subire la stessa sorte pende oggi sul marxismo; non vi si sottrae neppure la sua direzione più rivoluzionaria, la trotzkista. Se, infatti, leggiamo uno degli ultimi scritti di Trotzki, La loro morale e la nostra, vediamo come egli sia rimasto fedele alla tesi di Lenin secondo cui non ci sarebbe alcun limite morale per l’azione rivoluzionaria; non c’è separazione di fini e di mezzi, questi secondi essendo organicamente subordinati al fine che si deduce dal divenire storico; quindi ogni violenza, ogni stratagemma, ogni procedimento illegale, ogni dissimulazione e ogni inganno diventano leciti se pensati necessari al fine. È la tesi classica del marxleninismo, quella secondo cui la politica risolve in sé la morale; e sembrerebbe non poterci essere in sé negazione più radicale del codice morale tradizionale. I surrealisti osservano però che si pone la questione se questo amoralismo non possa consentire anche delle "pratiche regressive". È certo che la liceità comunista di trasgredire alla legge morale attuale debba sempre agire "nel senso del progresso"? Non può invece giustificare anche la collaborazione del partito comunista alla direzione dello stato borghese? Il gruppo surrealista guarda alla posizione che il partito comunista francese aveva nel 1947; certamente se avesse scritto il suo manifesto in Italia, avrebbe visto nel partito di Togliatti il modello insuperabile di questa deviazione. "Il termine finale dell’evoluzione storica, quello che segnerà la fine delle infelicità dello spirito, infine vittorioso sul suo passato, giustifica da solo gli atti degli uomini. Questo termine può giustificare solo dei mezzi che non compromettano l’evoluzione della legge morale, ed è proprio perché non crediamo alla fissità di questa legge — altrettanto assurda che la fissità della storia — che non accettiamo di lasciarci costringere a pratiche regressive, di cui la collaborazione politica col nemico di classe non è che l’aspetto generale, dietro il pretesto di preparare la rivoluzione proletaria.
In altri termini, accetteremo sempre di trasgredire la legge morale attuale, ma solo in direzione del progresso"7. Non si tratta certo di dichiarazioni occasionali se il pensiero del maggior teorico del surrealismo, André Breton, poteva, ancora alla vigilia della morte, venir riassunto nel programma che segue: "Rovinare definitivamente l’abominevole nozione cristiana del peccato, della caduta originale, dell’amore redentore, per sostituirgli con tutta certezza quella dell’unione divina dell’uomo e della donna... Una morale basata sull’esaltazione del piacere spazzerà presto o tardi l’ignobile morale della sofferenza e della rassegnazione, mantenuta dagli imperialismi sociali e dalla Chiesa. Alla tirannia dell’uomo dovrà sostituirsi... un regno della donna..."8.
La risposta dei marxisti di allora era che si trattava di una collaborazione provvisoria, allo scopo di rendere possibile la rivoluzione economica. Facilmente rispondevano i surrealisti che non vi era alcuna certezza del decisivo contraccolpo morale della rivoluzione economica; niente garantiva, anzi tutto portava a escludere che il debellamento dell’ordine cristiano ne sarebbe stato il risultato automatico. La storia insegna piuttosto che i costumi mutano con estremo ritardo rispetto alle trasformazioni economiche e che il processo di sviluppo morale non comporta soltanto termini economici: "La dottrina morale del cristianesimo sancita in tutti i paesi civili da un comune e costante diritto profano, si esprime nel Decalogo, che resta l’essenza della rivelazione mosaica; i marxisti dovrebbero dedurne nel campo dell’economia da quando Mosè è stato chiamato sulla vetta del Sinai".
Coerentemente il manifesto conclude: "ritorniamo ai costumi, oggetto delle nostre preoccupazioni più costanti; sarebbe assurdo contare solo sulla rivoluzione politica per mutarli... Questi teorici (i successori di Marx) non hanno mai denunciato la morale attuale se non quando, nel farlo, intravedevano un vantaggio politico immediato. Sade e Freud, al contrario, hanno aperto la strada. Qualunque sia la dottrina che deve succedere al cristianesimo, vediamo in Sade e in Freud i precursori designati della sua etica"9.
