15 maggio 2010

La divina follia dei Greci, così moderna

di Andrea Bisicchia
Come è noto e come Giulio Guidorizzi cerca di dimostrare nel suo studio Ai confini dell’anima. I Greci e la follia, i pazzi, nella Grecia classica, non venivano reclusi, anzi, spesso utilizzavano la follia in modo creativo, come un ponte che la mente umana attraversava per conoscere la lingua segreta degli dei. Nel Corpus Hippocraticum, il trattato sulla malattia sacra dove sono descritti, quasi con precisione clinica, i sintomi dei disturbi mentali e delle conseguenti angosce, desideri di fuga e deliri, l’autore non aveva dubbi nel definire la follia, una malattia del cervello che si può curare e guarire e, proprio perché si trattava di malattia organica, egli si scagliava contro maghi, guaritori, ciarlatani, imbroglioni.
Se esaminiamo i pazzi che popolano la tragedia attica, ciò che colpisce è il modo con cui la 'follia sacra' veniva a contaminarsi con delle vere e proprie patologie che abitano la mente umana quando è sconvolta dall’ira divina, tanto che la pazzia si muoveva sul duplice registro della tradizione mitica e dell’analisi psicologica.
Basterebbe analizzare le due tragedie Fedra (Ippolito) di Euripide e Aiace di Sofocle, aventi entrambe come protagonisti due ossessi, per capire come, pur essendo puniti da due divinità, i loro sintomi appartenessero a forme di allucinazioni e di incubi tipici di due veri e propri casi clinici.
Entrambi delirano, sono sconvolti da forze oscure ma, ai nostri occhi, appaiono come una donna e un uomo in preda all’ossessione amorosa e a quella della vendetta, pur essendo, in fondo, vittime delle divinità e della violenza del sacro. Dietro i loro attacchi di panico (Pan), la fenomenologia della paura è anche epifania di una manifestazione patologica, oltre che opera dell’intervento divino.
Dirà la nutrice, per spiegare l’alterazione mentale di Fedra: «Sei posseduta da Pan o da Ecate o da venerabili Coribauti», e ben sappiamo come la cura-malattia dei coribanti rientri in un modello terapeutico-musicale che, come sostiene Guidorizzi, «trova conferma a livello etnografico». Dopo gli studi di Dodds o quelli di Slater, il testo di Guidorizzi si presenta come il primo in Italia che si propone di delineare una storia della pazzia nel mondo antico, con un procedimento multidisciplinare che vede accostati mito e filosofia, antropologia ed etnografia, teatro e drammaturgia, credenze religiose ed esperienze cliniche, rituali arcaici e moderni. Eppure l’autore del Corpus Hippocraticum aveva già capito quello che ancora oggi gli psichiatrici sostengono, che esista una connessione stretta tra i sintomi e lo studio del cervello.

Giulio Guidorizzi, AI CONFINI DELL’ANIMA. I Greci e la follia, Cortina, pp. 226, € 19,00
«Avvenire» del 15 maggio 2010

Nessun commento: