06 novembre 2009

Quei giudici che vorrebbero farci tutti più poveri

La triste deriva di Strasburgo
di Carlo Cardia
La Corte di Strasburgo ha aperto le ostilità contro il crocifisso nelle scuole, con una sentenza che non soltanto è andata oltre le sue competenze (e la sua stessa giurisprudenza), ma ha dato una interpretazione gelida, esclu­sivista, antiumanistica della libertà religiosa. Perché la libertà religiosa è una libertà aperta a tutti, inclusiva, che dialoga e insegna ai gio­vani a dialogare con gli altri, a vedere nei sim­boli religiosi segni di affratellamento tra gli uo­mini. La Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 prevede che il ragazzo sia educato «nel rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive e del Paese di cui può essere origi­nario e delle civiltà diverse dalla sua» (artico­lo 29). Per Strasburgo questa Convenzione non esiste. Esiste l’assenza di valori, esiste un de­serto nel quale ciascuno di noi nasce per ca­so, senza una storia ricca di eventi, eroismi, valori e simboli religiosi ed etici, tra i quali il cro­cifisso è il più noto in tutto il mondo.
L’aspetto più doloroso della pronuncia è quan­do essa parla del crocifisso come di un simbolo di parte, che divide e limita la libertà di edu­cazione, ignorando che il crocifisso è, dovun­que, simbolo di pace e di amore tra gli uomi­ni, è all’origine di una spiritualizzazione che ha animato e permeato la cultura occidentale per espandersi con linguaggio universale in tutto il pianeta. Il crocifisso ricorda chi è andato in­contro alla morte senza colpa per aver tra­smesso un messaggio di spiritualità e di fra­tellanza, chi ha predicato l’amore per il pros­simo come comandamento eguale all’amore verso Dio, chi ha annunciato nel discorso del­la Montagna il riscatto per gli ultimi e per chi soffre dell’ingiustizia, ha promesso il regno di Dio a chi opera bene nella vita terrena andan­do incontro agli altri, a chi è malato, a chi non ha nulla e ha bisogno di tutto. Questo è Gesù di Nazaret raffigurato nel simbolo della Croce. Per questi insegnamenti – e per aver alimen­tato la fede e la spiritualità di generazioni di uo­mini nel corso dei secoli – è conosciuto, ama­to, rispettato e venerato in tutti gli angoli del­la terra. Aprire le ostilità verso il crocifisso vuol dire opporsi a quanto di più alto e spirituale sia entrato nella storia dell’umanità, vuol dire fa­re la guerra a se stessi e alla propria coscienza. Per sette giudici di Strasburgo il crocifisso non sarebbe un simbolo neutrale, ma dietro que­sta asserita neutralità si nasconderebbe un provincialismo arido, un vuoto antropologi­co, perfino un filo di ignavia. Scriveva Jhoann Ficthe che «il cuore del cosmopolita non è o­spizio per nessuno», intendendo dire che gli uomini hanno radici e identità, senza le quali non possono parlare con altri, non possono accogliere con amore altre persone. Un Paese che voglia essere soltanto neutrale sarebbe un guscio vuoto, una parentesi fredda nel fluire della storia. Anche un’Europa che giunga al punto di negare, nascondere, o abbattere, la propria tradizione e identità cristiana diven­terebbe una terra di nessuno, derisa dagli al­tri, incapace di trasmettere i suoi valori più profondi, di confrontarsi con altri popoli e con­tinenti proprio in un’epoca di globalizzazione che chiede incontro e dialogo.
Quale europeo avrebbe il coraggio di chiede­re all’Asia buddista di togliere dagli spazi pub­blici i simboli di Buddha il compassionevole, o all’Asia induista le ricche raffigurazioni di quella religione, o ai musulmani di nasconde­re il Corano, tacere il nome di Allah in pubbli­co e celare la propria fede nelle scuole? Nes­suno avrebbe il coraggio di farlo, perché pro­verebbe istintivamente vergogna interiore nel proporre agli altri di spogliarsi della propria storia e tradizione religiosa. Chi predicasse questa neutralità sarebbe respinto come un e­straneo, riguardato come un essere senza cuo­re e passione. Il crocifisso non divide gli uo­mini, li unisce in un orizzonte di valori che so­no a servizio dell’umanità intera, alla base del dialogo interreligioso per il bene degli uomini e della società. Con questa sentenza, una cer­ta Europa perde di nuovo l’innocenza, come altre volte è avvenuto in passato, perché tradi­sce sé e le proprie origini, apre una ferita nel­la propria anima, e offende con il crocifisso tutti i simboli e ogni coscienza religiosa. Se ap­plicassimo la pronuncia di Strasburgo al mon­do intero, questo – come ha notato ieri il pre­sidente della Cei, cardinal Bagnasco – diver­rebbe più povero. E si allontanerebbe un po’ dal cielo. Ma la stragrande maggioranza degli uomini non vorrebbe una deriva così triste e continuerebbe a venerare ed esibire con or­goglio i simboli della propria fede.
«Avvenire» del 5 ottobre 2009

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