Un saggio dello storico Angelo D'Orsi
di Mattia Feltri
Il revisionismo applicato alla svolta dell'89: “Il mondo del postcomunismo è caotico”
Come la democrazia senza dissenso muore, così la storiografia morirebbe senza revisionismo: resterebbe soltanto spazio per l’aggiornamento cronachistico. Ora che rivediamo Mstislav Rostropovic suonare il violoncello sotto il Muro, e le celebrazioni del ventennale sono comprensibilmente ampie, concordi e zuccherose, l’attività più corroborante che si possa intraprendere è di leggere 1989. Del come la storia è cambiata, ma in peggio di Angelo d’Orsi, e vale anche per chi, alla fine, s’accorgerà di non averne condiviso un rigo. E’ un libro (edito da Ponte alle Grazie, 316 pagine per 16 euro) che ha una tesi per nulla dissimulata, sin dal titolo, e cioè che il mondo scaturito dall’implosione del comunismo non sia poi un granché, anzi è di certo peggiore e buona parte di quelli che la notte del 9 novembre si lanciarono all’abbattimento del Muro se ne sarebbe rimasta a casa, avesse immaginato il futuro.
Pianeta in delirio
Il futuro è oggi, e cioè un pianeta in delirio, dove le guerre si sono moltiplicate e inferocite, alimentate dalle menzogne dei potenti, dalla bramosia dei ricchi, e dove i poveri ne fanno le spese più di prima, e su di loro campa la globalizzazione, o il disordine globale. Un pianeta in cui si organizzano e santificano nuove crociate, si disumanizza il nemico, si sfruttano nuovi schiavi, ci si impantana in abissali crisi economiche e politiche, si autorizzano ladrocinii e oligarchie. Sono democrazie senza democrazia, cittadini involuti a sudditi.
La colpa dei vincenti
È colpa dei vincenti che si vogliono divorare tutto, in qualche forma compartecipano alla distruzione delle Torri Gemelle - la cui narrazione ufficiale ed elegiaca presenta «punti oscuri» - si danno ai conflitti mediorientali per ragioni di quattrino più che di libertà, e così via. Pure il bombardamento della Serbia per dare paga a Slobodan Milosevic niente altro fu se non un passaggio dell’imposizione universale del buon capitalismo. Ma è anche colpa degli sconfitti, che da un giorno all’altro hanno cancellato sé stessi, rinnegato la loro storia e il comunismo, buttato via il bambino con l’acqua sporca. I partiti fin lì associati al socialismo reale hanno abbandonato la loro ragione d’essere, e cioè partiti delle classi proletarie. Gli intellettuali si sono ridotti a esperti di marketing, i politici a ribaltonisti dell’autobiografia, al massimo a pentiti costretti dagli eventi.
Al netto del gulag, del Terrore staliniano o brezneviano, delle torture e degli ammazzamenti negli scantinati delle polizie segrete, dell’abolizione dei minimi diritti democratici - da quello di voto a quello d’espressione - al netto di tutto questo, segnala d’Orsi, c’erano società che meglio sapevano distribuire le (scarse) ricchezze, creare occupazione, elargire sussidi e social benefit. Insomma: bisognava ripartire da lì, e rimettere in piedi nuovi socialismi, anziché consegnarsi a un pensiero unico che ci condurrà dritti a nuovi muri, a coltelli alla gola, all’apocalisse. Sono tesi nette, ardite, esposte con un linguaggio chiaro e al limite del bellicoso, un Goodbye Lenin consapevole e privo di ironie, ma arriva a conclusioni da tempo nell’aria, costruite con i mattoncini distribuiti negli anni da Noam Chomsky, Michael Moore, Naomi Klein, tutto un filone che non poteva sfuggire alla rivalutazione finale del mondo precedente.
D’Orsi ci mette in più il rigore dello storico che non malcela le proprie opinioni, ed è facile prevedere che, stappata la bottiglia, in molti se ne attaccheranno al collo. Arriveranno altri manuali di storia, memorie personali e nostalgiche, opere cinematografiche, tutte cose sin qui lasciate a residuali organizzazioni marxiste-leniniste.
