di Mario Iannaccone
Qualche tempo fa uno studente scriveva alla rubrica dei lettori del 'Times' lamentandosi del fatto che il latino sia ancora insegnato nei licei italiani. Dal giornalista britannico riceveva una risposta forse ironica, forse semplicemente sciocca: « meglio sarebbe per voi abbandonare il latino e studiare il cinese » . Questo episodio ricorda che sul nostro sistema educativo incombe lo strappo definitivo dalle sue sorgenti classiche. Per rincorrere studenti svogliati, ministri e riformatori fanno a gara per promettere la cancellazione dai programmi scolastici delle materie ' non immediatamente' utili come, appunto, il latino. A fronte di tutto ciò, è salutare l’indignazione che trabocca dall’ultimo pamphlet di Luca Canali «Fermare Attila. La tradizione classica cone antidoto all’avanzata della barbarie» ( Bompiani).
«Stiamo diventando simili ad Attila» , esordisce il traduttore di tanti autori latini, e «distruttori di civiltà» . I sintomi sono chiari: «il tentativo di annientare la cultura classica senza la quale la scienza e la tecnica possono trasformarsi in una fabbrica di mostri; il mercato cinico e selvaggio; la pubblicità urlata; la televisione frenetica, violenta e gesticolante; la dismisura dei consumi; la fretta e l’approssimazione affaristica o l’eccessiva specializzazione delle professioni; le menzogne propagandistiche e i luoghi comuni della politica».
Canali ha scritto un libro vibrante che, evitando la polemica diretta, tecnica, sulla validità pedagogica della cultura classica, sceglie di convincere il lettore della bellezza e significato degli autori classici. In poco più di duecento pagine ripercorre tutta la storia della letteratura latina, con sintesi estrema ma riuscita. È una specie di antologia della letteratura latina tagliata per scorci, brani, angoli poco illuminati, completata da ritratti ' tacitiani' ( è proprio il caso di dire) degli autori.
Quasi la trascrizione di una conversazione dell’entusiasta studioso che sceglie, dalla sua memoria, i brani più amati. Canali seleziona con il filtro del suo particolare pessimismo lucreziano e con quel mai abbandonato punto di vista marxiano che impressiona sempre quando applicato alla storia antica. Ma ingaggia una giusta battaglia; se le pagine di Virgilio o Tacito, Orazio o Catullo usciranno dalla cultura dei nostri figli per un malinteso culto del nuovo, proprio la cultura tecnico- scientifica ne soffrirà. Oggi i migliori ingegneri informatici provengono dalla classe dei brahmini indiani; costoro, infatti, dedicano molti anni allo studio del sanscrito, lingua difficilissima che, come la latina, abitua al pensiero logico, alle articolazioni più raffinate del ragionamento e rende plastica la mente degli studenti. E dunque, rivolgiamo una proposta agli esperti che decidono i programmi: se proprio si vuole abolire il latino, lo si sostituisca con il sanscrito.
«Stiamo diventando simili ad Attila» , esordisce il traduttore di tanti autori latini, e «distruttori di civiltà» . I sintomi sono chiari: «il tentativo di annientare la cultura classica senza la quale la scienza e la tecnica possono trasformarsi in una fabbrica di mostri; il mercato cinico e selvaggio; la pubblicità urlata; la televisione frenetica, violenta e gesticolante; la dismisura dei consumi; la fretta e l’approssimazione affaristica o l’eccessiva specializzazione delle professioni; le menzogne propagandistiche e i luoghi comuni della politica».
Canali ha scritto un libro vibrante che, evitando la polemica diretta, tecnica, sulla validità pedagogica della cultura classica, sceglie di convincere il lettore della bellezza e significato degli autori classici. In poco più di duecento pagine ripercorre tutta la storia della letteratura latina, con sintesi estrema ma riuscita. È una specie di antologia della letteratura latina tagliata per scorci, brani, angoli poco illuminati, completata da ritratti ' tacitiani' ( è proprio il caso di dire) degli autori.
Quasi la trascrizione di una conversazione dell’entusiasta studioso che sceglie, dalla sua memoria, i brani più amati. Canali seleziona con il filtro del suo particolare pessimismo lucreziano e con quel mai abbandonato punto di vista marxiano che impressiona sempre quando applicato alla storia antica. Ma ingaggia una giusta battaglia; se le pagine di Virgilio o Tacito, Orazio o Catullo usciranno dalla cultura dei nostri figli per un malinteso culto del nuovo, proprio la cultura tecnico- scientifica ne soffrirà. Oggi i migliori ingegneri informatici provengono dalla classe dei brahmini indiani; costoro, infatti, dedicano molti anni allo studio del sanscrito, lingua difficilissima che, come la latina, abitua al pensiero logico, alle articolazioni più raffinate del ragionamento e rende plastica la mente degli studenti. E dunque, rivolgiamo una proposta agli esperti che decidono i programmi: se proprio si vuole abolire il latino, lo si sostituisca con il sanscrito.
«Avvenire» del 6 novembre 2009
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