Questo documento ormai lontano rappresenta il passaggio del surrealismo — e possiamo dire dell’avanguardia in genere — all’anticomunismo? Così fu interpretato allora dalla maggior parte dei non molti che se occuparono.
In realtà, nulla di più inesatto. In esso l’avanguardia prendeva coscienza di quella che doveva essere la sua vera posizione nei riguardi della politica per conformità alla natura della sua idea rivoluzionaria; e neppure giudicava errata la proposta comunista, ma soltanto inadeguata; il marxismo doveva essere completato moralmente con Sade e con Freud e su questa morale si sarebbe dovuto essere intransigenti, anche a costo di sacrificare l’efficienza politica. Nello scritto di Pastoureau è detto perché i surrealisti devono anche rifiutare di partecipare all’opposizione di sinistra al partito comunista, necessariamente destinata alla sconfitta perché non contesta il rapporto di politica e di morale, così come affermato da chi intende criticare, ma soltanto rifiuta di spingere alle conseguenze ultime la politica di astuzia e di stratagemma che deve risultarne. Perciò "i loro sforzi tenderanno a far riuscire le stesse rivendicazioni e ad accelerare la liberazione dell’uomo, ma attraverso altri mezzi".
Si può dire che oggettivamente questa separazione aveva di fatto il risultato di stabilire le condizioni di una collaborazione possibile per quel che riguarda l’azione comunista nel mondo occidentale attraverso la divisione dei compiti. L’avanguardia avrebbe agito sui "costumi" e scardinato nella coscienza dei borghesi quei principi sui cui era costituita la famosa "diga" (così si diceva allora; oggi si tende a dimenticare persino il termine) contro il comunismo. Il comunismo avrebbe seguito la sua via di ricerca di potere, liberato dal problema arduo di pronunciarsi nei riguardi della morale tradizionale. Non è però questo il punto essenziale. Ciò che ora importa è sottolineare come partito da Sade, il surrealismo (e l’avanguardia in genere) ritrovasse, per un processo autonomo, l’idea del Reich sulla necessità di completare il marxismo con la nuova morale sessuale, al fine del successo della rivoluzione totale; e si riservasse come proprio compito quest’azione sui costumi attraverso l’arte. Questo compito è stato puntualmente eseguito: rispetto all’arte di avanguardia del primo dopoguerra qualche dubbio poteva sorgere (e trovò espressione anche in opere notevoli) sul suo carattere ateo o, anche se inconsapevolmente, mistico; ma è indubbio che, dopo il suo sviluppo nel secondo dopoguerra, non trova più alcuna ragione di essere.
* * *
Si può certamente osservare che il campo d’azione dell’arte di avanguardia è limitato e non può aver avuto un’azione decisiva nella rivoluzione di massa dei costumi. Ma passiamo a considerare l’aspetto per cui si ebbe l’impressione di una tradizione ormai definitivamente esaurita, consueta a quell’atmosfera millenaristica di cui si è detto. Il millenarismo imponeva l’obbligazione di una letteratura e di un cinema impegnati. Il negativismo ne determina il contenuto: quello di demitizzare, di lacerare le maschere, di demistificare, di denunciare l’alienazione; ed è persino inutile aggiungere qualsiasi eccetera, perché il programma non andava oltre queste quattro parole. Per confezionare prodotti rispondenti, nulla si presentava più adatto del materiale fornito dalla psicanalisi, visto nel suo aspetto dissacrante.
Il contrabbando dell’erotismo avveniva così all’insegna morale del demistificante e del "disalienante". Il fatto nuovo dell’"industria culturale" assimilava le opere letterarie a "prodotti" destinati al "consumo"; conformi perciò al gusto che già un certo diffuso giudizio storico-politico, subìto piuttosto che pensato, predeterminava. Ma perché la tradizione su cui l’Europa si era formata era quella di un ordine oggettivo dei fini e dell’autorità metempirica dei valori, questa letteratura progressiva demistificante portava esattamente, per l’atteggiamento che assumeva rispetto ai valori tradizionali, alla nuova morale sessuale, per quel processo che già si è illustrato.
