Senza confini Protagonisti, libri, arte, dibattiti, racconti non Esistono Scoperte Definitive e Intoccabili
di Angelo Panebianco
Dalle previsioni sbagliate sull' economia a quelle sui cambiamenti climatici, il mondo della ricerca verificabile è sotto tiro: contestato dai tradizionalisti, delegittimato dai populisti, deformato dai mass media. Ma la soluzione non è l' arroccamentoPrima o poi nuove evidenze sperimentali fanno vacillare le antiche convinzioni
La scienza ha una posizione al tempo stesso privilegiata e scomoda nella società moderna. La sua centralità, il suo ruolo preminente, sono indubbi. Senza la scienza non esisterebbe il mondo moderno come lo conosciamo. Essa è però continuamente sotto attacco. Per restare a controversie recenti, si pensi alle polemiche sulla scienza economica e sulla sua, vera o presunta, incapacità di prevedere l' attuale crisi mondiale. O ai conflitti che si sono accesi intorno alla questione dei cambiamenti climatici. O alle dispute, con forti ricadute mediatiche, intorno alla teoria darwiniana. O al recente clamore sulla cellula artificiale. Mi auguro che i praticanti delle scienze dette (impropriamente) hard, le scienze fisiche e biologiche, non abbiano obiezioni di principio se un cultore di scienze sociali, scienze soft per definizione, si prova qui a dare una sua interpretazione della natura di quelle controversie. Le critiche alla scienza sono di vario ordine. C'è, in primo luogo, la critica tradizionalista, alimentata dall' incomprensione della natura della scienza, dei caratteri che sono propri di questa particolare attività umana. È il tipo di critica a cui la scienza è sottoposta dai tempi di Galileo e che, probabilmente, l' accompagnerà per sempre. È propria di chi nell'attività scientifica non vede affatto una preziosa opera di ampliamento delle conoscenze umane ma solo un attacco alle tradizioni, soprattutto religiose, alle convinzioni ricevute dal passato. Chi critica la scienza con questa motivazione non comprende che la scienza, di per sé, non attacca affatto le tradizioni religiose. Opera su un piano completamente diverso. È vero che, di tanto in tanto, qualche cattivo scienziato, in cerca di facile popolarità, si mette a pontificare, in nome della scienza, su questioni religiose. Ma quel cattivo scienziato è giustamente considerato un ciarlatano dagli scienziati seri. C'è poi la critica populista. La scienza è per definizione un' attività elitaria, praticata da selezionatissime élite intellettuali con una lunga e dura formazione alle spalle e accessibile soltanto ad esse. In quanto tale, essa incorre nell' ostilità degli spregiatori delle élite, quelli che pensano che se un tema è troppo complesso per essere compreso dal common man, allora nasconde l' imbroglio e la frode dei pochi ai danni dei più. L'avvento della democrazia politica ha certamente dato forza alla critica populista. Ma c'è anche un terzo tipo di critica che accompagna la scienza e questo terzo tipo è, a parere di chi scrive, figlio di errori commessi da scienziati (non tutti, ma molti sì). Questi errori contribuiscono ad alimentare sospetti, incomprensioni e polemiche. Gli errori commessi dagli scienziati sono, a loro volta, di due tipi. Il primo, intrinseco all' operare della scienza, si riproduce continuamente ma è rimediabile. Nel senso che sgorga dall' attività scientifica, ma il procedere di quella stessa attività produce regolarmente anche anticorpi che lo contrastano e, col tempo, neutralizzano. Chiamerò endogeno questo errore (nel senso che è intrinseco all' attività scientifica). Il secondo tipo di errore, invece, non riguarda l'operare della scienza in quanto tale ma il rapporto comunicativo fra la scienza e la società esterna, fra il mondo degli scienziati e quello dei non scienziati, riguarda il problema della divulgazione. Questo secondo tipo di errore, che chiamerò esogeno, non è facilmente correggibile. Quando l'errore endogeno e quello esogeno si sommano, come talvolta accade, si raggiunge il massimo di incomprensioni e polemiche fra scienziati e altri rilevanti attori sociali. L'errore endogeno ha a che fare con i processi che potremmo definire di "dogmatizzazione" che continuamente si producono nelle comunità scientifiche. La scienza è un' attività antidogmatica che procede per tentativi e errori, per ipotesi e confutazioni, e provvisorie conferme, delle ipotesi. Il suo carattere antidogmatico è la vera virtù della scienza, il vero motore che sta dietro all'ampliamento della conoscenza umana che l'attività scientifica determina. Ma gli scienziati sono uomini in carne ed ossa, hanno limiti e difetti di tutti gli esseri umani. Anche per questo, nella pratica scientifica quotidiana, si insinua sovente il meccanismo corruttore del dogmatismo. È naturale, ad esempio, che uno scienziato, il quale deve carriera e fama scientifica a una certa teoria, non vi rinunci