08 novembre 2009

Quell’occasione di vent’anni fa

Il Muro e l'Europa incompiuta
di Tommaso Padoa-Schioppa
Perché abbia senso e valore, la celebrazione di un anniversario deve essere anche occasione di un esame di coscienza e di un giudizio distaccato dell’evento
Il 1989 ci ricorda la fine di un’utopia tradotta in oppressione, l’uscita da una lunga paura, il miracolo di saggezza che Gorbaciov seppe compiere rinunciando all’uso delle armi; ma ricorda anche come l’Europa vi sia giunta impreparata e come abbia mancato di coglierne tutto il significato e le possibilità che schiudeva.
Nell’ottobre 1989 l’euro era un progetto dal futuro incerto; la riunificazione tedesca sembrava non avere alcun futuro. Nei dodici mesi che seguirono si giocarono — con diverso successo — i destini di due unioni monetarie e politiche: in Germania e in Europa.
Proprio il confronto tra le due unificazioni mostra che cosa avrebbe potuto essere la caduta del Muro se l’Europa fosse giunta a quell’appuntamento avendo già completato il cammino che i padri fondatori avevano tracciato quarant’anni prima. La Germania fu riunificata entro sei mesi dalla notte famosa; invece, pur avendone posto le premesse, l’Europa mise ancora dieci anni per giungere all’euro e altri cinque perché i suoi Länder orientali (Polonia, Ungheria, Cekia, Slovenia e via dicendo) vi entrassero così come quelli della Germania erano entrati nella Repubblica federale col semplice andare a votare per il Bundestag: senza negoziati, senza lunga anticamera, senza trattato, senza le estenuanti e umilianti attese che hanno lentamente eroso l’entusiasmo della ritrovata libertà.
Nei vent’anni dalla drammatica e incruenta vittoria dell’Occidente nella guerra fredda, l’Europa ha pagato più volte il prezzo dell’occasione perduta: nei Balcani e in Medio Oriente, nelle crisi economiche e in quelle dei rapporti atlantici. I nodi non sciolti sono venuti al pettine e il rischio di disgregazione si aggrava, perché l’Europa è oggi un «semilavorato», che difficilmente la crisi lascerà indenne.
Il 1989 fu un’occasione mancata perché a Maastricht non fu fatta, insieme con quella monetaria, l’unione politica: difesa, sicurezza, politica estera, fornitura degli essenziali beni pubblici europei, risorse economiche e bilancio comune di dimensioni adeguate, abbandono del veto e, correlativamente, pienezza di poteri al Parlamento europeo. L’unione politica avrebbe permesso all’Europa di realizzare l’allargamento negli stessi modi e negli stessi tempi con cui si realizzò quello tedesco e di essere protagonista nella costruzione di un nuovo ordine mondiale.
A mio giudizio, ci fu una fondamentale mancanza di comprensione, soprattutto da parte francese, del significato storico della caduta del Muro e della fine dell’impero sovietico. Non si capì che l’Unione Europea del dopo-guerra fredda — con la sua inevitabile o auspicabile estensione a 20, 25, 27, 30 Paesi — non avrebbe mai più potuto essere quella del federalismo «goccia a goccia», governato dal veto francese. Né si capì che, non realizzando l’unione politica, si favoriva un’occupazione Usa-Nato di uno spazio che per vocazione sarebbe dovuto essere europeo. Tra la Francia di Clemenceau, che alla Germania sconfitta impose punizioni insostenibili nel 1918, e la Francia di Robert Schumann, che alla stessa Germania tese la mano nel 1950, prevalse la prima. Questa miopia consegnò l’Europa a un ventennio di declino.
«Il Corriere della sera» del 8 novembre 2009

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