Passiamo ora alle forme più elevate della cultura laica. All’insegna della politica della cultura si costituì, in contrapposto alla repubblica politica, una repubblica delle lettere — per usare il linguaggio illuminista — con ben più gravi e pesanti interdetti. Il programma era quello di una continuità illuministica tra liberalismo e comunismo, esigente una reciproca riforma. Ora, tale riforma importava che il liberalismo, per cessare di essere borghese, nel senso corrente, ritrovasse l’antitradizionalismo illuminista, accentuandolo in modo da evitare quegli aspetti per cui l’illuminismo aveva ceduto al romanticismo; ma in tale accentuazione era inevitabilmente inclusa l’abolizione dei divieti, o come oggi si usa dire, con espressione talmente abusata che non si vorrebbe ripeterla, tabù sessuali, quando anche i loro promotori non se lo proponessero. Se Gramsci pensava di procedere da Croce a Marx, la nuova borghesia illuminata intendeva invece andare da Marx a Diderot; ma ci si può fermare a Diderot, o non si deve invece, imboccata questa via, procedere verso Sade?
Così nel campo dell’intellettualità laica, l’arte di avanguardia, l’industria culturale, e la politica della cultura dei filosofi e degli storici giungevano, intenzionalmente o meno, consapevolmente o no, a unirsi nel riproporre i temi della nuova morale sessuale. Rispetto all’intenzione e al grado di consapevolezza, certamente la minore era quella dei filosofi e degli storici, anche se alcuni di essi abbiano certamente avvertito il pericolo, e tentato di fermarsi, e anche detto cose acute; ma, fermarsi, in che maniera?
Consideriamo i fatti. Nell’accettato crollo della tradizione metafisico-religiosa, restava, àncora di salvezza dell’umanità, simbolo della modernità e pilastro della civiltà nuova, soltanto la scienza. Ma la scienza, almeno nella sua accezione moderna, studia il reale come sistema di forze, non di valori; fornisce strumenti, non determina fini. Nella prospettiva secondo cui la scienza è l’unica forma di conoscenza valida, l’unico fine di cui si possa parlare, è l’incremento della vitalità. Dispiace citare ancora una volta il dottor Reich, la cui tesi veniva ancora una volta riscoperta: non è certo un gran pensatore, ma ha il merito dei consequenziari, di coloro che accettano uno sbocco aberrante, ma inevitabile, a cui studiosi più ricchi di umanità cercano invano di sottrarsi. La rivoluzione sessuale è effettivamente il punto d’arrivo dello "scientismo".
La storia non è certo soltanto storia degli intellettuali, ma la nuova borghesia per le sue stesse origini recenti, per i traffici da cui era emersa, generalmente indipendenti o contrari ai valori tradizionali, per la mentalità radico-massonica a cui era legata sin dagli inizi del suo predominio, era esposta alla grande paura della rinascita religiosa. Raramente era avvenuto che essa si sentisse così solidale con le proposte degli intellettuali. Facilmente ravvisò nel sesso l’arma che poteva essere usata, per arginare il predominio cattolico. Il sesso presentava infatti allora delle garanzie contro l’accusa in cui, a quel tempo, tutte sembravano assommarsi; la moralità tendeva infatti a confondersi in quegli anni lontani con l’antifascismo, come se nel fascismo, e particolarmente nel nazismo, si fosse condensato tutto il male; e nel riguardo dell’etica sessuale i fascismi si erano in generale presentati come difensori delle vedute tradizionali.