facilmente. Se altri ricercatori cominciano a trovare indizi delle debolezze di quella teoria, è probabile che il nostro scienziato lotti duramente, anche contro le evidenze sperimentali che si vanno accumulando, per difenderla. Coadiuvato da scienziati in condizioni simili alle sue. Le umane debolezze trovano anche sostegno e alimento in processi di ordine più strutturale. Nelle varie discipline scientifiche si affermano sovente teorie che, per la loro intrinseca validità e gli eccellenti risultati conoscitivi che hanno permesso di raggiungere, assumono col tempo il carattere di «paradigmi» (espressione che si deve al filosofo e storico della scienza Thomas Kuhn). Molti ricercatori vengono addestrati a lavorare all' interno del paradigma. Si sviluppa quella che Kuhn chiama «scienza normale», l'attività di ricerca, cui contribuiscono quotidianamente centinaia di scienziati, che si svolge all' ombra della teoria paradigmatica (di Einstein, di Darwin, eccetera). Paradigma e scienza normale disciplinano il lavoro degli scienziati e lo indirizzano verso lo scopo comune di ampliare le conoscenze nel solco della teoria paradigmatica. Svolgono quindi una funzione positiva. Ma la scienza normale ha anche un lato oscuro, tende col tempo a favorire un certo irrigidimento dogmatico. Implica l' esistenza di una corrente dominante, mainstream: chi sta dentro la corrente ha più probabilità di fare carriera, ha accesso alle riviste scientifiche importanti, riceve finanziamenti, eccetera. Mettere in dubbio certi assunti di fondo su cui si basa la scienza normale, rischia di trasformare lo scienziato in un eretico, può perfino spingere gli altri scienziati a trattarlo come un paria. È vero che, spesso, gli scienziati mainstream hanno ragione a difendersi dagli eccentrici, dai non ortodossi (i ciarlatani, scopritori dell' elisir di lunga vita, vivacchiano da sempre ai margini delle comunità scientifiche) ma, qualche volta, non è così. Qualche volta, gli scienziati mainstream, rifiutando, per pigrizia intellettuale o per il timore di vedere indebolito il paradigma, di prendere sul serio tesi nuove o eretiche, recano danno alla scienza. In altri termini, la scienza normale, pur svolgendo funzioni positive per la ricerca, contiene in sé anche i germi della degenerazione dogmatica. È istruttivo il duro (e, per certi versi, anche eccessivo) giudizio di Karl Popper : «La "scienza normale" nel senso di Kuhn esiste. È l'attività del professionista non rivoluzionario o, più precisamente, non troppo critico: del cultore di discipline scientifiche che accetta il dogma predominante del suo tempo; che non vuole metterlo in discussione (...). Lo scienziato "normale", com' è descritto da Kuhn, è stato male istruito. È stato educato in uno spirito dogmatico: è una vittima dell'indottrinamento» (La scienza normale e i suoi pericoli, 1970, tr. it. 1984). Però l'errore dogmatico è, col tempo, rimediabile. Data la natura antidogmatica della scienza, il dogmatismo che talora pervade scuole e settori scientifici resta fondamentalmente un corpo estraneo. Non dipende dalla scienza ma dalle debolezze umane degli scienziati. Prima o poi, è l'attività scientifica stessa, nel suo procedere, a sviluppare gli anticorpi e a sconfiggere il dogmatismo: nuove evidenze sperimentali fanno vacillare le antiche convinzioni, il paradigma prima dominante viene abbandonato o, più spesso, riadattato alla luce delle nuove scoperte. Accade anche, talvolta, che l'eretico di ieri cessi di essere considerato tale, che le sue ricerche, un tempo eterodosse, vengano rivalutate e riprese. La spinta all'irrigidimento dogmatico, a erigere barriere intorno alla teoria di successo dominante, è incessante. Ma è forte anche, e alla lunga più forte, la spinta ad abbattere le barriere. Di solito, nelle questioni di scienza, il tempo è galantuomo. Vengo all'errore che ho chiamato esogeno. Riguarda il rapporto fra gli scienziati e il mondo "laico", dei non scienziati. Mi riferisco all'insieme di pasticci e fraintendimenti che si determinano in sede di divulgazione, nel rapporto fra scienza e società esterna. Una parte di quei pasticci e fraintendimenti non dipende da errori degli scienziati, ma una parte sì. Togliamo dal quadro il caso delle scienze sociali (scienza economica compresa) perché qui la complicazione è ancora maggiore: le scienze sociali, infatti, hanno con la società esterna un rapporto diverso da quello che con essa intrattengono le scienze fisiche e biologiche. Le scienze sociali possono esercitare una influenza diretta, ancorché spesso involontaria, sul loro oggetto di ricerca (il mondo umano), lo trasformano per il fatto stesso di entrare in comunicazione con quel mondo: una teoria sociale, una volta divulgata e conosciuta, può influenzare il comportamento di certi attori sociali determinando cambiamenti per lo più, imprevisti e imprevedibili nel