L’idea che il comunismo fu perlomeno un grandioso e tragico sforzo di migliorare la condizione umana e riconsegnarla a una parvenza di giustizia, è un’idea non così catacombale ma tuttavia poco ospitata. E in questa melassa d’anniversario, applicata come al solito anche alle cause migliori, trovare uno che dica «non ci sto», leggerlo, anche respingendone le tesi ispiratrici e il coronamento, ragionarci sopra senza pregiudizi, è cosa che fa bene, poiché l’agiografia di se medesimi è un’operazione che mai ha portato qualcosa di buono.
Pianeta in delirio
Il futuro è oggi, e cioè un pianeta in delirio, dove le guerre si sono moltiplicate e inferocite, alimentate dalle menzogne dei potenti, dalla bramosia dei ricchi, e dove i poveri ne fanno le spese più di prima, e su di loro campa la globalizzazione, o il disordine globale. Un pianeta in cui si organizzano e santificano nuove crociate, si disumanizza il nemico, si sfruttano nuovi schiavi, ci si impantana in abissali crisi economiche e politiche, si autorizzano ladrocinii e oligarchie. Sono democrazie senza democrazia, cittadini involuti a sudditi.
La colpa dei vincenti
È colpa dei vincenti che si vogliono divorare tutto, in qualche forma compartecipano alla distruzione delle Torri Gemelle - la cui narrazione ufficiale ed elegiaca presenta «punti oscuri» - si danno ai conflitti mediorientali per ragioni di quattrino più che di libertà, e così via. Pure il bombardamento della Serbia per dare paga a Slobodan Milosevic niente altro fu se non un passaggio dell’imposizione universale del buon capitalismo. Ma è anche colpa degli sconfitti, che da un giorno all’altro hanno cancellato sé stessi, rinnegato la loro storia e il comunismo, buttato via il bambino con l’acqua sporca. I partiti fin lì associati al socialismo reale hanno abbandonato la loro ragione d’essere, e cioè partiti delle classi proletarie. Gli intellettuali si sono ridotti a esperti di marketing, i politici a ribaltonisti dell’autobiografia, al massimo a pentiti costretti dagli eventi.
Al netto del gulag, del Terrore staliniano o brezneviano, delle torture e degli ammazzamenti negli scantinati delle polizie segrete, dell’abolizione dei minimi diritti democratici - da quello di voto a quello d’espressione - al netto di tutto questo, segnala d’Orsi, c’erano società che meglio sapevano distribuire le (scarse) ricchezze, creare occupazione, elargire sussidi e social benefit. Insomma: bisognava ripartire da lì, e rimettere in piedi nuovi socialismi, anziché consegnarsi a un pensiero unico che ci condurrà dritti a nuovi muri, a coltelli alla gola, all’apocalisse. Sono tesi nette, ardite, esposte con un linguaggio chiaro e al limite del bellicoso, un Goodbye Lenin consapevole e privo di ironie, ma arriva a conclusioni da tempo nell’aria, costruite con i mattoncini distribuiti negli anni da Noam Chomsky, Michael Moore, Naomi Klein, tutto un filone che non poteva sfuggire alla rivalutazione finale del mondo precedente.
D’Orsi ci mette in più il rigore dello storico che non malcela le proprie opinioni, ed è facile prevedere che, stappata la bottiglia, in molti se ne attaccheranno al collo. Arriveranno altri manuali di storia, memorie personali e nostalgiche, opere cinematografiche, tutte cose sin qui lasciate a residuali organizzazioni marxiste-leniniste.
L’idea che il comunismo fu perlomeno un grandioso e tragico sforzo di migliorare la condizione umana e riconsegnarla a una parvenza di giustizia, è un’idea non così catacombale ma tuttavia poco ospitata. E in questa melassa d’anniversario, applicata come al solito anche alle cause migliori, trovare uno che dica «non ci sto», leggerlo, anche respingendone le tesi ispiratrici e il coronamento, ragionarci sopra senza pregiudizi, è cosa che fa bene, poiché l’agiografia di se medesimi è un’operazione che mai ha portato qualcosa di buono.
Autore: Angelo D'Orsi
Titolo: 1989. Del come la storia è cambiata, ma in peggio
Editzioni: Ponte alle Grazie
Pagine: 316
Prezzo: 16 euro
Titolo: 1989. Del come la storia è cambiata, ma in peggio
Editzioni: Ponte alle Grazie
Pagine: 316
Prezzo: 16 euro
«La Stampa» dell'8 novembre 2009
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