Ancora più propenso all’accettazione della nuova etica si dimostrava il neocapitalismo, che nella largo-diffusa felicità sessuale poteva vedere un validissimo argine contro i pericoli rivoluzionari; o anzi contro ogni forma eversiva di destra come di sinistra. Ricordiamo ancora la sostituzione, affermata dal Reich, della "lotta contro la repressione" alla lotta di classe. Nel novembre 1944 gli accadde, nel chiarire il suo pensiero al riguardo, di scrivere: "La questione fondamentale sociale non è più: sei ricco o povero; ma, sei per la difesa e la maggior libertà possibile della vita umana, e combatti per esse? Fai, praticamente, tutto quanto è in tuo potere affinché le masse dei lavoratori raggiungano una tale indipendenza di pensiero, di azione, e di vita da rendere del tutto naturale, e in un futuro non troppo lontano, la completa autoregolazione della vita umana"?10. Ciò praticamente significa che nella società successiva alla rivoluzione sessuale, le disuguaglianze economiche, pur nel benessere universale, possono continuare a sussistere; su questo punto la rivoluzione sessuale può benissimo accordarsi con le idee dei teorici della società del benessere. È noto come il vecchio radicalismo, espressione politica della vecchia borghesia, contrapponesse all’avanzata socialista il diversivo anticlericale; con perfetta analogia il nuovo radicalismo, espressione della borghesia nuova, è portato a contrapporre all’avanzata comunista il diversivo sessuale. A ben guardare c’è una continuità nella storia del radicalismo, dall’anticlericalismo all’anticristianesimo.
Resta da vedere come il progresso della rivoluzione sessuale abbia coinciso con quello della socialdemocrazia. I paesi scandinavi sono quelli in cui la socialdemocrazia è al governo da più lungo tempo; la scomparsa di ogni traccia della mentalità vittoriana ha coinciso in Inghilterra col successo del laburismo; l’avanzata dell’erotismo in Germania è in rapporto diretto col progresso socialdemocratico. Dobbiamo pensare, per spiegare questo, alle due anime compresenti nella socialdemocrazia, la moralistico-kantiana e la scientistico-positivistica. All’eclissi della morale kantiana soprattutto in quella forma di morale autonoma, cara a una notevole parte degli intellettuali socialdemocratici, non poteva perciò non conseguire il sopravvento dello scientismo; e, in effetti, i paesi ricordati sono pure quelli in cui il nuovo scientismo ha oggi maggior diffusione. Non si vuol con ciò dire che vi sia un vincolo necessario tra socialdemocrazia e liberalizzazione sessuale; ma che la socialdemocrazia non ha ancora compiuto quella revisione ideale qual pure le si presenterebbe come necessaria, e che, per la verità, non sembra molto incline a compiere.
Quanto all’atteggiamento che doveva essere assunto dai comunisti, la risposta è facile: hanno favorito la sessualizzazione dei costumi nell’Occidente nell’esatta misura in cui le sono stati contrari nei loro paesi. Un altro luogo comune dei giorni di oggi parla della fine del moralismo e dell’imperialismo vittoriano. Sarebbe più esatto parlare del loro trasferimento. La posizione comunista nel riguardo dell’Europa o dell’Occidente in genere ripete quella dell’Inghilterra ottocentesca nei riguardi dell’Asia (è facile pensare all’esempio della guerra dell’oppio). E qui, per riconoscere anche ai comunisti quella parte di ragione che possono avere, dobbiamo pensare alla distinzione tra il periodo ascensivo dell’industrializzazione che attualmente si compie nei paesi comunisti e quella del tardo capitalismo. Perciò anche i letterati distruttori del "moralismo ipocrita" e rivendicatori della "normalità" dell’attività sessuale libera, sono di fatto prigionieri del giuoco comunista. Pende su di loro la possibilità dell’accusa, realmente verissima e incontestabile dal punto di vista sociologico, di rappresentanti della borghesia decadente. Per altro verso la loro sicurezza e prosperità sono garantite dai servizi che rendono così alla nuova borghesia — lo si è già visto — come al comunismo. "Utili idioti" sono stati spesso detti; direi piuttosto "servi non sciocchi", pur sottolineando servi; per il modo in cui mostrano di saper attendere ai loro interessi. Si sa infatti quanto poco la Russia gradisca che partiti comunisti, in altri paesi, assumano il potere per propria forza rivoluzionaria. Gli esempi dei loro rapporti con la nazione primogenita non sono incoraggianti. Assai meglio una situazione in cui la disgregazione di tutti i principi etici e religiosi capaci di fondare una resistenza valida sia tale da non rendere possibile sul piano politico che un governo fantoccio, subordinato di fatto. I compagni di strada, addetti alla disgregazione, hanno saputo provvedere bene anche alle forme assicurative per il loro futuro.