proprio «oggetto di indagine». Insomma, il rapporto, poniamo, della scienza economica con il suo campo di ricerca (l'economia) è radicalmente diverso da quello dell'astronomia con il suo campo. Ma le complicazioni sono forti anche nel caso delle scienze fisiche o biologiche. A causa del fatto, soprattutto, che la domanda esterna è una domanda di radicale, perfino brutale, semplificazione. I mass media rispondono a un pubblico che non potrebbe mai capire le sottigliezze del discorso scientifico. E, di sicuro, non è in grado di comprendere il linguaggio necessariamente esoterico della scienza. La richiesta esterna alla scienza è di divulgare certezze (anche quando non ci sono). Il risultato di questo processo comunicativo è, spesso, fortemente distorcente (come hanno mostrato, da ultimo, anche le prime notizie messe in circolazione sulla questione della cellula artificiale). Si noti per giunta che le richieste esterne alla scienza riguardano quasi sempre argomenti (il tema dei cambiamenti climatici è un perfetto esempio) che dividono politicamente le società. L'intervento richiesto agli scienziati, anche a dispetto delle intenzioni di questi ultimi, non è mai neutro rispetto agli interessi e alle ideologie che competono per la supremazia politica. C'è poco da fare contro i processi semplificanti e deformanti delle tesi scientifiche che si manifestano in sede di comunicazione. Sono connaturati all' opera di mediazione dei mass media fra scienziati e pubblico. Ma, talvolta, alcuni scienziati (non tutti, ma alcuni sì) ci mettono del loro per aggravare il problema. È ciò che ho chiamato errore esogeno. Lasciando da parte i casi di patente malafede (ad esempio, le accertate falsificazioni dei dati da parte di alcuni ricercatori che si occupavano di cambiamenti climatici), tutti gli scienziati dovrebbero avere una chiara percezione del terreno minato in cui si muovono. Essi devono fronteggiare la critica populista ma anche non offrire argomenti alla tradizionalista, devono contrastarne le eventuali invasioni di campo ma anche rifiutare di partecipare, a loro volta, ad invasioni del campo altrui (non tutti gli scienziati darwiniani, ad esempio, si sono sempre attenuti a questa regola). Devono inoltre governare, e tentare di attutire, quelle distorsioni della comunicazione che non dipendono dalla natura dei mass media ma dall' errore endogeno, dalle cadute dogmatiche che periodicamente investono le comunità scientifiche. In generale, devono essere sempre consapevoli delle drammatiche semplificazioni inerenti alla comunicazione. Non possono impedirle. Ma possono almeno imporre a se stessi massima cautela. Ricordo (è un episodio della fine degli anni Ottanta) un servizio televisivo sul caso delle mucillagini che avevano appena invaso l'Adriatico. Molti ricercatori intervistati spararono, con eccessiva sicurezza, varie spiegazioni del fenomeno. Uno soltanto, con disappunto dell' intervistatore, rispose: «Non so, è un fenomeno complesso, devo studiarlo». Pensai: forse è proprio lui lo scienziato degno di maggior fiducia.
Nelle varie discipline scientifiche si affermano sovente teorie che, per la loro
intrinseca validità e gli eccellenti risultati conoscitivi che hanno permesso di
raggiungere, assumono col tempo il carattere di paradigmi. Le teorie
paradigmatiche (di Einstein o Darwin) disciplinano il lavoro degli scienziati e
lo indirizzano verso lo scopo comune, una funzione positiva. Ma c'è un lato
oscuro: una corrente dominante che favorisce un certo irrigidimento e anche le
carriere di chi vi sta dentro
Angelo Panebianco è politologo. Insegna Relazioni internazionali all' Università di Bologna e Teoria politica alla San Raffaele di Milano. Alterna studi di teoria politica, sociologica e analisi di politica internazionale. I libri più recenti: «Il potere, lo stato, la libertà» (Il Mulino, 2004); «L'automa e lo spirito» ( Il Mulino, 2009)
Due classici di Karl Popper sull'argomento scientifico sono «La scienza normale e i suoi pericoli», in «Critica e crescita della conoscenza», a cura di Imre Lakatos e Alan Musgrave, Feltrinelli 1984; e «Congetture e confutazioni», Il Mulino 1972.
Da segnalare anche Thomas Kuhn, «La struttura delle rivoluzioni scientifiche», Einaudi, 1969; Larry Laudan, «Il progresso scientifico», Armando, 1979. In inglese sul tema; David Collingridge, Charles Reeve, «Science Speaks to Power. The Role of Experts in Policy Making», Pinter, 1986. Importante anche Raymond Aron, «Scienza e coscienza della società», in «La politica, la guerra, la storia», Il Mulino, 1992. Inoltre Angelo Panebianco, «Le scienze sociali e i limiti dell'illuminismo applicato», in «L'analisi della politica», Il Mulino, 1989; Dario Antiseri e Giulio Giorello, «Libertà, un manifesto per credenti e non credenti», Bompiani, 2009
«Corriere della Sera» del 6 giugno 2010
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