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In questo esame, necessariamente sommario, ma tuttavia, per quel che mi pare, abbastanza preciso, delle motivazioni intellettuali e politiche che hanno favorito il successo di un’offensiva erotica, già teorizzata ma fallita nel primo dopoguerra, ho creduto di dover dare particolare rilievo a un pressoché ignorato documento surrealista. Ciò perché sono stati i surrealisti quasi i soli ad avere inteso questa verità fondamentale che la battaglia decisiva contro il cristianesimo non poteva essere condotta che sul piano della rivoluzione sessuale; che perciò il problema della sessualità e dell’erotismo è oggi dal punto di vista morale, il problema fondamentale.
Possiamo a questo punto render ragione di alcuni mostruosi errori, che portano a far pensare alla presente esplosione erotica come a un fatto irreversibile.
Il primo è quello secondo cui l’erotismo sarebbe un aspetto essenziale e ineliminabile della società tecnologica, o opulenta, caratterizzata come essa è dall’incremento, attraverso il sempre progrediente dominio della natura, della vitalità. Si passa di qua al giudizio, purtroppo diffuso in non trascurabili ambienti religiosi, che il cristianesimo deve riformarsi per adeguarsi al nuovo tipo di società; o addirittura che l’elemento ascetico era estraneo al cristianesimo primitivo, ma gli provenne dal contagio gnostico; dal che è facile passare, giocando sui termini, che gli era estranea la "negazione del sesso" (il che può anche esser vero, ma se inteso in un determinato senso), per cui sarebbe conciliabilissimo con la rivendicazione presente della sessualità; che bisogna metter da parte, sempre come aggiunta gnostica, il dogma del peccato originale, ecc.
Ora, è verissimo che l’erotismo è essenziale alla società opulenta, in quanto essa è misurata idealmente dallo scientismo; ma non è stato il progresso della tecnica a determinare per sé i caratteri della società che si suol chiamare tecnologica. Essi dipendono invece da quell’interpretazione della storia contemporanea che si è tracciata, secondo cui tutti i valori tradizionali sarebbero definitivamente tramontati: interpretazione affatto aprioristica, e che sempre meno resiste alla critica.
Da questo, che possiamo dire giudizio "colto", passiamo a un altro che appartiene al tipo delle banalità convenzionali, purtroppo diffuse e presentate come evidenze incontestabili. Lo riporto nei termini in cui l’ho letto in un articolo di giornale11, dedicato a una manifestazione contro l’erotismo avvenuta a Parigi: la reazione antierotica sarebbe "un movimento impetuoso quanto ingenuo che accettando la società dei consumi, pretende di proibire in nome della morale un oggetto di consumo corrente come il sesso commercializzato in film, spettacoli teatrali, pubblicazioni, libri e dischi". Qui si pretende che l’ondata erotica sia semplicemente una diffusione quantitativamente maggiore della pornografia: in tutti i campi si consuma di più, dunque... No: quel che è cambiato è il giudizio di valore; con l’erotismo è affermato come valore quel che fino a ieri era tenuto per disvalore.
C’è poi un giudizio pronunciato da alcuni intellettuali in cui par di sentire un’eco (quanto alterata!) del pensiero crociano. Col comportamento odierno si sarebbe segnato un progresso perché la sessualità sarebbe stata definitivamente riportata sul piano, moralmente neutrale, dell’economico e del vitale; in modo che di morale si dovrebbe parlare solo per compiti più alti.
Si può commettere un più grave errore di fatto? È dell’essenza dell’erotismo il non riconoscere un posto del "morale" al di là del "vitale", o di riassorbire totalmente il "morale" nel "vitale".
Ma quale fu l’atteggiamento dei "custodi" della tradizione; intendendo per tradizione non già la conservazione di un passato, ma il riconoscimento di un ordine di valori eterni e metafisici, tali perciò che debbano essere consegnati e trasmessi di generazione in generazione? Dunque, dei rappresentanti del pensiero religioso, e in particolare della Chiesa cattolica? È necessario riconoscere che l’avvertimento dell’importanza e della novità del fenomeno fu piuttosto tardo e che anche oggi c’è molta confusione.
Si pensi quel che si vuole di J. De Maistre. La mia idea è che nelle sue tesi ci sia sempre un elemento di verità, quando esse vengano interpretate secundum quid: è questo secundum quid che nelle sue affermazioni costantemente manca e che dà loro l’aspetto di paradosso reazionario. Si consideri, ad es., questo suo passo: "Basta spegnere, o anche solo indebolire in una certa misura in un paese cristiano l’influsso della legge divina, lasciando sussistere la libertà che ne è derivata alla donna, e si vedrà presto degenerare quella libertà in se stessa nobile e commovente, in svergognata licenza. Le donne diventerebbero i funesti strumenti di una generale decadenza, che intaccherebbe in breve tempo le parti vitali dello stato. Questo andrebbe in cancrena e spargerebbe, nella sua dissoluzione, ignominia e terrore"12. Nell’aspetto in cui sembra sancire l’inferiorità della donna è certamente urtante. Ma se l’emancipazione della donna viene fatta coincidere con l’assoluta libertà sessuale, come oggi, è invece pieno di verità. La potenza della campagna di scristianizzazione attraverso l’erotismo, è dunque tanto maggiore in quanto fa leva sull’irreligione femminile ed è il mezzo più atto a provocarla.
Dire che il carattere di offensiva in grande stile contro la morale cattolica non fu percepito adeguatamente neppure nelle alte sfere religiose, è probabilmente essere nel vero. Forse perché intese, negli anni tra il ’45 e il ’60, soprattutto alla resistenza contro il comunismo, non avvertirono esse l’importanza dell’avanguardia letteraria e di tutta la filosofia soggiacente al processo da Sade al surrealismo (ed è anche vero che allora questo capitolo non appariva in nessuna storia della filosofia); e videro nelle manifestazioni che essa aveva nel romanzo e nello spettacolo, soprattutto un fatto di cattivo gusto o di commercio: ravvisarono la pornografia, laddove si trattava invece dell’erotismo.
Non vorrei parlare di quei cattolici nei cui occhi passa una luce d’estasi quando sentono pronunziare la parola "mondo", pronti come essi sono a giustificare ogni aberrazione, come protesta a un cattolicesimo di ascesi e di mortificazione; sicché qualsiasi aberrazione ha bisogno, per costoro, soltanto di essere consacrata e benedetta.
Alcune osservazioni sono necessarie. Una certa trascuranza in alcune zone del clero rispetto ai problemi dell’etica sessuale ebbe inizio col periodo della Resistenza. Alle virtù politiche veniva conferita una priorità totale rispetto alle private; e la castità e la purezza venivano spesso collocate dai nuovi cattolici tra quelle virtù private di minor conto su cui dalla Controriforma — solito oggetto d’accusa — in poi, si sarebbe troppo insistito. Che ciò avvenisse era in certo senso naturale e inevitabile; ci si metteva però su una via assai pericolosa, quella della divisione tra le virtù, a cui si è già accennato.
Il fenomeno restava allora limitato; ma si sa l’ampiezza che ha successivamente raggiunto. Tra coloro che si muovono nel suo orizzonte bisogna distinguere. Alcuni pensano a una nuova unificazione delle virtù che il processo storico avrebbe dissociato, attraverso una conciliazione tra cattolicesimo e comunismo, vista come unica via per guarire dai mali del secolo. Non è ora il caso di ripetere quanto questa prospettiva sia, a mio giudizio almeno, pericolosa e illusoria. Quel che ci importa dire qui è che essa porta a una veduta errata anche nel riguardo dell’erotismo presente. Secondo essa, il mondo non comunista (cioè, per tale giudizio, il mondo occidentale borghese di cui il cristianesimo sarebbe prigioniero) altro non offrirebbe oggi, né saprebbe offrire, che l’esperienza del vuoto; onde sesso e droga si offrirebbero ai giovani di oggi come le uniche vie per il recupero della vitalità. Tesi pericolosa, perché se ne potrebbe dedurre che ogni protesta contro l’ondata erotica è vana e inutile nella situazione presente; arrivando altresì a un atteggiamento di benevola indulgenza verso i suoi protagonisti, in quanto rappresenterebbero pur sempre una vitalità che potrebbe esser materia per un successivo impegno religioso e politico, mentre dall’altra parte militerebbero in generale anime fiacche o vanamente nostalgiche, o coprenti con l’insegna della moralità le loro inibizioni; materia predestinata per un regime di colonnelli. Ma soprattutto bisogna avvertire che si tratta di una tesi falsa: ho mostrato come la rivoluzione sessuale avvenga non già perché i giovani di oggi siano "vuoti", ma al contrario perché "pieni" di quei motivi ideologici che si son detti.
C’è però, ed è purtroppo più diffusa, una posizione assai peggiore, tale che con essa nessuna discussione è possibile: quella dei cattolici che pensano non già a una nuova conciliazione di virtù considerate sinora come essenziali, ma alla sostituzione delle une con le altre. Al cristianesimo ascetico, proprio di età definitivamente sorpassate, dovrebbe oggi sostituirsi un cristianesimo "secolarizzato", in cui la compiutezza delle virtù destinate al progresso della condizione umana abolirebbe ogni traccia delle virtù rassegnate e mortificanti (pensate di fatto, anche se non si osa dirlo esplicitamente, come "repressive"). Sempre sulla Stampa del 28 gennaio leggo che al comizio antipornografico di Parigi furono distribuiti, in polemica contro gli oratori, manifesti dei cattolici di sinistra di Témoignage Chrétien: "Perché non protestate contro la dignità umiliata dei vietnamiti, dei negri americani, dei torturati greci, degli scioperanti arrestati? Perché vi occupate soltanto di battaglie inutili?" È un testo estremamente significativo. Infatti: 1) dire che la battaglia contro pornografia ed erotismo è inutile, significa ammettere che non sono censurabili moralmente; il che importa che al cattolicesimo di oggi si imponga una "nuova considerazione della sessualità"; ma questa nuova considerazione non potrebbe non coincidere, come si è visto, con la liberalizzazione totale, dunque con l’esatto rovesciamento della tradizionale posizione cattolica; 2) la battaglia per i poveri e per i perseguitati e quella contro l’erotismo sono messe in alternativa, in modo che la seconda appaia soltanto come un diversivo conservatore, ciò in perfetta coerenza, e come conferma della discriminazione tra le virtù; 3) ora, curiosamente avviene, e quasi come auto-confutazione e pena di questa discriminazione tra le virtù, che ad essa segua la discriminazione tra gli stessi poveri e perseguitati: perché nessun accenno, infatti, ai cecoslovacchi, ai vietnamiti del sud, certamente minacciati di macello, ai tibetani, agli stessi biafrani, alla Chiesa del Silenzio? Evidentemente, per questi cattolici, i poveri e perseguitati tradizionalisti, e comunque non cari alle sinistre, cessano automaticamente di essere poveri e perseguitati. Si è tanto parlato della "falsa coscienza" delle destre; ora il discorso è esaurito, e si dovrebbe parlare della "falsa coscienza" di certe sinistre.
Una parola ancora su quella parte del laicato cattolico, che attende alle cose temporali e a cui si chiede la salvaguardia, nella democrazia, dei valori religiosi, e altresì — c’è bisogno di dirlo, tanto la parola è dissueta — della patria. Il fatto dell’avanzata pressoché senza ostacoli dell’erotismo, mostra quanto il cosiddetto realismo dei politici (soprattutto diffuso nel partito dei cattolici per un’abitudine secondo cui il politico dovrebbe occuparsi soltanto del benessere temporale ed essere esperto pressoché soltanto nelle arti della prudenza) si è dimostrato come non mai astratto e falso, e ciò perché mai nella storia hanno agito come oggi dei fattori che non sono economici, ma ideali.
Tratto da: Rivoluzione, Risorgimento, tradizione, ed. Giuffrè, http://www.giuffre.it/ Milano 1993
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